Ivanov | I cinocefali | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 400 Seiten

Reihe: Sírin

Ivanov I cinocefali


1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-6243-431-7
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 400 Seiten

Reihe: Sírin

ISBN: 978-88-6243-431-7
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Tre giovani moscoviti vengono ingaggiati da un personaggio misterioso per recuperare un antico affresco nella chiesa di uno sperduto villaggio: un lavoretto da nulla, un weekend remunerativo che li convince ad allontanarsi dalla capitale. Nella primitiva Kalitino gli arroganti moscoviti sono però accolti con ostilità dai locali, l'affresco - un san Cristoforo con testa canina - sembra muovere gli occhi, nella scuola abbandonata dove i ragazzi pernottano si sentono unghie di cane grattare il pavimento, e chi si inoltra nella foresta non torna indietro. Gli abitanti del paese alludono a segreti sepolti da tempo, ogni avvenimento si collega a eventi del passato: gli eretici, il Gulag, gli inquisitori dello zar e i bolscevichi, in una parabola della storia russa che genera mostri e colpisce chiunque calpesti questa terra maledetta. In un thriller magistrale e insolito, Aleksej Ivanov demolisce uno dei miti più persistenti della letteratura russa, quello della campagna come sede sacrale dell'anima nazionale. La Russia profonda è ormai un inferno da cui fuggire, a costo di stringere un patto col diavolo.

Nato nel 1969, paragonato a ?echov e Dostoevskij, è uno dei migliori eredi della grande tradizione letteraria russa. Autore di oltre 20 libri, ha vinto in Russia i premi più prestigiosi, tra cui il Book of the Year, il Prose of the Year e il Tolstoy Prize. Le sue opere sono tradotte in numerose lingue e vantano diverse trasposizioni cinematografiche.
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1.


– Fuori è un forno – disse Guger sbirciando il cruscotto. – 32 gradi. Sembra di stare in Africa, cavolo.

Il suo braccio sinistro ciondolava dal finestrino aperto, con la sigaretta fumante tra le dita. La mano destra stringeva saldamente il volante.

– Se abbassi il finestrino, tutto il fresco vola via – protestò infastidito Valerij, sventolando il palmo per buttarsi in faccia il getto sputato dalle bocchette dell’aria condizionata.

Kirill sedeva nel vano posteriore del pulmino, tenendo fermi i bauli con i piedi.

Il Mercedes blu scuro avanzava ondeggiando sulla strada coperta di ghiaia. Da queste parti la livellatrice non passava da almeno tre anni, durante i quali le ruote delle auto e il disgelo primaverile avevano scavato nuove fosse e solchi. Guger guidava contromano. – La legge di Murphy – spiegò, una volta superato il villaggio di Rustaj dove finiva l’asfalto. – La coda accanto alla tua avanza sempre più rapida, e la corsia che va in direzione opposta ha sempre meno buche.

Le torbiere bruciavano anche qui, nei pressi del fiume Kerženec. La strada scorreva sul fondo di una fitta foresta che sembrava una gola di pioppi, attraverso la quale strisciava svogliato e bollente un flusso di soffocante foschia grigiastra. La pallida macchia sfocata del sole rimaneva sospesa in fondo alla prospettiva della strada, gocciolando verso l’orizzonte.

Kirill pensò che quella bruma gli stava succhiando tutte le forze. Mentre viaggiavano nella foschia opalescente, lo sguardo si aggrappava esasperato ai contorni incerti degli alberi e della strada, sforzandosi di condensare gli oggetti nella loro abituale forma nitida, con l’unico risultato di sfinire inutilmente il cervello.

Guger buttò via il mozzicone, afferrò il volante con la sinistra per tirare fuori con la destra una bottiglietta di Perrier e allungarla a Valerij, senza staccare gli occhi dalla strada.

– Val, aprila.

Valerij svitò il tappo di metallo, che fece clac. Guger si infilò il collo della bottiglia in bocca e inghiottì l’acqua minerale, senza una sola pausa, come se la versasse in una botte. Poi scaraventò la bottiglia fuori e schiacciò il tasto per alzare il finestrino.

– Ma se dietro abbiamo il sacco della spazzatura – lo rimproverò Valerij.

– E chissenefrega.

– Siamo in una riserva.

– E chissenefrega.

Kirill guardò la boscaglia avvolta nel fumo. Un mese prima, quello stesso fumo aveva sommerso il Kutuzovskij prospekt, dove lui abitava. Dall’ottavo piano non si vedeva più la terra. I grattacieli di blocchi prefabbricati sul lato opposto del viale galleggiavano nella nebbia come iceberg. Le finestre dell’appartamento affittato da Kirill erano tappate, gli infissi a tenuta stagna non facevano entrare la puzza di bruciato. L’appartamento però era diventato rovente come un barbecue, e Kirill non aveva il condizionatore, soltanto uno stupido ventilatore che rimestava l’afa, montandola come burro.

Veronika, in piedi con indosso soltanto le mutande, tamburellava pensierosa con le dita sulla finestra mentre osservava la città spettrale. La schiena le brillava di sudore, i capelli neri si erano appiccicati alle spalle. “Kirjuša, tutto questo non è serio” aveva detto a voce bassa, ma molto convinta.

– Fermati un secondo – Valerij scattò all’improvviso.

Il Mercedes sprofondò morbidamente nella calura. Una donna con lo zaino in spalla e un fazzolettino in testa indietreggiò nelle erbacce sul bordo della strada. Valerij abbassò il finestrino.

– Stiamo andando a Kalitino – disse alla donna.

– Sennò mica lo capiva – borbottò scettico Guger.

La strada portava soltanto a Kalitino. Nei dintorni non c’erano altri villaggi.

Kirill piegò la testa per guardare la donna attraverso il finestrino coperto di polvere. A occhio, la campagnola doveva essere sulla quarantina. Strattonò goffamente la maniglia del portellone a scorrimento del Mercedes.

Guger si voltò. – Kir, apri a questa scema.

Kirill si allungò per far scattare la serratura e spingere il portellone. L’abitacolo venne invaso da un denso calore da sauna, che odorava di carbone e scopettino di rami. La donna chinò la testa e si arrampicò sgraziatamente, aggrappandosi con entrambe le mani al telaio della portiera.

– Qui – le ordinò Kirill, battendo la mano sul sedile di fronte a lui.

La donna obbedì, senza togliersi lo zaino. Kirill spinse con forza il portellone, che si chiuse con un colpo assordante.

– Ma dattelo in testa! – ringhiò Guger. – Non è mica una GAZel’1 per fracassare così la portiera!

Il vano del pulmino avrebbe dovuto contenere quattro file di sedili, ma Guger aveva smontato le ultime due già nel parco dove Valerij aveva affittato il Mercedes. Al loro posto ora erano stipati casse di plastica, bauli in tessuto rinforzato e taniche verdi dell’esercito: il bagaglio e le attrezzature della spedizione. Kirill doveva badare a questa catasta di bagagli perché non cadesse quando il pulmino sobbalzava sulle buche. Un passeggero poteva sedersi soltanto di fronte a Kirill.

La donna si appollaiò sull’orlo del sedile, continuando ad aggrapparsi alle bretelle dello zaino come se fossero le cinghie di un paracadute. Kirill studiò l’autostoppista. Scarponcini da città consumati, grigi di fango secco. Pantaloni da tuta sformati, con la doppia banda verticale ormai scolorita. Camicia a quadri infilata nei pantaloni, con le maniche lunghe e i polsini abbottonati, per difendersi dalle zanzare. La testa stretta da un fazzoletto sbiadito.

– Ci abita, a Kalitino, o viene solo in dacia? – chiese Kirill.

La donna gli lanciò una rapida occhiata e annuì. Kirill non riuscì a capire se era una del posto. Capì invece che non aveva affatto quarant’anni. Venti e qualcosa, come lui. Semplicemente, era molto abbronzata, e vestita da campagnola.

– Come ti chiami?

L’autostoppista si aggrappò alle bretelle dello zaino, muta, abbassando gli occhi.

– Ma dài, che ti prende? – Kirill sorrise. – Io sono Kirill, questo è Valera, lui è Guger. Stiamo andando in spedizione al vostro villaggio, per una settimana.

L’autostoppista emise uno strano suono strozzato, un singhiozzo, come se avesse avuto un conato di vomito. Si girò per nascondere la faccia, la gola tesa.

– L-l... – mugugnò. – L-l...

– Sarà mica muta? – Guger si voltò, sorpreso.

– Non essere maleducato, Denis – disse piano Valerij.

– Non sono Denis. Sono Guger. Gu-ger.

– Lena? – suggerì Kirill.

L’autostoppista scosse la testa.

– Lida? – fu l’ipotesi di Valerij.

– Liza?

Kirill capì di aver indovinato. L’autostoppista annuì.

– Togliti lo zaino, stai scomoda.

Nella cantina dei suoi Kirill aveva visto uno zaino di tela antidiluviano come questo. Un cimelio dell’infanzia di quando da bambini erano nei pionieri2.

Liza inarcò la schiena, senza alzarsi, e sfilò impacciata le braccia e le spalle dalle bretelle. Kirill vide la camicia tendersi sul suo petto. La ragazza era chiaramente agitata. Kirill si chiese che mutande portasse. Non certo un perizoma, magari dei mutandoni di flanella lunghi fino a metà coscia.

Kirill tolse lo zaino da dietro la schiena di Liza. Lei lo prese e se lo mise in grembo, come a difendersi dagli sguardi.

– Sei andata a funghi nel bosco? – domandò Kirill.

– Non è ancora stagione di funghi – replicò in tono da maestrina Valerij, dal sedile anteriore.

– Avrà scortecciato alberi – ridacchiò Guger.

– Sei andata a frutti di bosco?

Liza annuì.

– Vendimeli – propose Guger. – Quanto vuoi?

Liza scosse la testa, guardando il pavimento. Cercò di pronunciare il prezzo e infine mostrò due dita.

– Duemila? – chiese Kirill.

– Duecento? – lo corresse Valerij.

Liza annuì.

– Verdoni? – Guger si voltò.

Liza non reagì. Sembrava non capire cosa fossero i verdoni.

– Va bene – approvò Valerij, che era il responsabile della cassa.

Liza sganciò obbediente la linguetta dello zaino e slegò il laccio scoprendo una tanica di plastica con la parte superiore tagliata. Estrasse un giornale macchiato di rosa e, inclinando lo zaino, mostrò il contenuto della tanica, colma per un terzo di fragoline di bosco. Per raccoglierne una simile quantità Kirill avrebbe impiegato almeno cinque giorni.

– Cosa ce ne facciamo di tutta questa roba? – protestò Valerij sbirciando da dietro il poggiatesta. – Ci bastano tre etti. Io ho lo stomaco delicato.

Kirill tirò fuori dal sacco dell’immondizia una bottiglia di plastica vuota, sfilò dal fodero alla cintura il coltello e tagliò rumorosamente la bottiglia a metà, ottenendo una sorta di bicchiere. Lo immerse nella tanica e, muovendolo con delicatezza, lo riempì di fragoline.

– Basta così.

Valerij allungò da dietro il poggiatesta due pezzi da cento rubli.

Liza li prese, li piegò in due e se li mise nel taschino sul petto. Poi ricoprì accuratamente la tanica con il giornale, legò i lacci e riagganciò i cinturini dello zaino.

Chissà se è bionda o bruna, pensò Kirill.

Guger inchiodò. Il Mercedes chinò bruscamente il muso.

– Sorry – disse Guger.

Kirill si piegò in avanti per guardare attraverso il parabrezza, iridescente per...



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