Innocenti | Vani d'ombra | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 174 Seiten

Reihe: Intrecci

Innocenti Vani d'ombra


1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-6243-379-2
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 174 Seiten

Reihe: Intrecci

ISBN: 978-88-6243-379-2
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Un piccolo paese di campagna, ci si conosce tutti. Impossibile non annoiarsi. In particolare se hai tredici anni, la scuola è finita, fa caldo e i vestiti ti si appiccicano addosso. Capita che a voler passare il tempo poi si diventa curiosi e con un binocolo in mano si possono vedere tante cose. Nascosto tra le fronde di un albero, Michele scopre che la colf del notaio, tutti i pomeriggi, incontra uomini. Ogni giorno uno diverso. È come stare al cinema senza pagare il biglietto. Il conto arriva quando viene scoperto dalla donna, trascinato per un orecchio e rinchiuso a chiave dentro il suo armadio. Imprigionato e al buio, Michele è costretto a una rivelazione che segnerà per sempre la sua vita. Con una scrittura cruda, a volte persino violenta, il romanzo trascina il lettore nelle zone più intime della mente di un uomo tormentato.

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A SUD DELLA PARETE


C’è stato un autunno che non si scioglieva neppure nella pioggia, di passo sibillino. Era dentro gli abitacoli delle macchine che si svolgeva la vita, quando il freddo pungeva fuori e tutti stavano serrati vicino al riscaldamento, coscritti di un freddo primordiale. Michele Maestri a diciassette anni era a un passo dalla patente ma non aveva ancora contratto il virus delle macchine, la passione maschile per l’asfalto, i motori da mettere dappertutto, automobili da mettere in qualsiasi discorso, interi pomeriggi a spiegare cosa era una trazione e quali erano le gomme migliori, di discorsi così al bar erano pieni i tavoli dei miei coetanei e di questi discorsi io proprio non sopportavo più nulla, pensare di sognare un’auto per divorare viaggi quando l’auto sarebbe girata solo per qua, per queste vie polverose, non auto ma dimostrazione, non mezzo di locomozione ma modo per, non moto a luogo ma moto in luogo, sempre fermi lì. Non volevo impantanarmi in queste vie, queste vie non servono a nulla, sono vie a doppio senso e non vie di fuga, sono racchette stradali per auto che fanno il medesimo ping-pong: casa-lavoro, lavoro-casa, casa-discoteca, discoteca-casa. I vetri appannati degli abitacoli erano una tendina che il tempo metteva per pietà di fronte all’osservatore, come quando uno va in ospedale e sa che dietro ai séparé bianchi c’è qualcuno che soffre e qualcun altro ha messo il séparé per pietà. O forse no, forse non potete fare altro che vedere a sprazzi e a distanza, la vista ravvicinata vi fa paura, fa paura a tutti: Michele Maestri a diciassette anni ha capito che la verità acceca perché lui dalla verità è uscito indenne e può camminare dove vuole lui, persino nelle strade di questo paese può camminare e non succede niente e anche quando avrà la macchina sarà un bolide adatto per andare via, non per scappare, non è mai scappato di fronte a quello che appare, dalla verità non si fugge, è il suo destino da quando è finito in un armadio e ha imparato che la cosa più importante di questo mondo non è soltanto vedere ma riuscire a sostenere quello che hai visto, fino a quando non smetterà di sconvolgerti e nessuno sarà più in grado di stuprare la tua sensibilità. Ma questi non sono discorsi da fare al bar, dove vado poco ma ci devo comunque andare se voglio scambiare le figurine Panini, mi piacciono un sacco, Michele Maestri a diciassette anni ama ancora l’album delle squadre di calcio, è tutto ordinato, bisogna mettere le figurine negli appositi spazi, ogni cosa sembra avere un senso, c’è colore, c’è ordine, tutti sono felici quando finiscono l’album, non c’è astio quando si parla di un giocatore, io non ne capisco niente di calcio ma conosco i nomi a memoria, sembrano i vecchi album fotografici di casa nostra, volti di familiari e amici sconosciuti che riempiono schedari, spazio da giustificare con facce e nomi che impegnano la mia mente altrimenti potrei pensare sempre alle cose sbagliate, mi dicono che sono il tipo che prima fa le cose e poi le giustifica, non è colpa mia se tutto questo mi sembra così, attitudine che non capisce nessuno, i professori ne hanno parlato con mia madre al ricevimento, le hanno detto che certe volte, quando non capisco, mi fermo imbambolato a fissare e me ne sto zitto, assente da me stesso. Invece sto lì a cercare di mettere a fuoco, ecco cosa faccio: sono un puntatore, vedo tutto e registro, la mia testa elabora dati e sfumature. Vedo le facce dei miei professori, li spersonalizzo, ho capito questo, ho capito che vedere porta in sé una visione, non la posso spiegare ma di sicuro è come percepire qualcosa che c’è anche oltre, anche al di là – ad esempio – dei finestrini appannati. So benissimo, come in questo momento, che dietro la brina di quei vetri ci sono mani attaccate al volante dell’auto blu di Prussia di un uomo che vorrebbe stringerle al collo di un destino che non riesce a strozzare, non gli piace essere un metalmeccanico e stare all’assemblaggio dalla mattina alla sera, da quando entra in fabbrica a quando ne esce, con un prodotto finito tra le mani, mentre lui – questo guidatore che sta comprando l’auto a rate con sacrificio ed entusiasmo – vorrebbe fare altro, vorrebbe qualcosa che non è un pezzo finito ma un pezzo infinito, ecco: vorrebbe l’infinito e se lo meriterebbe, ma questo il guidatore non lo sa, non ci arriva a capirlo perché capirlo significherebbe mettere in discussione tutta la sua esistenza, ne sarebbe in grado? Penso però che qualcuno potrebbe alzare il riscaldamento nel pulmino che ci porta a scuola, qualche grado in più sarebbe meglio o prima o poi ci sarà da congelare, le mani sono dentro i guanti e sono al caldo, ma riesco lo stesso a smazzare le immagini, anche la mattina prima di andare a scuola controlliamo le figurine. Casomai finisco l’album, l’altro album, quello che colleziono io solo, ho appena trovato la figurina del metalmeccanico che vorrebbe produrre l’infinito, mi manca ora quella di una donna di mezza età in sovrappeso che non si dà tregua perché vorrebbe rendere reale l’irreale ed è alle prese con gli sguardi che non trova, sguardi di uomini, o meglio ancora di un uomo che la prenda per una notte intera. Cerco di finire l’album delle figurine, forse perché nella vita non si può mai dire e poi magari la figurina mancante esce mentre stiamo parlando in bus di quanto sia pallosa la prima ora di matematica, peraltro lo ripetiamo anche fuori dalla scuola mentre fa un freddo cane e sappiamo che anche in classe la situazione non migliorerà, comunque ha ragione Leonardo, un mio compagno che ha già capito come funzionano le cose, e cioè che bisogna prendere il meglio dalle regole e capire qual è il succo.

Quello che c’è da sapere della matematica per Leonardo è chiaro: ogni uomo ha sette donne, capito? – non serve altro ragazzi – una matematica come porta di accesso per il sesso, roba da pazzi. Michele Maestri a diciassette anni ha già nella testa che tutto si debba giocare sullo sguardo: è stato travolto dal voler vedere a tutti i costi e ha capito la lezione, ha capito che bisogna imparare a guardare e saper vedere. E bisogna farlo alla distanza giusta, in assoluta sicurezza, lo sguardo stesso deve trasformarsi in binocolo, recepire cose, altro non si deve fare, fare altro può diventare pericoloso, datemi il bianco, il bianco che tutto monda. Quando sto per finire la scuola dell’obbligo tutti mi dicono che sono un tipo solitario e taciturno, non è che non ho voglia di studiare, tutt’altro: a casa i miei genitori sono orgogliosi e fieri di me, non gli do alcuna preoccupazione, forse sono solo un ragazzino fatto a conto mio, loro dicono così: è un ragazzino fatto a conto suo, non è vero però, sto volentieri senza qualcuno attorno perché tanto parlare serve solo a fraintendersi, nessun mio coetaneo sa cosa sia vedere, io invece voglio vedere, non mi importa di mulinare nel vuoto del paese tutto quello che si può fare alla mia età, perché io ho diciassette anni ma ho un’età diversa, la mia condanna è stata vedere. Non voglio più vedere mio padre però, gli giro alla larga, lui non ha capito o se ha capito fa finta di nulla perché per lui conta soltanto la sua passione per la bicicletta, negli ultimi quattro anni è cambiato, pensa solo alle due ruote, nel garage c’è spazio solo per i pezzi di ricambio e per le biciclette, credo che così voglia illudersi di poter scappare da tutto, anche da sé stesso, ma non sa – oh non lo sa – che una volta visto non puoi più scappare, sei condannato a inseguirti e sei condannato a prenderti e sei condannato a rifiutarti, io lo vedo e lui sa che lo vedo, sono anni che ha capito che lo vedo e sono anni che va in bicicletta pur di non vedere il mio sguardo, il mio sguardo è a volo d’uccello e a nido d’ape, Michele Maestri a diciassette anni ha uno sguardo che tutto include ma che vuole affinare e raffinare: lui lo sa che ognuno di noi ha occhi diversi dagli altri, zigomi squadrati, sovrastanti archi di cupido, ali nasali imponderate e radici del naso che non sono calcolabili a un tanto al chilo. Quindi mi pare chiaro che ogni faccia non sia una faccia ma una cartina geografica che solo chi sa vedere può ben calcolare: saper vedere è il trucco che metto in ogni azione, sto imparando cosa c’è dietro ogni sguardo. Michele Maestri a diciassette anni lo ha capito sulla propria pelle che per vedere con abilità bisogna farlo in sicurezza: esporsi troppo equivale a contagiarsi, bisogna iniziare a prendere le misure con attenzione, passo dopo passo, sguardo dopo sguardo, devo riuscire a districarmi nella palude delle mie visioni e devo usarla per tarare la vista altrui. Michele Maestri a diciassette anni già sa che diventerà un occhialaio, sa che la sua professione sarà quella di prendere la misura dei volti delle persone, sarà un cartografo moderno, l’ultimo carbonaio della rinata vista, la risposta a una domanda che non c’è, la soluzione a tutto quello che non si riesce ad afferrare: l’occhiata che consente di capire tutto, la vista che permette di cogliere tutto, la visuale che permette un immacolato percepire: bisogna avere lo sguardo puro, allenato alla veridicità delle cose, per iniziare a vedere ciò che c’è da vedere. Capii come una folgorazione che ci sono due modi di vedere: per esempio vedere che io non ero più figlio dei miei genitori ma ai miei genitori. Lo pensai distintamente nella mia cameretta, al chiuso e al riparo da tutti, che non ero figlio dei miei genitori ma ero figlio ai miei genitori. Mi sembrava più preciso, mi sembrava una formula nuova che salvava allo stesso tempo la comprensione di essere figlio e l’incomprensione di essere figlio loro. Perché i miei genitori erano di altra pasta, che ne vuoi sapere dove ero nato veramente io, che cosa mi...



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