E-Book, Italienisch, 304 Seiten
Reihe: Profili
Garis Rainer Maria Rilke
1. Auflage 2025
ISBN: 978-88-9298-688-6
Verlag: Ares
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Luce sull'invisibile
E-Book, Italienisch, 304 Seiten
Reihe: Profili
ISBN: 978-88-9298-688-6
Verlag: Ares
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Un'inquietudine profonda ha segnato l'esistenza di Rainer Maria Rilke (1875-1926), poeta dell'anima, la cui vita, contraddistinta da un incessante vagabondare geografico e interiore, si intreccia indissolubilmente alla sua opera. Nato a Praga nel 1875, cresciuto tra l'amore soffocante di una madre che lo vestiva come una bambina e l'austerità delle scuole militari imposte dal padre, Rilke sviluppò fin da giovane uno straordinario e complesso mondo interiore che sarebbe diventato il nucleo pulsante della sua poetica. Dall'incontro con Lou Andreas-Salomé, musa e guida intellettuale, ai viaggi in Russia che segnarono la sua spiritualità, dall'influenza di Auguste Rodin a Parigi fino al rifugio creativo nel castello di Duino e nella torre di Muzot, sulle Alpi svizzere, ogni tappa della sua esistenza fu un passo verso la creazione dei suoi capolavori, come le Elegie duinesi e i Sonetti a Orfeo. La sua poesia, spesso carica di immagini e metafore visionarie, ha innovato il linguaggio lirico del Novecento per aprirsi a un verso libero, che rispecchia il fluire dell'anima. Marilena Garis, in questa appassionata biografia, non racconta solo una vita straordinaria, ma anche un viaggio nei luoghi che plasmarono l'esistenza e l'opera del poeta.
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Nei regni dell’invisibile
Dove sta il confine tra vita e poesia per un uomo che è la precisa incarnazione del suo verbo?
Poeta, Rainer Maria Rilke, lo è stato in ogni momento della sua vita, «anche mentre si lavava le mani», disse Rudolf Kassner1; i suoi gesti e «l’azzurro del suo sguardo quando si levava o si abbassava» erano anch’essi dei versi, scrisse Felix Bertaux2.
Rilke vive–scrive. La sua vita è poesia, una monade indissolubile. Chi lo conobbe non esitò a definirlo un personaggio magico. «Se la parola magico ha un senso», scrive Valéry, «dirò che tutta la sua persona, la sua voce, il suo sguardo, i suoi modi, tutto in lui dava l’impressione di una presenza magica. Si sarebbe detto che sapesse trasmettere la potenza del fascino a ciascuna delle sue parole [...]. I suoi occhi bellissimi vedevano ciò che io non vedevo: presagi, tracce o sottotracce, coincidenze significative, presentimenti»3.
Mentre gli altri parlavano, restava in silenzio; eccelleva nell’arte di ascoltare, raccoglieva i dettagli di ciò che gli altri dicevano o facevano per trasfigurarli in canto. Di questo magico senso che s’irradiava dalla sua persona si sono resi interpreti concordi, oltre a Valéry, anche Stefan Zweig e gli amici francesi, tra cui Edmond Jaloux, André Gide, Maurice Betz4.
«Il suo passo era leggero, il suo tono di voce sommesso. Nessuno lo sentiva arrivare», scrive Stefan Zweig, «sedeva in silenzio e in ascolto, alzando involontariamente le sopracciglia appena qualcosa sembrava interessarlo e, quando toccava a lui parlare, lo faceva sempre senza foga o ostentazione. Discuteva con la semplice naturalezza con cui una mamma racconta una fiaba al suo bambino, con la stessa affettuosa tenerezza»5.
La necessità di un atteggiamento riservato si accompagnava al bisogno fisico di ordine e pulizia. Vestiva con cura e buon gusto. E questo senso estetico si manifestava anche nei suoi manoscritti, redatti con quella sua impeccabile calligrafia tondeggiante, nitida e regolare. Osservando bene le sue lettere manoscritte si può vedere un’intensità unica in quel tratto di inchiostro nero. Forse fu davvero quella la sua forza nella sua vita nomade, una consapevole calibrazione di mano e di spirito.
Quale ordine, quale precisione. E quale delicatezza nel confortare gli altri, il suo dono più prezioso: l’empatia. Nello sterminato epistolario6 – più corposo dell’opera e opera d’arte esso stesso – si rintracciano i segni del rigore e della maestria spirituale: un’autentica vocazione all’ascolto. Epistolografo d’eccezione, nelle lettere il poeta non esita a donarsi completamente e ad abbracciare intime questioni con acuta chiaroveggenza (anticipando in molti casi i tormenti – non detti – dei propri interlocutori): l’amore, l’inquietudine, la psicanalisi, il divino, il dolore, la solitudine, la morte... Risponde instancabilmente, e con vera partecipazione, a quanti gli si rivolgono. «Non si chiede se l’anonimo che gli scrive meriti la sua prosa», osserva Tzvetan Todorov7, no, si prodiga per quegli sconosciuti senza risparmiarsi. E lo fa con profonda umanità, che affascina e consola.
In Rilke convergono le ricchezze di diverse culture: non si limitò a leggere (e parlare) il francese, l’italiano, il ceco, il russo, il danese, l’inglese, si occupò anche di diverse traduzioni da queste lingue e se ne servì all’occasione come veicoli della sua ispirazione. La lista dei luoghi in cui ha vissuto è inesauribile: Praga, Monaco, Berlino, Firenze, Viareggio, la Russia, Worpswede, Parigi, Roma, la Danimarca, la Svezia, il Belgio, Capri, Provenza, Duino, Africa del Nord, Egitto, Venezia, Spagna, il Ticino, il Vallese... Dopo la Prima guerra mondiale, fu infine apolide, quasi a sancire definitivamente le parole di Stefan Zweig «non aveva una casa né un indirizzo dove cercarlo; non aveva ufficio né fissa dimora. Era sempre in viaggio per il mondo e nessuno, nemmeno egli stesso, sapeva mai in precedenza dove avrebbe diretto i suoi passi»8.
Si sentiva a suo agio nell’anonimato; abitava di preferenza nei vecchi edifici. Per quanto si circondasse di pochissimi oggetti, accanto a lui non mancavano mai fiori e libri, molti libri, accuratamente foderati, compagni perfetti con cui inoltrarsi nei meandri del suo mondo interiore. Solo alcuni gli erano però indispensabili e due in particolare erano sempre con lui: il Niels Lyhne di Jens Peter Jacobsen e la Bibbia, i cui echi si rifletteranno lungo tutta la sua opera. Sul suo scrittoio, penne, fogli e matite erano allineati in ordine perfetto.
Con lo stesso ordine curò la sua opera, che crebbe silenziosamente, lentamente; sono tuttavia pochi quelli che hanno davvero conosciuto la sua vita, il suo mondo interiore, la sua più recondita officina9. Era come avvolto da un ferreo riserbo, circonfuso di un’aura mistica.
Su quell’aura si è soffermato a più riprese Edmond Jaloux, arrivando a definirla visionaria e medianica: «Entrava subito nei dettagli delle cose più alte e sottili, con una facilità incantevole, quella di un uomo che non vuole soffermarsi sui luoghi comuni della vita quotidiana e torna subito al suo vero ambito [...] Rainer Maria Rilke appariva; sembrava emergere dalla più completa solitudine, dalla più favolosa lontananza, per accoglierti [...]. Quando quello che diceva era particolarmente poetico, si alzava dalla sedia come se dovesse scappare e, prima di riprendere il suo posto, faceva il gesto di una mano che prende il volo, con un braccio leggermente alzato e che sembrava indicare una pista o una meta a qualche rondine smarrita, a qualche ape vagabonda»10.
Pare che ridesse con gli occhi: Carl Jacob Burckhardt, amico di Hugo von Hofmannsthal, poi Presidente della Croce Rossa internazionale e ambasciatore a Parigi fu colpito dal suo modo di ridere, fiduciosamente infantile; una risata indimenticabile «perché quando rideva egli non chiudeva o stringeva gli occhi come si fa di solito, ma li spalancava e ti guardava in faccia con aria interrogativa e con gli occhi sereni»11.
Silenzioso, mite, solitario, i suoi occhi verdi-azzurri irradiavano della loro malinconica luce interiore i tratti lievemente slavi del suo volto, la piega un po’ amara della bocca sotto i biondi baffi spioventi. Quando le sue palpebre si abbassavano lentamente sembravano trattenere dentro di sé i dettagli d’un intimo risucchio interiore12. Così guardava il mondo Rainer Maria Rilke, con i suoi occhi da poeta. E già nell’aspetto esteriore, la sua persona pare agganciarsi al mistero dell’invisibile.
La sua lirica emana l’azzurro del cielo ma parla come pietra scolpita, esprime la vertigine dell’amore terreno ma indossa il vestito variopinto e trasparente dei sogni e delle fiabe.
Rilke ci ha insegnato «il commiato, il congedo dalle cose, la capacità di dire addio e di diventare poveri», come ha suggerito Claudio Magris13.
Camminando dentro le parole, tra la vita e la morte, ci ha lanciato delle sfide: il suo «spazio interiore di mondo» è una «sottile striscia di terra tra fiume e roccia», uno spazio sottilissimo, eppure infinito. Per addentrarsi in quello spazio interiore, bisogna aver vissuto. Solo l’esperienza ci conduce a lui, al suo destino e all’opera, che attraversa tutti i gironi infernali fino all’empireo.
Tra la trama e l’ordito del suo severo vangelo di solitudine, edulcorato da qualche tuffo nel gran mondo – come un personaggio proustiano – Rilke ci ha lasciato un’opera inesauribile, che rinasce a ogni rilettura, e la testimonianza di una vita che non smette di risuonare. La sua esistenza “in fuga” di terra in terra, ci fa intravedere una realtà che non può mai essere presa con leggerezza, né semplificata dalle normali convenzioni.
Il suo messaggio è una lezione di verità e complessità: un’avventura dello spirito che lascia attoniti a prima vista. «Sai che cosa mi succede con le tue poesie?», gli scrive Marina Cvetaeva, «al primo momento (poiché straniera sono) so tutto; poi – la notte: nulla poi – Dio com’è tutto chiaro! – poi, non appena voglio afferrarla (non allegoricamente, ma quasi con la mano) scompare: soltanto versi stampati. Lampo dopo lampo (lampo – notte – lampo) questo mi succede quando leggo Te»14.
Marina aveva ragione: Rilke bisogna leggerlo “a lampi” e occorre «cimentarsi con la sua totalità». Pagina dopo pagina, prende forma nell’opera una progressiva dilatazione della sua soggettività verso quello “spazio interiore di mondo”, che solo la lingua tedesca riesce a esprimere con un unico vocabolo composto, coniato da Rilke: Weltinnenraum. È una progressiva dematerializzazione e liberazione mistica, che lo condurrà ai capolavori della maturità.
L’illuminazione non giunse tuttavia come dono gratuito; no, richiese pazienza, esercizio caparbio della parola, inquietudine, lotta interiore, ricerca del senso e attesa:
Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze. Per un solo verso si devono vedere molte città, uomini e cose, si devono conoscere gli animali, si deve...




