E-Book, Italienisch, 260 Seiten
Reihe: Minimum classics
Proulx Cattive strade
1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-3389-399-0
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Storie del Wyoming/2
E-Book, Italienisch, 260 Seiten
Reihe: Minimum classics
ISBN: 978-88-3389-399-0
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
A Elk Tooth, minuscolo paesino sperduto in mezzo alla vasta prateria del Wyoming, la vita ruota quasi tutta intorno a tre bar, varianti neanche troppo moderne dei vecchi saloon. Ed è attraverso le chiacchiere al bancone che impariamo a conoscere una folla di personaggi degni dei migliori western: il guardacaccia che ha dichiarato guerra ai bracconieri, una giovane Sioux in possesso di rarissime pellicole di Buffalo Bill, la rancher che commissiona a un ubriacone il compito di recuperare un carico di prezioso fieno dall'altro capo del continente, la barista vegetariana alle prese con una mandria di vacche diaboliche, la coppia newyorkese destinata a scontrarsi con le dure leggi della campagna e con un clima che non conosce clemenza. Fra tassi parlanti e gare a chi ha la barba più lunga, dolorose riunioni familiari e jacuzzi ricavate da rottami, in un'alternanza di realismo magico e cruda quotidianità strappata con i denti a un ambiente ostile, Annie Proulx ci regala undici racconti spietati e al contempo irresistibilmente spassosi. Dopo l'acclamata raccolta Distanza ravvicinata - dal quale è stato tratto I segreti di Brokeback Mountain, vincitore di tre Oscar - Proulx torna a raccontare il suo Wyoming con un amore che traspare da ogni pagina e che non offuscano mai la lucidità di sguardo su quelle terre maestose e desolate e sui personaggi che le abitano.
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Cosa resta del West
«In Wyoming le bambine si chiamano Skye, a Terranova Weavy»
Uno degli aspetti che la critica ha elogiato più spesso riguardo alla scrittura di Annie Proulx è la sua capacità di riconoscere una «aderenza fisica» tra la lingua e i luoghi1 e replicarla nelle sue pagine: una varietà linguistica che emerge perfino nelle traduzioni, che purtroppo non possono rendere appieno la vastità degli studi necessari a restituire i dialetti, le espressioni, addirittura la cadenza delle persone. L’osannata «compressione poetica» di , che evoca la lingua seducente degli spiriti marini o forse delle onde stesse («Era funzionale a questo libro», dichiara l’autrice. «Cercavo di rendere la sensazione dei vecchi quotidiani, con quei sottotitoletti, pensieri condensati come minuscole prefazioni agli eventi racchiuse in poche righe. Ed è anche il modo in cui la gente parla a Terranova») lascia qui il posto alla parlata lenta e concisa della gente del Wyoming, quella ritrosa in cui le omissioni più che poesia sembrano una forma di reticenza2 («I vicini dicevano che era autosufficiente, ma lo dicevano in un modo che significava qualcos’altro»), e la sintesi non è più quella degli incantesimi o della cronaca, ma sembra al contrario nascondere una qualche forma di insicurezza, o una resa, di fronte a ciò che non si sa dire.
In un’intervista del 1995 Annie Proulx dichiarava di aver ambientato i suoi libri in luoghi diversi nello «sforzo deliberato di non essere considerata una “scrittrice regionale”». Quattro anni dopo usciva il primo volume delle sue , e leggendo questi racconti – pubblicati in tre raccolte uscite nell’arco di dieci anni – siamo noi a dover fare uno sforzo deliberato per ricordarci che l’autrice non è nata nel Wyoming. Ma come fa Annie Proulx a dare l’idea di conoscere quei luoghi così a fondo, così intimamente? Certo, questo si può in larga misura ascrivere a un innegabile talento di scrittrice – d’altra parte dare l’impressione di verità è uno dei principali requisiti del mestiere – ma il realismo delle sue storie è anche e soprattutto frutto di un lavoro lungo, accurato e meticoloso.
Per scrivere , il romanzo che le è valso il Premio Pulitzer nel 1994, Proulx si è recata otto volte a Terranova, fermandosi per lunghi periodi a fare ricerche, parlare con le persone del posto, ascoltare storie;3 mentre quando è stato pubblicato abitava vicino Saratoga ormai da cinque anni («anni di osservazione e assorbimento subliminale», dichiara). E naturalmente osservare non basta, c’è anche un’imponente, rigorosa opera di documentazione su ogni singolo aspetto dei luoghi in cui ambienta le sue storie: il paesaggio, la lingua, la storia, le ricette, la mitologia, le superstizioni, i vestiti. «Prima di sedermi e scrivere la prima parola di devo aver letto cinquanta o sessanta testi di storia e sociologia su Terranova», ha dichiarato l’autrice al . «Chiaramente è un retaggio dei miei studi di storia. La cosa bella della narrativa è che poi non devi precisare ogni singola cosa nelle note a piè di pagina. Puoi farti delle solide basi di conoscenza e poi, be’, a quel punto limitarti a volare. Puoi inventare tutto».
E infatti ancora più impressionante rispetto alla mole di conoscenze che traspare dai libri di Annie Proulx è quello che resta non detto, quelle solide basi che vengono date semplicemente per scontate, dato che la sua generosità estrema in fase di ricerca non si traduce mai in condiscendenza in fase di scrittura, e Proulx non cede mai alla tentazione di istruire il lettore. Siamo davanti a una scrittrice che padroneggia l’arte di tralasciare tutto ciò che si sa (che si è appreso) a parte l’essenziale – dal punto di vista del personaggio, non del lettore, men che meno dell’autore – e risulta difficile concepire la portata di questa rinuncia e la dedizione necessaria a metterla in pratica con una simile, disciplinata costanza, ma forse la chiave per comprenderla è tutta racchiusa in due dichiarazioni della scrittrice: «Essendo cresciuta in campagna, penso che il lavoro sia gratificante in sé. Non lo vedo come un onere, né come un destino ingrato» e «Mi sono formata come storica, fare ricerca è quello che amo». O, più sinteticamente: «Il lavoro funziona così: o lo fai bene, oppure non lo fai».
«Dicono che viviamo in un mondo meraviglioso»
E lei lo fa bene. Determinata a rendere giustizia all’essenza dei luoghi che racconta smantellando le mistificazioni per fare emergere una verità di fondo che ha una sua brutale bellezza, nel suo appassionato – e allo stesso tempo – affresco del Wyoming Annie Proulx sembra voler programmaticamente frantumare tutta la mitologia costruita sul vecchio West:4 il mito della «scoperta» dell’America, il mito della «terra promessa», il mito dei padri fondatori, il mito del melting pot, il mito dell’uomo che si è fatto da solo. Quel West ritratto nella cultura popolare e nelle canzoni country come «una specie di giardino o addirittura di Eden paradisiaco che simboleggia la semplicità pastorale e l’indipendenza economica basata su un’agricoltura di sussistenza» e nei film classici come luogo di lotta individuale e collettiva per la terra e la dominazione, di conflitti violenti per domare un ambiente ancora «non civilizzato», Proulx lo presenta per quello che è: un mondo statico, paralizzato, soffocato dalla polvere e stremato dalla siccità, bloccato tra un passato glorioso (che forse non è mai esistito) e un presente svuotato dall’epos e minacciato da infiniti nemici: le industrie estrattive, i ricchi impresari californiani, il clima impietoso.
È lo stesso conflitto che vivono i suoi personaggi, aggrappati a un mito di fondazione che si fa via via sempre più inconsistente, orfani di un epico passato che li legittimi, afflitti dalla nostalgia di un Eden che non c’è mai stato, se non per un brevissimo istante che assomiglia più a una fantasticheria d’infanzia che a un vero ricordo: Deb Sipple che «aveva avuto tutti e due i tipi di vita, quella facile e quella difficile. Era stata facile quando era un ragazzino e la faceva da padrone con le due sorelle, si godeva il ranch che un giorno gli sarebbe appartenuto, aveva sempre la prima scelta sui cavalli, rubava pezzi di torta al cioccolato che la cuoca aveva preparato per la cena»;5 la giovane Linny, di origini Sioux, che dopo essere entrata in possesso di una pellicola in cui Buffalo Bill reinscenava le guerre indiane decide di tornare da una famiglia che non ha mai conosciuto e fare «la vita della riserva», colma di disprezzo per il padre che sembra essersi adattato (o arreso) al cambiamento; Gilbert Wolfscale, preso «nella classica spirale distruttiva: troppo lavoro, pochi soldi, siccità», che continua a vedere il ranch «eterno e immutabile nella sua bellezza. C’era solo bisogno di ragazzi giovani che lo rimettessero in sesto», e la sera ascolta avidamente i racconti dei suoi amici tornati dal Vietnam, invidiando quasi il passato che li lega e che, per quanto tragico, possiede tratti eroici (e chi mai potrebbe ascoltare trasognato un cd con i suoni del Vietnam – «Scontro a fuoco», «Granate», «Ricognizione nella giungla» – e rimpiangere di non poter essere partecipe di quei ricordi, se non un uomo che non è stato in guerra) e che, mentre è paralizzato a un semaforo che diventa verde, poi rosso, poi di nuovo verde, incapace di muoversi, formula la risposta che avrebbe voluto dare alla domanda della madre ormai morta e poi conclude, incapace di articolare lo sgomento, la confusione, la sorpresa, perfino il dolore del presente che gli scorre davanti sotto forma di una sconcertante parata folkloristica: «Non si avvicinava nemmeno a quello che voleva dire, ma era il massimo che riuscisse a fare».
«Così gira il mondo, e così soffia il vento»
Annie Proulx si rifiuta categoricamente di leggere il mondo attraverso le lenti della leggenda consolidata, ma dopo aver grattato via la patina letteraria cosa resta del West? Probabilmente la nuda terra. Un paesaggio dal quale il suo sguardo inflessibile (per quanto affezionato) rifiuta di omettere le parti sconvenienti.6
Se la critica alla letteratura americana fa una netta distinzione tra la terra raccontata dagli scrittori nativi (una terra dotata di anima e volontà, venerata come sorgente di vita e che può essere oggetto di comunione e intima conoscenza) e quella vista con gli occhi degli scrittori euro-americani (qualcosa da assoggettare, da cui estrarre profitto), Annie Proulx rifiuta entrambe queste visioni. E la trilogia del Wyoming è anche questo, una celebrazione estremamente laica di una terra che è al tempo stesso esotica («Se vi trovate in un posto dai cui nomi sembra essere caduta una lettera per sbaglio, è probabile che vi troviate nei territori di Annie Proulx») e intimamente nota, una terra maestosa, sconfinata e bellissima, ma anche aspra, difficile, impervia, che a volte si direbbe quasi cattiva.7
Sarebbe però un errore abbandonarsi a un’interpretazione sentimentalista o allegorica del paesaggio. In Proulx la terra non è un personaggio, non è una metafora né una chiave interpretativa; il paesaggio non...




