Maspero | A come Avventura | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, 171 Seiten

Maspero A come Avventura

saggi sull'arte di viaggiare
1. Auflage 2015
ISBN: 978-88-6059-165-4
Verlag: POLARIS
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

saggi sull'arte di viaggiare

E-Book, Italienisch, 171 Seiten

ISBN: 978-88-6059-165-4
Verlag: POLARIS
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Ventuno lettere dell'alfabeto per altrettanti racconti e riflessioni legati al viaggio. Un libro di e sul viaggio, ma anche 'da' viaggio perché può essere letto di un fiato o assaggiato un poco per volta, partendo dalla fine o dall'inizio, aprendolo a caso o scegliendo l'argomento che più aggrada. Un atto d'amore per il viaggio e per il mondo, pur senza nasconderne le contraddizioni, dove si fondono culture tradizionali e falsi esotismi autonomia e condizionamenti, creatività e ripetitività, riduzione dei bisogni e consumismo. Non importa se il viaggio è lungo o breve, lontano o vicino, individuale o di gruppo, itinerante o stanziale. Ciò che conta è la motivazione che ci spinge a partire e la nostra attitudine verso le realtà che incontriamo lungo il cammino. Ritorno dopo ritorno, sentiremo di appartenere a una sorta di 'società dei viaggiatori' che possiede delle mappe meno assolutistiche, ma più ampie e flessibili per orientarsi nella vita e per osservare noi stessi, l'altro e il diverso. Perché ognuno di noi è il frutto dei luoghi cui appartiene, ma anche delle strade che percorre.

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A come AVVENTURA

“Avventura” è una parola ancora capace di evocare in me la magia del viaggio. Significa “ciò che verrà”, e che quindi ancora non si conosce, come sconosciuta era quella terra incognita che ha alimentato i sogni di tanti esploratori del passato, spingendoli ad andare sempre un po’ oltre chi li aveva preceduti. Se il presupposto insito nell’etimologia stessa della parola è fare esperienza di spazi diversi da quelli abituali, oggi l’avventura ha perso molta della sua capacità evocativa, perché in un mondo interamente percorso, misurato, descritto e fotografato, la scoperta è diventata necessariamente una ri-scoperta e il conoscere un ri-conoscere. Nella ricerca di un improbabile abbinamento fra avventura e comfort, sono andate via via scomparendo anche quelle componenti di coraggio e di resistenza alle privazioni e alla fatica, presenti a livello sia simbolico sia reale nel concetto di viaggio degli antichi.

Paradossalmente l’avventura è più difficile da vivere proprio ora che sembra alla portata di tutti, sepolta com’è da eccesso di offerta, trasformata in merce di rapido consumo o banalizzata e ridotta a richiamo pubblicitario per vendere profumi e fuoristrada. Le destinazioni più raggiungibili sono state bruciate dall’industria turistica. Anche molte di quelle più lontane e fuori dai sentieri battuti sono ormai inserite in circuiti avventura proposti su cataloghi patinati e venduti in serie. Inevitabilmente il viaggiatore, passato dal ruolo di eroico protagonista a quello di semplice consumatore di una merce qualsiasi, attraversa una crisi d’identità. Gli operatori corrono al riparo moltiplicando l’offerta con proposte sempre nuove e sempre più personalizzate e l’editoria di settore, esaurite le destinazioni reali, ha addirittura pubblicato ironiche fantaguide a Paesi inesistenti. Un libro di recente pubblicazione suggerisce viaggi sperimentali davvero strani, o creativi come si usa dire oggi: dall’autostoppista impossibile che espone un cartello per una destinazione lontanissima, al turista bendato e accompagnato da una persona che racconta, a quello che segue la direzione del vento armato di una banderuola...

Da parte sua il neoavventuriero, non potendo più essere il primo a scoprire qualcosa di nuovo, cerca negl’interstizi del viaggio “l’autentico” che ancora sopravvive alla globalizzazione, per poter almeno dichiarare di essere l’ultimo privilegiato a goderne, salvaguardando così la propria unicità. Oppure ricerca l’autoaffermazione attraverso imprese ad alto rischio, in gergo “estreme” o “no-limits”: ripercorre itinerari conosciuti, ma nelle condizioni più avverse, tenta di raggiungere luoghi inaccessibili o si spinge oltre i limiti per battere nuovi record. Tutte sfide che lasciano una traccia nella propria memoria, forse anche nel Guiness dei Primati, ma, di fatto, aprono nuovi territori all’industria turistica, più che nuovi orizzonti di conoscenza e comprensione dell’altrove.

In realtà, come scrive Rolf Potts in Vagabonding, “Vivere l’avventura significa spesso uscire e lasciare che le cose accadano in un ambiente nuovo, strano e sorprendente. Si tratta insomma più di una sfida psicologica che fisica. [...]. Il segreto dell’avventura non consiste nel cercarla con attenzione, ma nel viaggiare in modo tale che sia lei a trovarvi. L’avventura è nella semplice realtà di un mondo che sfida le vostre aspettative”.

Non possiamo acquistare l’avventura in agenzia, ma possiamo propiziarla, se ne comprendiamo il significato più profondo. Tiziano Terzani lo riassunse nella dedica che mi scrisse sulle pagine di un suo libro con il solito pennarello viola: “Per Anna, avventuriera nel mondo, da un viaggiatore che continua ad avventurarsi fuori... e dentro”. Infatti, bisognerebbe parlare di spirito d’avventura, perché l’avventura è un’attitudine, oltre che una pratica, un percorso mentale e non solo fisico. Per definirla è forse più semplice dire ciò che essa non è. Non consiste nella pericolosità del percorso, non si misura in chilometri, non è impresa sportiva al limite delle possibilità umane e non è nemmeno survival a tutti i costi, tentativo a volte patetico di eludere tutti i comfort a nostra disposizione. Queste sono prove delle proprie capacità e della propria resistenza. Avventura è lasciare la porta aperta alle possibilità. È disponibilità verso quel tanto di futuro e di ignoto di cui il viaggio è ancora portatore, forse non più in termini assoluti, ma certamente ancora sul piano individuale.

E allora forse faremo scoperte inattese, anche se non casuali. L’inglese ha una parola speciale e dal suono magico per indicare questa attitudine di apertura al nuovo e all’imprevisto: serendipity, la capacità di trovare ciò che non si sta cercando. Un concetto difficile da rendere nella nostra lingua, ma che sarebbe bello tradurre nella nostra vita.

I contrattempi, o il mancato raggiungimento di una meta inserita nel programma, possono essere il prezzo da pagare alla ricerca di un’avventura non edulcorata e non addomesticata. Non voglio suggerire di trasformare il viaggio in “disavventura” o in un gioco d’azzardo dove lo “scomfort” diviene lo scopo dell’andare, anche perché disagi e fatiche non sono necessariamente promesse di scoperte interessanti. Il viaggio è però anche una scommessa e non sempre ne usciamo vincitori. Talvolta è il caso a spalancarci le porte del nuovo mondo; altre volte, nonostante il nostro affannarci intorno alle chiavi, l’ingresso rimane sbarrato e il nostro viaggio si trasforma in un’occasione persa.

Per cercare di entrare in sintonia con i luoghi e con le persone che li abitano, bisogna darsi tempo, ritagliarsi dei percorsi fuori dai circuiti più scontati e soprattutto accettare anche gl’imprevisti e i disagi, elementi faticosi e qualche volta sgradevoli, che possono però trasformarsi, da fattori di disturbo, in opportunità, in occasioni di conoscenza della propria forza e della propria fragilità, in momenti di arricchimento e di incontro. Spesso basta davvero poco per riscoprire lo spirito del viaggio e riassaporarne il mistero e il profumo: deviare dalla strada principale, camminare nella città all’alba, scambiarsi un sorriso...

Proprio nella società attuale, dove prevalgono routine, rapporti strumentali, condizionamenti sociali e difesa dei propri paradigmi culturali, diventa ancor più necessario recuperare la centralità del viaggio e dell’avventura per ridare ossigeno alla mente e allo spirito. Proviamo allora di rinunciare, anche se solo per lo spazio di una vacanza, alle comodità del benessere e alla ragionevolezza di un’esistenza programmata, dove tutto, o quasi, è sotto controllo. Abbandoniamoci alle suggestioni dei luoghi e degl’incontri per provare il gusto dello spaesamento e per riscoprirci capaci di stupore ed emozioni. Accettiamo di perderci per le strade del mondo, per poi ritrovarci un poco diversi, seguendo quello spirito d’avventura dove la partenza significa davvero separazione, l’andare diviene confronto e il ritorno rielaborazione e trasformazione. In fondo anche Dante incominciò il suo grande viaggio quando “la diritta via era smarrita”.

Fra i Mursi nella Valle dell’Omo River - Etiopia Meridionale, novembre 2002

Siamo tutti un po’ provati dal duro percorso lungo la pista che si snoda in una serie di impervi saliscendi nella malsana vallata del Mago Park, infestata dalla mosca tze tze. Abbiamo dovuto superare molti passaggi impegnativi che ci hanno costretti a usare ripetutamente pala e cavo di traino (uno solo, per tre fuoristrada, colpa della nostra fretta di partire e del fatalismo tutto africano degli autisti). Siamo finalmente giunti al punto estremo del nostro itinerario fra le etnie della bassa valle dell’Omo River. Il fiume ci sbarra la strada e rende impossibile proseguire oltre con le nostre jeep, perché la chiatta che fungeva da traghetto è in disuso da anni. È una regione selvaggia, rimasta isolata per secoli e ancora inesplorata fino a poco più di cento anni fa. Un altrove geografico e temporale, un mondo fuori dalla storia e lontano da tutto. Un pezzo d’Africa che sta per scomparire. Ci troviamo nella la terra dei Mursi, pastori e coltivatori seminomadi che hanno fama di essere fra le tribù più aggressive e bellicose di quest’area agitata da ricorrenti conflitti interetnici.

Con il consenso del capo-villaggio, organizziamo il nostro campo non lontano dalla riva del fiume, ma a una certa distanza dalle capanne, semplici strutture a cupola in rami intrecciati e paglia. I pochi abitanti non sono particolarmente invadenti. Da quel che avevo letto e sentito, temevo una maggior aggressività. Non sorridono, ma dietro agli sguardi in apparenza inespressivi e ai lineamenti duri, sembrano nascondere una certa curiosità nei nostri confronti. Gli uomini sono giganti dai fisici statuari, con fasci di muscoli scolpiti sotto una pelle scurissima coperta da scarificazioni e da pitture corporali esibite con civetteria. I bambini, con il corpo nudo dipinto con terra ocra, polvere di carbone e calce bianca, si rincorrono fra le nostre tende. Le donne si sentono inevitabilmente osservate e ci osservano. Hanno strane acconciature fatte con corna di vacca, conchiglie e bossoli di ferro. Ma ciò che più colpisce sono i padiglioni auricolari e il labbro inferiore deformati dai caratteristici e vistosi piattelli in terracotta. Per loro un’usanza sinonimo di fascino e prestigio, ma probabilmente nata all’epoca della tratta degli schiavi per renderle sgradevoli e scoraggiarne il...



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