E-Book, Italienisch, 228 Seiten
Reihe: Narrativa
Evenson Il padre della menzogna
1. Auflage 2024
ISBN: 979-12-5480-122-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 228 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 979-12-5480-122-2
Verlag: Nottetempo
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
(Ames, Iowa, 1966) è scrittore, traduttore critico e docente universitario. Le sue opere gli sono valse numerosi riconoscimenti, tra cui il premio O. Henry per la narrativa breve, tre Shirley Jackson Awards e l'International Horror Guild Award. Secondo George Saunders, 'in America non c'è scrittore di narrativa più intenso, prolifico e apocalittico'.
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1. Benedizione
Verso sera la ragazza passa di nuovo davanti a casa mia, ora con l’aria sconvolta. La guardo oltrepassare la finestra di fronte, lentamente, ondeggiando i suoi fianchi snelli. Le pinze per l’insalata rimangono immobili, come prigioniere delle mie mani.
Lei scompare oltre la siepe.
All’altro capo del tavolo, mia figlia più piccola si rifiuta di mangiare. Mia moglie tenta di invogliarla senza successo con dei pezzetti di pollo, e alla fine si riduce a infilarglieli a forza tra i denti. Mia figlia tiene le labbra chiuse. Mia moglie parte con le minacce, mia figlia con un pianto.
Finisco rapidamente la mia cena, poi tiro fuori la bambina dal seggiolone. La porto al lavandino e le spruzzo l’acqua sul viso e sulle mani. Dopo averle tolto il bavaglino lo uso per asciugarle il viso, poi la faccio scendere a terra. Tenta qualche passo goffo lungo il fianco dell’armadietto, quindi si lascia andare e barcolla fuori dalla stanza.
“Se continui così non imparerà mai a mangiare,” dice mia moglie. “La vizi”.
“Sii gentile con lei,” le rispondo. “Dalle tempo”.
La ragazza là fuori è ancora impressa nella mia mente, il suo fantasma passa davanti alla finestra. Era sconvolta, mi dico, o almeno così sembrava. Forse ha bisogno di un piccolo consulto spirituale. È mio dovere occuparmi del mio gregge, prendermi cura delle pecorelle, donare la mia vita a loro e al Signore. Lo Spirito Santo mi dice che dovrei cercarla per offrirle conforto. Ma non posso andarmene così, non è vero? Cosa penserebbe mia moglie?
E poi il Signore mi mostra la via.
Vado nel mio studio e chiudo la porta alle mie spalle. Compongo il numero del segretario volontario della mia congregazione.
“Allen,” dico. “Sono il prevosto”.
“Prevosto? Qualcosa non va?”
“Sono il prevosto. Perché dovrebbe esserci qualcosa che non va? Ho solo una domandina per te”.
“Spara,” dice.
Sbatto il telefono contro il piano del tavolo.
“Allen?” dico a una certa distanza dal ricevitore. “Allen? Sei lì?”
“Come?” risponde lui. Riesco a sentire perfettamente la sua voce. “Qualcosa non va?” chiede.
“Riesci a sentirmi, Allen?” gli domando. “Sei ancora lì?”
“Sono qui,” risponde. “Non mi senti?”
“Dev’esserci un guasto alla linea. È tutto il giorno che ho problemi con questo telefono. Sto per riattaccare. Se riesci a sentirmi, richiamami subito”.
Riaggancio. Nell’attesa, fisso il mio riflesso nella plastica bianca della cornetta finché il telefono non inizia a squillare. Lo lascio squillare due volte, per essere certo che mia moglie lo senta, ma agguanto la cornetta prima che le venga in mente di rispondere dall’altra stanza.
“Pronto?”
“Sono Allen,” dice. “Riesci a sentirmi ora?”
“Sì. Ti sento benissimo”.
“Cosa c’era che non andava?”
“Ma niente, soliti intoppi”.
“Dovresti far controllare la linea,” dice Allen. “Be’, cosa posso fare per te?”
Mi invento qualcosa sul momento, fingendo di aver perso il calendario dei colloqui domenicali in chiesa. Lui ne estrae una copia dal suo schedario e mi legge l’elenco. Faccio finta di annotare i nomi e gli orari degli appuntamenti e poi, ringraziandolo, riattacco.
“Chi era al telefono?” chiede mia moglie quando esco dalla stanza.
“Allen,” rispondo. “È successa una cosa. Dovrò andare in chiesa per qualche ora”.
“Stasera?” chiede. “Non puoi occupartene domani?”
“Stasera, sì. È un’emergenza. Non si può fare altrimenti”.
“Togli il bambino dalla vasca prima di andare,” fa mia moglie.
“Vorrei tanto. Ma è una cosa urgente”. Mi avvicino e la abbraccio, le bacio la fronte umida. “Sono già in ritardo. Mi farò perdonare, tesoro,” le dico. “Promesso”.
La riavvisto proprio mentre si inoltra tra gli alberi, con la camicia bianca che riluce nell’oscurità quasi totale. Parcheggiata l’auto a un isolato dal sentiero, cammino rapidamente verso il guardrail e lo scavalco, attraverso il ruscello, poco profondo come sempre a fine estate, e taglio per il campo di Max Barton. Mi spingo tra i filari di mais, superando con facilità il filo spinato che delimita il campo, e mi infilo nel bosco.
Gli alberi sono più fitti di quanto mi aspettassi, e la vista del campo svanisce subito. I pioppi sono cresciuti uno vicino all’altro, la corteccia si stacca in riccioli sottili come carta, tra gli alberi spuntano cespugli e sottobosco. Mi faccio strada, i rami e le foglie scricchiolano come ossa sotto i miei piedi.
Superati i cespugli sbuco in una radura e lì trovo la ragazza, voltata dall’altra parte, seduta su una grossa roccia cosparsa di frasi empie tracciate con la vernice spray. Smuove la terra con un bastone. Vedo che sta piangendo, il trucco è rigato di lacrime, gli occhi ormai gonfi e neri intorno ai bordi, dove il mascara è sciolto e sbavato.
“C’è qualche problema?” domando.
Lei trasalisce, si alza di scatto e si guarda intorno. Avanzo lentamente tra i cespugli, in modo che possa vedermi per intero, anche in viso.
“Cosa ci fa qui?” mi chiede.
“Non sai chi sono?”
“Certo che so chi è,” risponde lei. “La vedo ogni domenica”.
“Mi fa piacere. Non pensavo che lo sapessi”.
“Lo so”.
“Perché non sei mai venuta a presentarti? Perché non hai mai preso un appuntamento per vedermi?”
La ragazza smuove un po’ la terra. “Pensavo fosse occupato,” mi dice. “Non volevo disturbare”.
“Non è un disturbo,” dico io. “Mi sento in dovere di conoscere tutti i giovani della mia congregazione. Sono il futuro della Chiesa. Sono i giovani ad aver più bisogno di me”.
Mi addentro ancora nella radura, appoggio la schiena al tronco di un albero e le faccio cenno di risedersi sulla roccia. Lei getta un’occhiata veloce, ma rimane in piedi.
“Come sapeva che ero qui?” mi chiede.
“Hai pianto, vero?”
Abbassa lo sguardo, aggroviglia le mani verso l’alto. Non è certo una posa attraente.
“Vuoi parlarne?” le chiedo.
“No”.
“È a questo che serve un prevosto. Per discutere certe cose. Per parlare dei nostri problemi. Per trovare sollievo”.
Lei non dice nulla. Ma non è ancora scappata. È quasi mia.
“Vuoi sapere perché sono venuto? Vuoi che ti dica cosa mi ha condotto qui?” le chiedo.
“Non lo so,” risponde lei.
“È stato il Signore. Mi ha chiamato. Mi ha detto che dovevo venire. Non conoscevo il motivo e così per un po’ ho cercato di ignorare la chiamata, ma continuava ad arrivare. Allora ho prestato ascolto e sono venuto. E lo sai perché il Signore voleva che venissi qui?”
“Perché?” domanda la ragazza.
“Per te”.
Lei china la testa, sembra non riesca a guardarmi negli occhi.
“Dico sul serio. Dio ti ama. Vuole aiutarti. Vuole che tu mi dica perché hai pianto”.
“No,” fa lei. “Non posso”.
“Mi hanno confessato peccati di ogni tipo. Niente di quel che dici può sorprendermi. Niente di quel che dici può scioccarmi o far sì che Dio ti ami meno. Puoi dirmi tutto,” la tranquillizzo sorridendo. “Conosco il peccato in ogni sua forma”.
Avanzo ancora nella radura.
“Non lo dirò ai tuoi genitori. Rimarrà tutto tra me e te e Dio”.
Mi alzo e cammino lentamente verso di lei, cercando di apparire rilassato, avvicinandomi con disinvoltura.
“Puoi fidarti di me,” le dico. “Se non puoi fidarti dell’unto del Signore, di chi allora?”
Sono abbastanza vicino da poter allungare la mano e toccarle il braccio. Lei indietreggia, o quantomeno inizia a indietreggiare. Poi si tranquillizza. E si lascia condurre per mano fino alla roccia, dove la faccio sedere. Mi inginocchio davanti a lei, le tengo le mani e la fisso in viso. Niente male come quadretto, immagino.
“Dimmi”.
Lei sussulta, ricomincia a piangere. Mi chino in avanti e la circondo con le braccia. Il suo corpo è caldo.
“Brava, così. Sfogati”.
La tengo stretta, annusando i suoi capelli, il lieve odore del suo naso umido che lascia tracce appiccicose sulla mia spalla.
“Ti senti meglio ora?”
Scuotendo la testa, si allontana lentamente.
“Voglio solo aiutarti,” le dico. “Devi fidarti di me”.
Annuisce.
“È difficile parlarne?”
Annuisce di nuovo, il suo viso si deforma, una creatura rossastra e contorta si spinge fino alla superficie della sua pelle, la giovane bellezza momentaneamente dissolta.
“Ti fidi di me?”
“Sì,” risponde lei. “Credo di sì”.
“Qualunque cosa tu abbia fatto, non mi farà pensare male di te. Tutti commettiamo degli errori....