E-Book, Italienisch, 192 Seiten
Pugno L'oltre
1. Auflage 2025
ISBN: 979-12-5981-343-5
Verlag: Il Saggiatore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 192 Seiten
ISBN: 979-12-5981-343-5
Verlag: Il Saggiatore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Cosa succede quando la poesia smette di essere parola e diventa luogo, materia, paesaggio in continua trasformazione? L'oltre è un viaggio ai margini del linguaggio, dove la scrittura si intreccia con il mondo selvatico e l'abbandono si fa spazio di rinascita. Laura Pugno esplora il confine in cui la parola smette di descrivere e inizia a esistere, interrogandosi su cosa significhi abitare il linguaggio come si abita un territorio. Attraverso il concetto di Terzo paesaggio di Gilles Clément, l'autrice varca margini incolti e interstizi dimenticati, luoghi in cui la biodiversità resiste fuori dalle logiche di potere e produzione. È lì che anche la poesia si rifugia e si rigenera: un territorio liminale tra il visibile e l'invisibile, tra l'urbano e il selvatico, tra la memoria e il futuro. La ricerca di Laura Pugno coinvolge poeti, filosofi, artisti, aprendo un dialogo sulla parola come strumento di riconfigurazione del reale, dove il linguaggio stesso diventa un bosco attraversato da sentieri incerti, una mappa ancora da decifrare. L'oltre è un invito a ripensare il nostro rapporto con la parola e con il mondo. Nella scrittura come nel paesaggio, c'è uno spazio che sfugge alla classificazione, una zona in cui l'umano e il non umano si intrecciano in una nuova forma di coesistenza. Entrare in questo spazio significa riscoprire il senso profondo della poesia come luogo di resistenza, di metamorfosi, di possibilità.
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1. Come sono arrivata fin qui
Una premessa personale
Come sono arrivata fin qui, per poi spingermi oltre, l’oltre del titolo?
Negli ultimi anni ho molto scritto, e chiesto di scrivere, sul concetto di Terzo paesaggio di Gilles Clément,1 tracciando un’analogia tra quest’idea e lo stato della poesia oggi, in Italia e altrove.
Una via non ancora battuta, un paesaggio intravisto da un treno. E la poesia, il quarto stato della parola – materia.
Per Clément, il Terzo paesaggio sta tra ombra e luce, tra produzione e industria, è privo di nome, copre interstizi, strisce di terra e di verde, o grandi spazi: è il non pensato dove la diversità si rifugia, scacciata da qualsiasi altrove.
È tutto ciò che non è messo a sistema, spazio indeciso, margine incolto, o anche luogo prima sfruttato e poi abbandonato, se, ancora per Clément, residuo e incolto sono sinonimi.
Spazio in cui, almeno in teoria, la diversità non è finita, né nel tempo né nello spazio: nella biosfera cui apparteniamo, la Terra contemplata dagli astronauti, il Giardino planetario del paesaggista-giardiniere, la casa in fiamme da cui non possiamo fuggire.
Rifugio, tana, difesa: passivo, il Terzo paesaggio, e allo stesso tempo attivo: riserva, serbatoio di nuove potenzialità, casa dell’imperfezione, casa dei dèmoni, inconscio dell’ordinato, del costruito.
Anche, forse, per Clément, spazio comune del futuro: «Terzo paesaggio rimanda a Terzo stato (non a Terzo mondo). Spazio che non esprime né potere, né sottomissione al potere».2
Leggevo queste cose e mi chiedevo, può tutto questo aiutarci a pensare la poesia?
Può quest’analogia, bella e terribile come tutto ciò in cui intuiamo – perché di un’intuizione si tratta – qualcosa di vero, farci pensare nel modo in cui ci fanno pensare le immagini?
Negli anni successivi, intorno a questa domanda – può tutto questo aiutarci a pensare la poesia? – poiché non avevo risposte ho continuato a interrogarmi. E ho cominciato a interrogare altre e altri.
Ho tenuto a lungo un questionario su Le parole e le cose,3 avviando una conversazione dentro la poesia e fuori, verso le arti e la filosofia, ponendo queste quattro domande:
Di quest’analogia tra poesia e Terzo paesaggio, cosa te ne sembra? La senti vera? Cosa ti fa ulteriormente immaginare?
E la letteratura, l’arte più in generale? Che tipo di paesaggio occupano intorno a questo incolto, residuo, friche?
E uscendo dalla letteratura? Dove ci conduce questa conversazione? Verso quali campi? Verso quale politica nel senso più ampio di questa parola, che riguarda non solo il politico come è normalmente inteso ma anche (oltre) l’umano?
Che cos’è che non ti ho chiesto, e che vorresti dire?
Hanno risposto in molte, e molti, parlando di scrittura, di letteratura, di arte, parlando soprattutto di mondo. Alcune delle loro parole entreranno a far parte di questo libro, volta a volta le citerò, mentre insieme continuiamo a farci domande su chi scrive poesie nell’Antropocene, come si chiede Renata Morresi. Verso la X, come ci ricorda Italo Testa, il margine, l’altrove, l’oltre.
Portandoci così dritti al punto. La poesia, e che cosa abbia a che fare con tutto questo.
Nella seconda primavera della pandemia, mi si è offerta l’occasione di approfondire la questione in un programma in dieci puntate, Oltrelontano. Poesia come paesaggio, in onda per Radio 3 Suite dal 1 al 13 marzo 2021.
L’ipotesi lì esplorata, dopo anni di dialogo e confronto, era ed è questa: che la poesia italiana degli ultimi trenta-quarant’anni intrattenga una relazione speciale col paesaggio, dall’urbano al selvatico, un paesaggio in cui il soggetto, molteplice e mobile, si nasconde, si indaga e va a cercarsi; che il viaggio che la poesia italiana compie, dagli anni ottanta a oggi, insieme a noi abbia luogo, ancora più di sempre, in quello che è allo stesso tempo paesaggio reale, landscape, e paesaggio (pensato, sognato) della mente. Mindscape, come lo chiamerebbe lo studioso e psicoanalista Vittorio Lingiardi.4 Mente paesaggio, per me.5
(Ed è sempre Lingiardi, evocando lo psichiatra Donald Meltzer, a ricordarci come il nostro primo paesaggio, quando la mente non è del tutto formata, sia in realtà corpo, il corpo della madre, orizzonte illuminato dal sole e attraversato dalle nuvole, ambiente-mondo enigmatico che brevemente coincide con la totalità, che evoca allo stesso tempo il sentimento oceanico e la sua perdita. Questo paesaggio originario è la prima incarnazione per noi della bellezza, ci dice Lingiardi, e della terribile potenza del mondo. Per questo il nostro rapporto con l’enigma, il nostro conflitto, fort-da, attraverserà tutto ciò che riguarda la bellezza, da quell’origine, secondo quell’origine, in poi.)
Ma torniamo alla poesia di oggi, al suo orizzonte inquieto in cui si muove un sé poetico fluido e friabile, maschio e femmina, di diverse età e generazioni, incostante e allo stesso tempo incessante. Chimera, ibrido, totem, daimon. Una voce, molte voci poetiche che fanno come se tra soggetto e oggetto, tra soggetto e mondo non vi fosse più soprattutto separazione, rottura, distacco, ma invece relazione, connessione, coincidenza mobile. Le poete, i poeti, non dimentichiamolo, sono sensori del proprio tempo… e sembrano praticare, in questa nuova relazione con l’intorno (l’aperto che diviene chiuso che ritorna aperto e così via), una speciale forma di animismo. Un animismo che è tecnica, teoria del tutto «come se», ci ricorda nei suoi saggi Matteo Meschiari, e che si colloca sotto il segno della metamorfosi. Creando così, a partire dal crinale del cambiamento d’epoca tra gli anni settanta e gli ottanta (perché oggi è forse negli anni settanta, la decade della mia nascita, che inizia davvero il passato), una piccola comunità animista, per usare un’espressione in versi di Franco Buffoni.
Così, lentamente, per le esplorazioni in voce di Oltrelontano, il paesaggio diventa il corpo, le case vedono i tetti sfondati e attraversati da alberi – come in una pièce di Cuocolo/Bosetti o nell’opera di Giuseppe Penone. Domestico e selvatico si trasformano e si fondono l’uno nell’altro, in un orizzonte dove la poesia può prendere forme animali, essere un mondo senza di noi o un luogo di stoccaggio di detriti radioattivi, come immagina in Teoria delle rotonde Italo Testa.6
Il corpo di chi parla e scrive (e ascolta) si ferma sulle soglie del bosco che diventerà.
E nella poesia come paesaggio il bosco è un luogo reale, il bosco dietro casa di tanta provincia italiana; è un luogo della mente, ma è anche, inevitabilmente, il bosco di tutte le fiabe, riscritte e reinventate, come nella poesia di Francesca Matteoni – pensiamo ad Acquabuia7 ma anche alle prose fiabesche di Io sarò il rovo8 – senza confini, in una nuova geografia.
E anche: la poesia come paesaggio – pensiamo, per esempio, a certi testi di Francesco Terzago – non ignora il cambiamento climatico, che sappiamo di dover chiamare catastrofe climatica, anzi. La natura si intreccia con la storia, la scrittura filtra il mondo insieme a tutto ciò che contiene, la città, il giardino (il tentativo, ripetuto nella durata, di rendere umano l’ambiente non umano, in una alternanza costante, una costante inquietudine di luce e ombra), l’orto.
Il Terzo paesaggio, ovunque, ci appare come se fosse la continuazione del bosco con altri mezzi, se la fine è nuovo inizio.
La poesia come paesaggio abita così il mondo con la forza e la potenza di un fantasma, di un’ossessione, e allo stesso tempo ne è abitata, attraverso le varie genealogie letterarie del fare poesia in Italia oggi. Verso un territorio comune, tra le due linee di faglia della poesia come ricerca e della poesia come pratica di riconoscimento e appartenenza a una comunità.
Oltrelontano è una parola d’invenzione, viene da una serie poetica inserita nel mio Noi,9 e contiene l’oltre, l’altro nome del bosco, la frangia di parola-pensiero che la poesia strappa all’acqua del non detto perché non dicibile, la letteratura come avventura. La poesia come pensiero e opera che viene da un prima, e che è ancora possibile (ancora credibile, potremmo dire) in un dopo: come concetto che interseca tutto il complesso ripensamento del nostro mondo, il mondo stravolto dalla catastrofe climatica.
Che cosa significa scrivere, continuare a scrivere, nel momento in cui l’orizzonte del tempo a venire, l’aere perennius, diventa frastagliato, potrebbe interrompersi, addirittura cancellarsi (quantomeno per noi)?
Ecco il nucleo di queste poche pagine: negli scorsi mesi, in qualche caso anni, anche in Italia sono stati finalmente tradotti, e quindi resi accessibili alle lettrici e ai lettori, scritti filosofici e antropologici, soprattutto antropologici, che ci invitano a pensare a (e a vivere in) un’antropologia oltre l’umano come unica antropologia non solo ormai possibile, ma sensata.
Tutti questi concetti intersecano, anche solo per istanti, la traiettoria della poesia. Proverò, brevemente, a dire perché mi sembra...




