E-Book, Italienisch, 192 Seiten
Loe Doppler
1. Auflage 2010
ISBN: 978-88-7091-261-6
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 192 Seiten
ISBN: 978-88-7091-261-6
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Una mattina di novembre Andreas Doppler, norvegese benestante e borghese dal curriculum esemplare, professionista di successo e ineccepibile padre di famiglia, cade dalla bicicletta. Dal colpo in testa si riprende presto ma l'illuminazione che riceve in un istante cambia la sua visione del mondo: la vita che ha condotto fino ad ora perde ogni valore e scopre di essere innanzitutto un cacciatore-raccoglitore, in lutto per un padre che ha appena perso e forse mai conosciuto. Si stabilisce così nel bosco alle porte di Oslo, in una tenda, dove permarrà per vari mesi in compagnia di un cucciolo di alce, Bongo, con cui intavola esilaranti monologhi. Via dalla civiltà capitalista e dai suoi plurimi inessenziali bisogni, dalle aspettative della società in un ritorno alla natura nella più (tragi)comica delle versioni hamsuniane, il suo unico scopo è non fare nulla in una misantropia che ride di se stessa e lasciarsi alle spalle tanta bravura per cercare di diventare un po' più incompetente e felice. Ma una serie di personaggi disturba suo malgrado la sua programmatica solitudine panica. Ne nasce un romanzo dal taglio ironico di 'uomini in crisi': un pensionato vedovo che si dedica a ricostruire un modellino in scala della battaglia in cui perse la vita prima della sua nascita suo padre, un ufficiale tedesco, il ladro gentiluomo, il ricco e arrogante 'uomo di destra' che si converte al baratto propugnato dal protagonista e organizza un festival della fratellanza.
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DICEMBRE
Da adolescente sentivo che non aveva senso vivere con tanta gente in Africa che se la passava così male, mentre io me la passavo così bene. Più di una sera, mentre ascoltavo , venivo preso da questo sentimento. Mi sembrava tutto triste e ingiusto e non vedevo vie d’uscita. Poi mi è passato. All’improvviso com’era venuto. E oggi ci dedico a stento un pensierino. Oggi non ho molto più da spendere della maggior parte della gente che vive in Africa, suppongo. Vivo alla giornata. Sono cacciatore e raccoglitore. Per andare a prendere l’acqua ci metto lo stesso tempo di un africano medio. Se ho molta sete, mi capita anche di immergere la bottiglia nella palude quassù, però l’acqua è marrone e stagnante, sicuramente se ne sta lì ferma da mille anni, quindi preferisco andare fino a uno dei ruscelli nei dintorni. Ma i ruscelli brillano per instabilità. A volte sono troppo bassi per poter attingere l’acqua in modo ragionevole. Oggi l’Africa sono io, penso. Sono in un certo senso sottosviluppato, a parte il mio organo sessuale che è piuttosto sovrasviluppato, e al mondo intorno pare evidente che ho bisogno di aiuto, ma, esattamente come l’Africa, ho la mia fierezza e preferisco cavarmela da solo. La grande differenza tra me e l’Africa è che a me non piacciono gli esseri umani, mentre a lei piacciono molto. Essere circondati da gente, da amici, dalla famiglia, sembra essere una caratteristica dell’Africa, mentre evitare la gente, gli amici e la famiglia, è una caratteristica mia. A parte questo, siamo come due gocce d’acqua, l’Africa e io.
Passo dunque molto del mio tempo ad andare a prendere l’acqua. Per non parlare del latte. L’accordo funziona, però. Il direttore dell’ica mi lascia fuori dal negozio la quantità di latte che aveva promesso di lasciare. E io vado a prelevarlo. Così il bisogno di liquidi è coperto. Le vitamine e i minerali li ho dal latte, nonché dalla mamma di Bongo, di cui ho ancora una notevole scorta. Ma il bisogno di zuccheri non lo soddisfo in nessun modo. Dalla fine della stagione delle bacche non ho più assaggia-to niente di dolce, ed è passato più di un mese. Co-mincio a essere un po’ preoccupato. In fondo sono anch’io, come gli altri, un sofisticato macchinario che va oliato correttamente per poter funzionare. Troppo non va bene e troppo poco non va bene uguale. Senza zucchero entro in crisi e mi innervosisco quando mi accorgo che per ore non ho fatto altro che girare intorno alla tenda come un animale malato senza pensare ad altro che allo zucchero, e dopo giorni di una tale ansia, prendo con me Bongo e scendiamo verso l’abitazione di Düsseldorf. So per esperienza che ha sempre in casa una riserva di cioccolato. Va matto per il cioccolato, il buon vecchio Düsseldorf. E io ho insegnato a Bongo a trasportare pesi. Con la pelliccia di sua madre ho cucito due sacche, o borse, o come diavolo le vuoi chiamare, gliele butto sopra e le fisso sotto la pancia. Funziona a meraviglia e Bongo non sembra avere niente in contrario. Pur di venire con me, è felice. È il mio alce da soma. E porta legna, acqua e latte come se non avesse mai fatto altro in vita sua. Rimaniamo a lungo a osservare gli andirivieni di Düsseldorf dal confine del suo giardino. È alle prese con una nuova costruzione. Non riesco a vedere di cosa si tratta, ma sembra profondamente concentrato a lavorare di pinza e colla. È di nuovo reduce da un viaggio. Sul bancone della cucina c’è il più grande Toblerone che sia mai stato messo sul mercato. Pesa quattro chili e mezzo, è lungo oltre un metro e spesso come la mia coscia. Mi è capitato più volte di vederne di simili. All’aeroporto di Copenaghen e anche in altri aeroporti che frequentavo per lavoro prima di trasferirmi nel bosco. Però io compravo sempre solo i piccoli. Non ho mai osato fare il passo di comprare quello grande. È stata la solita bravura a impedirmelo, credo. Sempre bravo. I Toblerone piccoli sono da bravi. Dimostrano l’attenzione di un padre per la sua famiglia. Si è ricordato di loro. Ha pensato a loro. Invece i Toblerone giganti sono troppo grandi per essere da bravi. Sono estremi e rivelano qualcosa di sospetto in chi li compra. Ha disturbi alimentari. È solo. È strano. Può essere qualunque cosa. Mi accorgo che provo rispetto per questo lato di Düsseldorf. La capacità di pensare in grande. E stasera sta aerando la casa. La porta del giardino è semiaperta perché vuole dare aria, e vuole dare aria perché fuma. Perfino i fumatori che vivono soli cambiano l’aria. Pensa a che punto siamo arrivati. E io posso approfittarne. Raccomando a Bongo di starsene zitto e fermo dietro un cespuglio e sgattaio-lo dentro per la porta che dà sul giardino, striscio rasente al pavimento della cucina, verso il Toblerone, verso quell’enorme, per non dire gigantesco, Toblerone, che voglio con tutto il mio essere, ma è più di una voglia, è un bisogno assoluto di zucchero, un’attrazione incontenibile per quel cioccolato che potrebbe assicurarmi l’apporto di zuccheri di mesi, se non di un anno intero; allungo la mano su fino al bancone e tiro il colosso verso il bordo, piano piano, più vicino, sempre più vicino, finché eccolo lì, sull’orlo, in bilico, io non faccio nessun rumore, come non l’hanno mai fatto i cacciatori-raccoglitori, mai abbiamo fatto rumore sul lavoro, siamo rimasti zitti per quarantamila anni, ed ecco che quasi ci sono, mi allungo, mi tiro... E non sento che Düsseldorf si è alzato e viene verso la cucina: ho attivato la modalità concentrata che filtra i rumori inutili, e il sistema codifica l’arrivo di Düsseldorf come non-necessario. Si tratta di un fatale errore di valutazione e io non sospetto nulla, come un idiota, finché lui non doppia in un solo balzo l’angolo della cucina, vede quanto sta per accadere e si precipita verso il Toblerone, lo afferra e inizia tra noi un corpo a corpo. Io mi rifiuto di mollare la gigantesca barra e Düsseldorf si aggrappa con tutte le sue forze, è un vero duello nella forma più classica, e benché sulla carta io sia senza dubbio superiore, dopo poco mi ritrovo sbigottito testimone a guardare Düsseldorf che mi strappa il Toblerone dalle mani e me lo picchia ripetutamente sulla testa con violenza. Vedo tutto nero e quando torno in me sono legato come un salame, come purtroppo si usa dire, sul pavimento della cucina di Düsseldorf, che per di più, come se non bastasse, è di linoleum marrone.
Passano le ore e non smettono mai di arrivarmi dalla sala i rumori che fa Düsseldorf costruendo il suo modellino. Continua imperturbabile a occuparsi dei casi suoi, lasciandomi al mio triste destino. Dà prova di una concentrazione su se stesso impressionante. È totalmente monomaniaco.
Cosa stai costruendo? finisco per chiedergli.
Rumori di costruzione.
Cosa stai costruendo? ripeto.
Deduco che sei tu quello che si è intrufolato nella mia cantina a prendere marmellata e carne in scatola, fa lui.
Temo che tu abbia ragione, dico. Ho portato via un paio di cosette in un certo periodo, ma adesso ho smesso.
Hai smesso perché ho installato l’allarme, replica Düsseldorf.
Potrebbe anche essere vero, ammetto.
E adesso ecco che ricominci, continua.
Ho un estremo bisogno di zucchero, gli spiego. Non posso farne a meno.
I lavori di costruzione proseguono per un po’. Poi sento che posa qualcosa sul tavolo e si alza.
Entra in cucina, apre il Toblerone e ne taglia un pezzo con il coltello da carne. Me lo dà. Dritto in bocca.
Ohoh, pensa il mio corpo. Zucchero! Il mio organismo viene ricolmato di silenzioso giubilo. Ci voleva tanto poco. Ecco come siamo fatti. Così maledettamente banali.
Düsseldorf torna in sala.
Dunque stai costruendo? riprovo dopo un po’.
Sì, sto costruendo, fa Düsseldorf.
Penso che stia per aggiungere qualcosa e aspetto a lungo in religioso silenzio, ma evidentemente ha già detto tutto quel che aveva da dire.
Cos’è che stai costruendo? chiedo ancora.
Sento che posa qualcosa sul tavolo e rimane im-mobile.
Percepisco una specie di irritazione. Poi riprende a costruire.
Sto costruendo uno Steyr Type 1500A/01 tedesco, mi arriva infine dalla sala.
Aspetto che aggiunga qualcosa, ma è di nuovo silenzio.
Ah, commento.
I tedeschi se la sono cavati bene nella prima metà della guerra, riprende. E una delle ragioni è che avevano un buon equipaggiamento. Avevano buone macchine, buoni carri armati, buoni aerei, eccetera.
Silenzio.
Se non ricordo male, però, non gli è andata al-trettanto bene nell’ultima parte della guerra, dico, cominciando zitto zitto a torcermi come un’anguilla verso la porta del giardino.
No, conferma Düsseldorf. Non gli è andata be-ne. Però all’inizio sì. E, come ho detto, avevano del-le buone macchine. Quella che sto costruendo era fabbricata in Austria e ce n’erano cinque diverse ca-tegorie di peso, questa è quella di una tonnellata e mezzo che fu molto utilizzata dallo stato maggiore e perfino come veicolo da traino e ambulanza.
Un mezzo versatile, faccio io.
Esatto, approva Düsseldorf. Quattro ruote mo-trici. Motore otto cilindri, tre litri e mezzo....




