E-Book, Italienisch, 208 Seiten
Reihe: Sírin
Lem Febbre da fieno
1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-6243-443-0
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 208 Seiten
Reihe: Sírin
ISBN: 978-88-6243-443-0
Verlag: Voland
Format: EPUB
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(Leopoli, 1921-Cracovia, 2006) è considerato uno dei maggiori autori polacchi contemporanei, nonché il più importante scrittore non angloamericano di fantascienza. Nel 1972 il regista russo Andrej Tarkovskij si è ispirato al suo romanzo Solaris (1961) per girare l'omonimo film, riproposto nel 2002 in una nuova versione dal regista statunitense Steven Soderbergh. Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo: L'indagine del tenente Gregory, Cyberiade, Memorie di un viaggiatore spaziale, Il pianeta del silenzio, Micromondi.
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roma - parigi
Alle otto di mattina andai da Randy, di umore decente perché avevo iniziato la giornata col Plimasin e, malgrado l’afa secca, non avevo il solletico al naso. L’hotel di Randy non era affatto vicino all’Hilton. Era in una stradina dal tipico selciato romano, piena di automobili, non lontano da piazza di Spagna. Non ricordo il nome. Aspettando Randy in un angusto corridoio che fungeva da hall, reception e caffetteria, sfogliavo l’“Herald” comprato lungo la strada. Ero interessato ai negoziati tra l’Air France e il governo, perché la prospettiva di rimanere intrappolato a Orly non mi piaceva affatto. Scioperava il personale ausiliario dell’aeroporto, ma a Parigi gli aerei atterravano ugualmente.
D’un tratto comparve Randy, in un discreto stato nonostante la notte in bianco, forse un po’ abbattuto, del resto il fallimento della missione era palese. Era rimasta Parigi, l’ultima spiaggia. Randy avrebbe voluto accompagnarmi all’aeroporto di persona, ma non glielo permisi. Avrei preferito che si facesse un bel sonno. Rispose che nella sua stanza era impossibile, allora salii su da lui. Era davvero assolata, e dalla porta spalancata del bagno uscivano, invece del fresco, schiume bollenti.
Per fortuna eravamo nell’anticiclone delle Azzorre, vale a dire caldo secco, così, ricorrendo alle mie conoscenze professionali, tirai le tendine e ne bagnai la base per migliorare la circolazione dell’aria, feci scorrere un rivolo d’acqua da tutti i rubinetti e dopo quest’opera da buon samaritano lo salutai, assicurandogli che lo avrei chiamato non appena avessi ottenuto qualcosa di concreto. Arrivai in aeroporto in taxi, fermandomi all’Hilton giusto il tempo di prendere i bagagli. Non erano ancora le undici quando spinsi il carrello con le valigie verso le partenze. Mi trovavo per la prima volta nel nuovo terminal romano e cercavo di scorgere le meraviglie dei suoi impianti di sicurezza tanto pubblicizzati dai giornali, senza sospettare che ne avrei fatto una conoscenza molto accurata.
La stampa aveva salutato l’inaugurazione della nuova struttura come la fine di tutti gli attentati. Solo la sala partenze a vetri sembrava uguale alle altre. L’edificio dall’alto assomigliava a un tamburo riempito da una rete di scale mobili e rampe che filtravano i viaggiatori con discrezione. Negli ultimi tempi avevano cominciato a contrabbandare armi ed esplosivi suddivisi in piccole parti che poi venivano assemblate nella toilette dell’aereo, motivo per cui gli italiani furono i primi ad abbandonare il magnetometro. L’esame dei vestiti e del corpo veniva condotto tramite apparecchiature a ultrasuoni durante la salita sulle scale mobili, e i risultati di queste perquisizioni invisibili venivano esaminati istantaneamente da un computer che individuava i potenziali contrabbandieri. Hanno scritto che questi ultrasuoni erano in grado di rilevare le otturazioni dei denti e le mollette delle bretelle. Non gli sfuggivano nemmeno gli esplosivi non metallici.
Il nuovo terminal era stato ribattezzato il Labirinto. Nella fase di prova, per alcune settimane, gli agenti dei servizi segreti erano saliti sulle scale mobili nascondendo le armi più svariate, e nessuno era riuscito a farle passare. Il Labirinto funzionava a pieno ritmo già da aprile e senza alcun incidente serio, a volte avevano pescato gente con oggetti tanto strani quanto innocui, come una rivoltella giocattolo o la sagoma di una pistola fatta con la carta stagnola. Alcuni esperti sostennero che si trattava di una manovra diversiva messa in atto dai terroristi, altri che fossero tentativi di testare la reale efficacia dei filtri. I giuristi si trovarono di fronte a un problema con questi pseudo-contrabbandieri: le loro intenzioni erano evidenti, ma non punibili. L’unico episodio rilevante accadde proprio il giorno in cui io partii da Napoli. Un asiatico stava per sbarazzarsi di una vera bomba sul cosiddetto “ponte dei sospiri”, in mezzo al Labirinto, quando i sensori lo smascherarono. Lanciò l’ordigno di sotto, nella hall sulla quale è sospeso il ponte, causando un’esplosione che, seppur inoffensiva, scosse i nervi dei passeggeri. Non era successo nient’altro. Adesso penso che quei piccoli incidenti fossero solo i preparativi dell’operazione vera e propria, quando un nuovo tipo di attacco avrebbe dovuto bucare le moderne difese.
Il mio volo Alitalia era in ritardo di un’ora, perché non si sapeva se sarebbe atterrato a Orly o al De Gaulle. Andai a cambiarmi, perché anche a Parigi erano previsti 30 gradi all’ombra. Non ricordavo in quale valigia avessi riposto la maglietta estiva, quindi mi incamminai verso il bagno col carrello bagagli, ma era troppo largo per la scala mobile, così vagai a lungo per le rampe dei sotterranei, finché un raja non mi indicò la strada. Non so se fosse davvero un raja, probabilmente no, perché parlava appena l’inglese, ma aveva il turbante verde. Ero curioso di sapere se in bagno se lo sarebbe tolto. Anche lui era diretto alla toilette. Quella gita con il carrello mi aveva portato via un sacco di tempo, tanto che dovetti fare una doccia al volo e mettermi i vestiti di cotone e le scarpe di tela, poi buttai i gingilli del nécessaire nella valigia e corsi al check-in con le mani libere. Tutti gli oggetti erano finiti nei bagagli. Ma questa scelta si rivelò saggia, perché dubito che i microfilm – li avevo messi nel nécessaire – sarebbero usciti sani e salvi dal “massacro delle scale”.
L’aria condizionata nella hall funzionava male: in una zona soffiava aria bollente e in un’altra gelida. Al gate per Parigi arrivava quella calda, così mi misi la giacca sulle spalle. Anche questa fu una scelta felice. Ognuno di noi ricevette il “pass di Arianna”, ovvero una tessera di plastica nella quale era stato inserito un risuonatore elettronico. Senza non era possibile salire sull’aereo. Subito dopo il passaggio del tornello c’era una scala mobile così stretta che bisognava starci in fila indiana. Il percorso ricordava un po’ un parco giochi e un po’ Disneyland. Si arrivava subito in cima e lì gli scalini diventavano un tapis roulant, una passerella che correva sospesa sopra la hall, inondata di luci al neon. Ciononostante non si vedeva il fondo, nascosto nell’oscurità. Non so come facciano a ottenere quell’effetto. Oltre il “ponte dei sospiri”, il tapis roulant faceva una curva e si trasformava di nuovo in una ripida scala, per poi inerpicarsi ancora attraversando la stessa hall, riconoscibile solo dal soffitto traforato, perché i lati della rampa erano chiusi da pannelli di alluminio decorati da scene mitologiche. Il resto del percorso non mi fu possibile conoscerlo. L’idea alla base era semplice: se un passeggero desta qualche sospetto, la sua tessera emette un segnale acustico che non si può spegnere. L’individuo non può fuggire, perché la scala mobile è molto stretta e i passaggi continui sopra la hall sono pensati per indebolirlo psicologicamente e convincerlo a liberarsi dell’arma. La sala partenze era tappezzata dallo stesso avvertimento in venti lingue: il possesso di armi e materiale esplosivo metterà in pericolo la vostra stessa vita se tenterete di terrorizzare gli altri passeggeri. Questo monito enigmatico poteva essere interpretato in diversi modi. Avevo sentito parlare di tiratori scelti nascosti dietro ai pannelli di alluminio, ma non ci avevo creduto.
Era un volo charter, ma il Boeing fornito si era rivelato più grande delle necessità dei clienti e per questo avevano messo in vendita i posti liberi rimasti, che toccarono in sorte a chi come me aveva comprato il biglietto all’ultimo momento. Il Boeing era stato affittato da un consorzio di banche, ma quelli che stavano con me sulla scala non sembravano affatto dei bancari. La prima a salire fu una vecchietta con un bastone, dietro di lei una biondina con un cagnetto, poi io, poi una ragazzina e un giapponese. Sbirciando dall’alto, scorsi il grande foglio di un giornale tenuto aperto da un paio di uomini. Volevo dare un’occhiata, così mi misi l’“Herald” sulle spalle, infilandolo sotto le bretelle, come un cappello a bustina.
La bionda indossava un paio di pantaloni orlati di perle, così stretti che si vedeva il segno delle mutande sui glutei, e aveva in mano un cane di peluche. Sembrava vivo perché sbatteva le palpebre. Mi ricordò la bionda della rivista che mi aveva accompagnato nel viaggio verso Roma. La ragazzina vestita di bianco con gli occhi vivaci sembrava una bambolina. Il giapponese, poco più alto di lei, aveva le sembianze del turista zelante, tirato fuori dal frigorifero di un famoso stilista. Sulla giacca a quadretti si incrociavano le cinghie di una radio, di un binocolo e di una grande Nikon Six. Mentre lo guardavo, ne aprì la custodia, come per fotografare le meraviglie del Labirinto. Le scale si erano livellate nel tapis roulant quando udii un suono stridulo e continuo. Mi girai. Veniva dal giapponese. La ragazzina si allontanò da lui allarmata, stringendo al petto la borsetta col pass, lui invece, impassibile, alzò il volume della radio. Era un ingenuo se pensava di coprire il segnale: era solo il primo avvertimento.
Attraversammo la grande hall. Su entrambi i lati della passerella brillavano nella loro luce fluorescente le figure di Romolo e Remo e della lupa, intanto il pass del giapponese strideva in modo insopportabile. Un brivido scosse la gente ammassata, anche se nessuno disse niente. Il giapponese non batté ciglio. Per un bel pezzo rimase impassibile davanti a quello strepito crescente, ma alcune goccioline di sudore gli scendevano dalla fronte. Tirò fuori il pass dalla tasca e cominciò a lottare furiosamente con quello. Lo fece a pezzi come un berserker, davanti agli sguardi esterrefatti...




