Solstad | Romanzo 11, libro 18 | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, 192 Seiten

Solstad Romanzo 11, libro 18


1. Auflage 2017
ISBN: 978-88-7091-382-8
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 192 Seiten

ISBN: 978-88-7091-382-8
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Arrivato ai cinquant'anni, Bjørn Hansen non può accettare l'idea che tutta la sua vita sia stata dominata dal caso, dal gioco sociale, dalle illusioni su cui ha via via costruito e demolito i castelli delle proprie scelte. Diciotto anni prima ha abbandonato la moglie, il figlio piccolo e una promettente carriera di funzionario statale a Oslo per seguire la sua amante Turid Lammers in una cittadina della Norvegia profonda. Irretito dal fascino dell'avventura, inseguendo un'intensità che aveva potuto intravedere solo nell'arte e nella letteratura, si è ritrovato a fare l'esattore comunale e l'attore di operetta in una compagnia di teatro amatoriale di cui Turid era la star. Poi la stella di Turid si è spenta, la passione per lei è svanita, e l'esattore-attore è rimasto solo con il suo ruolo grottesco di colonna portante della società di provincia. Ma proprio ora che sente il tempo sfuggirgli senza trovare risposta ai bisogni più profondi della sua esistenza, Bjørn Hansen scopre nel dottor Schiøtz il complice ideale per realizzare un piano rivoluzionario: un'azione decisiva e irreversibile con cui potrà esprimere al mondo la sua protesta, il suo rifiuto, «il suo grande No». Indagatore radicale, dirompente e finissimo del vivere contemporaneo, Dag Solstad compone un romanzo esistenziale che ha il fascino ipnotico di Kierkegaard e Camus, e la forza comica e poetica di un cinico irrisolto che non può fare a meno di sondare fino all'estremo la dimensione umana, calandoci in personaggi paradossali in cui ci sorprendiamo a riconoscere una parte di noi stessi.

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Spesso, in quelle passeggiate domenicali, Bjørn Hansen era accompagnato da Herman Busk, il dentista cantante. Camminavano di buon passo per la campagna intorno a Kongsberg, sulle colline sopra la città, dove prendevano sentieri che li portavano a qualche vetta, come al popolare rifugio Knutehytta. Vestiti all’antica, con pantaloni alla zuava e anorak, passeggiavano nella natura chiacchierando. Erano entrambi uomini di mezza età, rispettati dalla società in cui da molto tempo avevano trovato il loro posto. Herman Busk come dentista, Bjørn Hansen come esattore municipale. La domenica era giorno di escursioni. I sentieri sulle colline della vecchia città mineraria erano piuttosto affollati. Tutti escursionisti. Sia Bjørn Hansen che Herman Busk incontravano di continuo qualche conoscente che salutavano prima di proseguire, o con cui uno dei due scambiava qualche parola, Bjørn Hansen o Herman Busk, mentre l’altro aspettava. Potevano essere amicizie comuni dell’Associazione teatrale, gente con cui Bjørn Hansen aveva a che fare nel suo lavoro di esattore, o ancora pazienti di Herman Busk. Di tanto in tanto, rientrando in città dopo l’escursione, andavano a casa di Herman Busk, dove la signora Berit li aspettava con la cena pronta. Altrimenti si separavano e ognuno prendeva la sua strada. Bjørn Hansen veniva invitato a cenare a casa della famiglia Busk circa una volta al mese. Una cosa che apprezzava molto, perché niente era come tornare da una lunga escursione a piedi nella natura, entrare nell’ingresso della casa di Herman Busk e sentire nelle narici il profumo dell’arrosto della domenica: Bjørn Hansen non mancava di esprimerlo ad alta voce, in un modo che faceva molto piacere alla signora Berit. Però non gli dispiaceva neppure mangiare da solo. Spesso la domenica cenava al Grand Hotel, che aveva una cucina eccellente, superiore a quella della vecchia Kongsberg Kro, che dopo la ristrutturazione seguita all’incendio di qualche anno prima non aveva più raggiunto i vertici di un tempo. Gli piaceva mangiare al ristorante la domenica sera, solo, servito da un cameriere educato che lo conosceva, perché era un cliente abituale. Spesso, mangiando, ripensava alle cose di cui aveva parlato con Herman Busk mentre camminavano lungo i sentieri di collina. Discutevano molto di letteratura, perché erano entrambi grandi lettori, benché dai gusti abbastanza diversi. Herman preferiva romanzi lunghi e piuttosto convenzionali, spesso nelle edizioni del club del libro, mentre Bjørn Hansen comprava quasi sempre i suoi libri alle grandi svendite annuali, dove si trovavano i veri tesori. Di rado riuscivano quindi ad avere una discussione proficua sulle singole opere, poiché Herman Busk non aveva letto i libri che aveva letto Bjørn Hansen, e a Bjørn Hansen non interessavano i libri che leggeva Herman Busk. In compenso amava sentirglieli raccontare, soprattutto quando spiegava i motivi per cui gli piacevano, forse non tanto per gli argomenti e le parole che usava, quanto per il tono di voce, che dimostrava come avessero una comune cornice di riferimento, benché poi, all’interno di quella cornice, ognuno contrapponesse le proprie grandi esperienze di lettura a quelle dell’altro. Per la stessa ragione Bjørn Hansen sapeva che Herman Busk lo avrebbe capito quando, pieno di orgoglio, una domenica d’autunno, mentre gli alberi avevano cominciato a spogliarsi e i sentieri erano coperti di foglie gialle simili a un tappeto, o a spazzatura, se preferite, gli annunciò che avevano appena assegnato il Premio Nobel per la letteratura a Camilo José Cela, del quale lui, Bjørn Hansen, aveva letto un romanzo intitolato La famiglia di Pascal Duarte. Lo aveva trovato in una grande svendita sette anni prima, un’unica copia alla quale nessun altro era interessato, tanto che l’aveva pagata quasi niente. In Norvegia erano pochi ad aver sentito parlare di Camilo José Cela, il romanzo doveva aver venduto duecento copie al massimo, compresa la grande svendita annuale, e lui era stato uno dei duecento compratori. Dalle interviste che aveva letto dopo l’assegnazione del Nobel, Bjørn Hansen aveva capito che ben poche tra le personalità letterarie intervistate avevano letto qualcosa di Cela. Invece un abitante di Kongsberg lo conosceva. L’esattore comunale di Kongsberg aveva scoperto quel romanzo, frutto della mente di un autore spagnolo di qualità eccelsa, il che doveva pur voler dire qualcosa. Dov’erano gli altri duecento lettori? Sicuramente ce n’erano diversi nelle nostre tre più grandi città, Oslo, Bergen e Trondheim, e tra quei duecento, con ogni probabilità, c’era qualche conoscitore della lingua spagnola, sparso per questo nostro lunghissimo paese, che aveva letto il libro in norvegese per controllare la traduzione; ma se fosse stato possibile ottenere una lista precisa, ci sarebbero state senza dubbio delle sorprese. Ce n’era uno a Kongsberg in ogni caso, ma Bjørn Hansen era certo che in qualche piccola località norvegese ci fosse un grappolo di lettori di Cela: nel paesino di Geithus, per esempio. Geithus? Perché no? Potevano esserci benissimo quindici lettori di Cela a Geithus, è così che succede, la lettura di certi romanzi è come un’epidemia in miniatura, un’epidemia segreta che scoppia all’improvviso nei posti più strani, senza mai arrivare in altri. «Prima non funzionava così, ma adesso sì», disse Bjørn Hansen in tono euforico, perché era orgoglioso di appartenere ai duecento membri scelti della confraternita segreta che aveva letto La famiglia di Pascal Duarte di Camilo José Cela. «Un romanzo cupo, devo dire», precisò Bjørn Hansen. «Parla di un analfabeta che uccide a sangue freddo, una leggenda spagnola che la dice lunga su come la gente venga su nell’arida e crepata Estremadura. Però», aggiunse pensoso, «era cupo abbastanza? Voglio dire: il libro mi è piaciuto, ma è andato abbastanza a fondo? Nella mia esistenza, intendo.» Detto questo rimase in silenzio, né Herman Busk trovò nulla da aggiungere. Continuarono a camminare in silenzio, uno accanto all’altro. Del resto le loro escursioni erano quasi sempre così, la tirata di Bjørn Hansen in occasione del Nobel a Cela era più un’eccezione che una regola; in genere parlavano quando veniva loro naturale, e spesso erano monologhi, come in questo caso, ma per la maggior parte del tempo camminavano uno accanto all’altro, entrambi assorti nei propri pensieri, interrotti solo quando dovevano rispondere ai gentili cenni di saluto dei passanti. Nel periodo in cui Cela aveva vinto il premio Nobel, però, Bjørn Hansen era più silenzioso del solito, perché aveva un assillo che lo tormentava. Avevano cominciato a fargli male i denti. In verità non era sicuro che avessero cominciato allora, forse gli facevano male da un pezzo ma se n’era reso conto solo negli ultimi tempi, perché doveva affrontare il fatto che di lì a poco avrebbe compiuto cinquant’anni, aveva raggiunto il culmine e presto sarebbe iniziata la discesa. Comunque era davvero preoccupato per quel dolore, o almeno fastidio, ai denti. Avrebbe voluto parlarne a Herman Busk, ma temeva di disturbarlo. Una volta l’anno il dentista lo convocava per una visita periodica e gli controllava accuratamente la bocca. Altrimenti non ne parlavano mai. Adesso però i denti avevano cominciato a fargli male e mancavano circa nove mesi alla visita successiva. Bjørn Hansen era davvero preoccupato, non tanto per il dolore, che si poteva sopportare, quanto per quello che significava. Temeva fosse l’annuncio che i denti erano sul punto di cadere, di staccarsi dalle gengive e cadere giù, uno dopo l’altro. Ogni tanto doveva fare uno sforzo per non confidare a Herman Busk le sue preoccupazioni. Anche se sapeva benissimo – o almeno supponeva – che Herman Busk si sarebbe arrabbiato scoprendo che lui, pur trovandosi in quello stato d’animo, aveva rinunciato a parlargliene sinceramente, perché il dentista gli avrebbe fissato subito un appuntamento per lunedì. Ma forse non era niente, pensava Bjørn. È solo la mia immaginazione, non vale la pena d’importunare un amico nel tempo libero con un problema immaginario. Così camminavano in silenzio, fianco a fianco, lungo i sentieri intorno a Kongsberg, sulle colline che sovrastavano la città. Interrotti da una battuta o da una lunga tirata. E se Bjørn Hansen considerò attentamente i pro e i contro del confessare le sue preoccupazioni riguardo ai denti e decise infine di non disturbare l’amico, su altri argomenti lasciava correre i pensieri facendoli seguire dalle parole e dicendo a volte cose che coglievano di sorpresa Herman Busk. Come quando ammise all’improvviso che quasi tutte le letture che gli piacevano erano libri impietosi, che mostravano come la vita fosse impossibile e contenevano un umorismo nero e amaro. In fondo non c’era niente di strano, Herman Busk riconosceva l’amico in quelle dichiarazioni. Quando però lo sentì aggiungere: «Ormai cominciano a stancarmi», e spiegare che adesso sentiva il desiderio di leggere un romanzo che mostrasse come la vita fosse impossibile ma senza la minima traccia di umorismo, né nero né di nessun tipo, Herman rimase interdetto e non gli uscì altro commento se non che c’erano molti libri privi della minima traccia di umorismo, al che Bjørn Hansen trasalì e gli disse che aveva dannatamente ragione e che «sono tutti di una noia mortale». A quel punto erano già tornati in città, passando per il vecchio ponte della ferrovia dalla cui ringhiera si erano affacciati, uno accanto all’altro, e avevano...



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