E-Book, Italienisch, 209 Seiten
Offutt Country Dark
1. Auflage 2018
ISBN: 978-88-7521-980-2
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 209 Seiten
ISBN: 978-88-7521-980-2
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Tucker è appena tornato nel suo Kentucky dopo aver partecipato a una delle guerre più sporche e dimenticate della storia americana, quella di Corea. Ha combattuto in condizioni estreme, non ha esitato a uccidere, come se fosse la cosa più naturale al mondo, è un reduce senza medaglie e senza rimorsi. Vuole solo ricongiungersi alle terre aspre e isolate nelle quali è cresciuto, costruirsi una famiglia e vivere in pace, anche se per farlo deve lavorare alle dipendenze di un contrabbandiere di alcol. Ma quando il suo fragile equilibrio e i suoi affetti più cari vengono messi in pericolo non ha la minima titubanza: riprende in mano le armi, che sa usare come pochi, e si prepara a difendere ciò che ama nell'unico modo che conosce. Dopo il grande successo di critica e di pubblico che ha ricevuto la sua raccolta d'esordio, Nelle terre di nessuno, Chris Offutt ci riporta in Kentucky, regalandoci un romanzo potente e teso come una corda di violino: una storia di violenza e vendetta che appassiona come un noir e illumina i lati più nascosti e oscuri del sogno americano.
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Capitolo secondo
Tucker aveva mentito sulla sua età e si era arruolato undici mesi prima della fine della guerra di Corea. A casa, sulle colline, sembravano tutti uguali: bassi, robusti, strabici e forti. Negli ultimi mesi Tucker aveva vissuto e lavorato con gente di fuori – italiani, ebrei, negri, polacchi e indiani – e non vedeva molte differenze al di là del colore della pelle e dell’accento. Avevano tutti nostalgia di casa. I soldati neri all’inizio lo avevano messo alla prova, cercando di capire se fosse un razzista del Sud, ma Tucker aveva passato l’esame e aveva finito col preferire la loro compagnia a quella degli altri. Erano cresciuti poveri come lui, avevano cacciato la stessa selvaggina, vissuto separati dalla gente elegante, e avevano bisogno di poche cose. I più strani di tutti erano i soldati bianchi che disprezzavano Tucker perché faceva gruppo coi neri. Non aveva senso, e aveva solo rafforzato la sua determinazione a evitare la gente in generale.
Dopo l’addestramento avanzato a Fort Campbell, i soldati migliori furono schierati e passati in rassegna. Tucker era in prima fila con le migliori reclute dell’esercito: tiratori scelti, mitraglieri, soldati equipaggiati con il fucile automatico BAR, esperti di combattimento corpo a corpo, granatieri, tutti con indosso l’uniforme da combattimento sotto un sole giallastro. Avevano di fronte due ufficiali: un colonnello che non avevano mai visto e il maggiore Buckner, che tutti consideravano una grandissima testa di cazzo. Buckner aveva sempre gli anfibi lucidati a specchio e ci infilava dentro i pantaloni in modo che non perdessero la piega. Portava anche il soggolo allacciato stretto sotto al mento, per tenere fermo il suo immacolato cappello di lana con la visiera lucida. Aveva pure un piccolo bastone da ufficiale con la punta di ottone, e lo faceva ruotare così bene che doveva essercisi esercitato per ore.
Il maggiore parlò a vanvera per parecchi minuti, prendendosi il merito dei risultati raggiunti dai soldati e riuscendo anche a leccare i piedi al colonnello Anderson, che stava lì con forzata pazienza, e lo nascondeva a malapena. La voce del maggiore si arrampicava con foga su toni striduli, procedendo in fretta e a volume alto. Tucker digrignava i denti per non mostrare alcuna espressione. Guardando fisso avanti a sé, notò gli anfibi sporchi di fango del colonnello, la sua uniforme raggrinzita e il cappello di lana con la tesa abbassata e il bordo di cuoio opaco.
Il maggiore concluse i suoi prolungati commenti e cedette il posto al colonnello, che guardò attentamente gli uomini. Le spalle di Tucker si raddrizzarono come di loro iniziativa, col mento che si sollevava leggermente per dare un’illusione di altezza. Il colonnello aveva le labbra sottili e il collo lungo, la schiena dritta come un palo. Le spalle pendevano in avanti come se il volto guidasse il resto del corpo. Tre rughe profonde solcavano entrambi i lati del viso, con grinze più corte che si arcuavano intorno alla bocca, unite da altre ancora più piccole, come i resti asciutti degli affluenti di un fiume. Aveva dei piccoli baffi grigi. Era lì, forte come una roccia, poi si mise a camminare con la fluidità di un torrente. Tucker non riusciva a capire da dove accidenti fosse saltato fuori, il colonnello. Sembrava al tempo stesso giovane e vecchio, proprio come un neonato somiglia al suo bisnonno.
Il colonnello Anderson parlava con toni morbidi, quasi mansueti, ma scandiva in modo rapido e secco ogni parola, perché la sua voce arrivasse a ogni soldato. Offrì agli uomini l’opportunità di unirsi a un gruppo di forze speciali. Avrebbero operato dietro le linee nemiche, contro i cinesi che stavano rinforzando le truppe nordcoreane. L’addestramento comprendeva nozioni mediche di base, tecniche di sabotaggio, impiego degli esplosivi, combattimento corpo a corpo, tecniche di evasione e orientamento. Sarebbero stati impegnati in operazioni difficili, pericolose e di vitale importanza.
«Il vostro compito», disse con tono pragmatico, «sarà quello di lanciarvi da un aereo e uccidere il nemico. Sto cercando volontari».
Tucker alzò subito la mano. Alle sue spalle si udì un rapido fruscio di stoffa, mentre altri uomini seguivano il suo esempio. Il colonnello guardò gli uomini in formazione, impassibile. Il sole si alzò dietro di lui, proiettando la sua lunga ombra sul terreno. Tucker strinse le palpebre per difendersi da quel bagliore. Non era mai salito su un aereo, e non ne aveva mai visto uno se non da lontano, sulla pista della base.
La testa del maggiore Buckner passò da una tonalità rosa al rosso e infine al cremisi, come se si fosse scottata di brutto, e in pochi secondi. Arricciò il labbro superiore in segno di disprezzo, quando vide sette uomini ancora con le braccia abbassate.
«Quando il colonnello chiede dei volontari», disse, «voi vi offrite volontari, cazzo».
Un insetto deviò dalla propria rotta, ma lui lo allontanò senza che entrassero in contatto. La sua carne rossa si gonfiò intorno al soggolo del berretto. Indicò un soldato robusto, accanto a Tucker, un uomo biondo del Minnesota, col fantasma dei suoi antenati vichinghi che gli scorreva nelle vene.
«Tu». La voce del maggiore divenne ancora più stridula per lo sdegno. «Perché non hai alzato la mano?»
L’uomo sbatté le palpebre, sventolando le ciglia pallide. Furioso, il maggiore sollevò il bastone e assestò sulla gamba dell’uomo un colpo secco, che riecheggiò per tutto il campo di addestramento. Il soldato fece una smorfia e continuò a guardare avanti. Buckner lo colpì altre due volte, con un rumore forte come quello di un’ascia. Il maggiore si rivolse a Tucker.
«Che cazzo di problema ha il tuo amico?»
«Non lo so, signore», disse Tucker.
«Scoprilo».
Rivoli di sudore scorrevano sul volto arrossato dello Svedese. Poteva correre tutto il giorno con lo zaino affardellato, imbracciando il pesante fucile automatico BAR, senza mai lamentarsi. Era timido per via di un disturbo del linguaggio, peggiorato da un’istruzione che si era fermata alle elementari. Lo Svedese prendeva tutto alla lettera.
«Dimmelo», gli disse Tucker. «O ci picchia tutti e due».
«Pa-a-caute», disse lo Svedese.
«Il paracadute, signore», disse Tucker rivolgendosi al maggiore Buckner.
«Che cosa? Fatti sentire».
«Il colonnello», disse Tucker. «Non ha parlato del paracadute».
Il maggiore alzò il bastone ma il colonnello Anderson era stanco di quel cerbero azzimato. «Basta», ordinò, la voce venata di durezza.
Il maggiore Buckner si irrigidì, riportando lentamente il bastone in posizione da parata, infilato stretto sotto al braccio sinistro, parallelo al terreno. Fece due passi indietro e tornò dal colonnello.
«Signore», disse il maggiore, «questi uomini sono una vergogna. Saranno puniti severamente».
Il colonnello lo ignorò. «I volontari restino», disse, e indicò il grosso uomo del Minnesota. «Anche tu resti».
«At-tenti!», disse il maggiore, guardando con compiaciuta soddisfazione i soldati che salutavano all’unisono. «I codardi rompano le righe».
Il colonnello Anderson attese che i sei soldati si fossero allontanati prima di parlare. «Mi dia il suo bastone».
Il maggiore gli offrì con un lieve svolazzo il bastone lucido. Il colonnello Anderson alzò la gamba e lo spezzò contro il ginocchio. Lasciò cadere a terra i pezzi scheggiati.
«Nel mio esercito non si picchiano i soldati», disse. «Può andare, maggiore».
Pallido e con gli occhi sgranati, il maggiore salutò con un tremito incontrollabile della mano. Ruotò su se stesso e se ne andò a passo di marcia, l’andatura leggermente sbilenca, come se la mancanza dell’adorato strumento compromettesse il suo equilibrio.
Il colonnello Anderson si avvicinò al ragazzone del Minnesota.
«Come ti chiami, soldato?»
«Lund».
«E ti chiamano “Svedese”?»
Lund annuì, stupito che il colonello fosse così perspicace.
«Farebbe qualche differenza, se ti addestrassimo a lanciarti col paracadute?»
«Oh...»
«Ci salteresti da un aereo, se io ti facessi avere un paracadute?»
Lund aggrottò per qualche attimo la fronte, poi capì, e il suo viso si rilassò. Alzò la mano, annuendo.
«Come sta la gamba?», disse il colonnello.
Lund alzò le spalle. Il colonnello Anderson fece il giro della formazione, che adesso era costellata dei buchi lasciati dagli uomini che se n’erano andati. Giunto al centro, si mise di fronte al soldato in miniatura che aveva parlato, basso e glabro, come un bambino con la mimetica. Aveva ancora il braccio alzato, le dita protese verso il cielo.
«Tu quanto sei alto?», disse il colonnello.
«Un metro, sessantacinque e mezzo, signore».
«Sei sicuro del mezzo centimetro?»
«Sissignore».
«Hai smesso di crescere?»
«Non lo so, signore. Spero di no».
Il colonnello annuì come riflettendo su quella risposta, mentre nascondeva il suo divertimento.
«Perché ti sei arruolato nel mio esercito, soldato?», disse il colonnello.
«Per andare via di casa, signore».
«E casa dov’è?»
«Da questa parte del confine della contea di Rowan, qui nel Kentucky».
«Non sei andato tanto lontano».
«No, signore. Ma da qui si vede più cielo».
«Per questo ti sei offerto volontario nelle...




