Lieberman | Il fiore della notte | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 461 Seiten

Reihe: Sotterranei

Lieberman Il fiore della notte


1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-3389-108-8
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 461 Seiten

Reihe: Sotterranei

ISBN: 978-88-3389-108-8
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



A New York la primavera annuncia ogni volta una rinascita: il clima si fa mite dopo i rigori dell'inverno, e la luce si ferma più a lungo, tenendo lontana la notte e i suoi orrori. Per il detective Francis Mooney, ormai anziano, solitario e insofferente a ogni regola ma tollerato dai superiori per i tanti casi risolti che lo rendono pressoché intoccabile, aprile è davvero il mese più crudele, perché è proprio in questo periodo che, ogni anno, un misterioso assassino uccide le sue vittime. Qualsiasi passante si trovi nella zona dei teatri intorno alle dieci di sera, l'ora in cui la folla è più numerosa, può diventare il bersaglio ignaro di un grosso blocco di cemento lasciato cadere dal tetto di un palazzo. Le vittime sono ormai cinque, e la polizia insiste ad archiviare le loro morti come 'accidentali', ma Mooney è certo che dietro l'apparente casualità di questi incidenti si nasconda la mano di un serial killer. Comincia così un'indagine serrata, solitaria e ossessiva, che porterà il detective a fare i conti con Charles Watford, un personaggio inconsueto, inaffidabile e pericoloso che però è anche l'unico a poterlo aiutare nella ricerca della verità. Thriller insolito e originale, ricco di pathos e di personaggi che rimangono impressi nella memoria, 'Il fiore della notte' conferma l'unicità e il talento di uno scrittore finora ingiustamente trascurato: forse perché è troppo in anticipo sui suoi tempi.

Lieberman Il fiore della notte jetzt bestellen!

Weitere Infos & Material


8


La calliope zufola tristi motivetti nell’aria torrida. Il leone ruggisce e misura a grandi passi la sua gabbia. Il gorilla dagli occhi verdi e umani succhia acini d’uva e si infila le dita nel naso. Le scimmie ciarlano e volteggiano tra le sbarre. Gli elefanti in fila, legati uno all’altro, arricciano la proboscide e s’infilano in bocca balle di stoppie.

Quel giorno il serraglio era particolarmente in forma. Una festosa folla domenicale aveva invaso l’arena sportiva di Pittsburgh. Bimbi chiassosi e felici divoravano wurstel e zucchero filato nell’atmosfera tiepida di segatura e sterco fresco.

Watford passeggiava tra la gente con un’espressione un po’ trasognata sul volto giovanile. La bambina che era con lui gli strinse forte la mano e gli si avvicinò alla gamba. Lo strillo di un cacatua le strappò una smorfia.

«Non dovremmo andare a sederci?», chiese. Teneva nell’altra mano una matassa di zucchero filato color rosa che ancora non aveva assaggiato.

«È presto. Lo spettacolo comincerà solo tra una ventina di minuti e poi non abbiamo ancora visto l’uomo cannone».

Entrarono in una sala spaziosa attigua al serraglio. Sotto a un alto soffitto i visitatori camminavano lentamente tra due file di stand in una quiete che contrastava con il chiasso del serraglio. Si fermavano in silenzio o scambiandosi parole appena bisbigliate mentre contemplavano quegli esseri straordinari.

Watford aveva sempre avuto un debole per i fenomeni da baraccone. Esercitavano su di lui un’attrazione speciale, gli davano l’occasione di gustare un vago timore insieme con un senso di meraviglia e soggezione che difficilmente avrebbe saputo esprimere a parole. Dominava su tutti un sentimento di riverenza. Gli sembrava di trovarsi in una chiesa, al cospetto della curiosa divinità di quegli individui. Riconosceva il volto di Cristo in tutte quelle stanche deformità. La tristezza infinita negli occhi dell’uomo cannone. La donna senza braccia e senza gambe, un torso senza appendici sistemato su una cassa e rivestito di finto velluto nero, un busto marmoreo di immoto tormento. Il tatuato, con le stimmate incise su ogni millimetro della pelle, e il mangiatore di fuoco che a ogni ora s’immolava nel fallace miracolo di un autodafé.

Si soffermarono per qualche tempo tra gli spintoni di una folla sudata a osservare i virtuosismi del torso umano. Si accendeva sigarette e firmava autografi con la matita incastrata sotto il mento. Illuminati da un unico riflettore, i suoi capelli crespi, color carota, il pesante fondotinta e il rossetto abbondante si trasformarono in un maquillage grottesco.

«Come fa quando deve andare al gabinetto?», bisbigliò qualcuno dietro di loro, suscitando risatine sommesse.

Con gli occhi sgranati e visibilmente a disagio, incerta se ridere o chiudere gli occhi, la bambina si premette contro Watford quando lo sfregio rosso che il torso aveva per bocca si allungò in un sorriso e la salutò con una voce stridula da arpia.

«Possiamo andare adesso?», sussurrò la piccola Millicent Rhodes con lo sguardo fisso sul busto che ancora le sorrideva annuendo.

«C’è tempo. Non abbiamo ancora visto tutto. Non vuoi vedere il mangiatore di fuoco?»

Finalmente la bimba riuscì a trascinarlo via e a farsi riaccompagnare sotto la cupola dell’arena, dove stava incominciando in quel momento la parata. Il tendone risuonò di tube, tamburi, xilofoni, campanelli, tromboni e schianti di cimbali. Fasci di luce colorata sfrecciarono intrecciandosi sulle tre piste.

Su, in cima ai cavi d’ancoraggio e ai tiranti d’acciaio, le sbarre del trapezio aspettavano i trapezisti e i ciclisti acrobati. Pagliacci e nani facevano capriole lungo il perimetro delle piste. Dietro di loro veniva un uomo sui trampoli, seguito dagli elefanti, da un orso ballerino e una coppia di tronfi Lippizaner con piume vermiglie nelle orecchie.

E gli eterni clown, tristi ed esilaranti, e gli Charlot con i loro calzoni larghi a inciampare nelle scarpe smisurate mentre incedevano trasandati.

Watford osservò la bambina che si rigirava tra le mani la torcia elettrica a stilo che le aveva acquistato a una delle bancarelle. Mentre la guardava la luce di un proiettore le si riflesse negli occhi scintillanti e lui si sentì soccombere in un istante così coinvolgente di tenerezza che fu costretto a ricacciare le lacrime.

Una trapezista s’inerpicò per la scaletta fino al labirinto di cavi argentati appesi come ragnatele al vertice del tendone. La bambina guardò con le pupille dilatate una ragazza di non più di diciassette o diciotto anni, con il viso di una Madonna del Quattrocento, che si issava senza sforzo su una fune e montava su una minuscola piattaforma a cinquanta metri dalla folla degli spettatori che la incitavano. Impavida, imperturbata, spalancò le braccia come fossero ali. Tutti trattennero il fiato quando si lanciò nel vuoto.

«Ma che bella pensata, Charley. Edgar è furibondo. Sei da camicia di forza».

«Sono solo le nove e mezza».

«Le nove e mezza? Ma è tutto il giorno che sei in giro! Dove diavolo sei stato?»

«Te l’avevo detto che l’avrei portata al circo, no?»

«Al circo? Sei ammattito?»

«Non te l’avevo detto? Ma sì che te l’avevo detto. Ne sono sicuro».

«Hai accennato a qualcosa del genere più o meno tre settimane fa. Ma naturalmente ti sei scordato di dirci in quale giorno. Questa mattina ci svegliamo. Tu non ci sei. Lei non c’è. Secondo te era logico collegarlo a quello che avevi detto del circo? Abbiamo chiamato la polizia».

«La polizia?»

«Pensavamo che fosse stata rapita. Pensavamo che fosse scappata. Sa Iddio che cosa abbiamo pensato».

«Gesù santissimo, questa è l’idea più scema... no, santo cielo, ti prego, adesso non metterti a frignare».

Watford alzò una mano in un gesto per metà di monito, per metà di conciliazione. «E dai, Renee. Ti prego», disse alla sorella minore. «Non mi sembra proprio il caso. Non lo sopporto quando fai così».

Quasi impercettibilmente, con una spinta delicata alla schiena, incitò la bambina a farsi avanti per perorare la sua causa.

«Non piangere, mamma. Io sto bene. Lo zio Charley e io ci siamo divertiti un mondo».

«Proprio un bel divertimento. Tuo padre è sconvolto. È tutto il giorno che non fa altro che telefonare dall’ufficio».

A un tratto tensione e stanchezza sfociarono in un pianto convulso. «Vai a lavarti, Millicent. Preparati per andare a letto. Devo telefonare a tuo padre».

Guardarono insieme la bambina che si allontanava.

«Gesù, Charley. Sei proprio una bestia».

Watford fece un gesto di disperazione. «Ma che cosa ho fatto di così terrificante? Vorresti essere così gentile da dirmelo?»

«Charley Watford, sei uno stupido incosciente...»

«Per aver portato una bambina a quel cavolo di circo. Sai che roba».

«Non è perché ce l’hai portata. È per come ce l’hai portata. L’hai rapita. Te ne sei sgattaiolato fuori di qui alle sei del mattino come un ladro quando tutti gli altri stavano ancora dormendo. E non ti è proprio venuto in mente di lasciare un biglietto, di telefonare almeno una volta in tutta la giornata per farci sapere dov’eri. Che cosa dovevamo pensare? Ti è forse venuto il sospetto che eravamo spaventati a morte?...»

«Doveva essere una sorpresa», piagnucolò Watford. «Non solo per lei, ma anche per voi. Credevo di farvi un grosso piacere a togliervela di torno per una giornata. Era un po’ come regalarvi una piccola vacanza. Pensavo che tu e Edgar ne sareste stati felici. Credevo che l’avreste trovato divertente. Ha, ha».

«Mio Dio», sbiancò lei portandosi le mani alla bocca. «Non ho ancora telefonato a Edgar».

Uscì precipitosamente e nei minuti successivi la udì dapprima comporre frettolosamente il numero e poi parlare al telefono a voce bassa e febbrile. Tornò con il viso cinereo. «Senti, Charley...»

«Renee. Non...»

«Ti prego di non interrompermi, Charley. Lasciami sputare questo rospo. Edgar ha una gran voglia di tirarti il collo. È furioso. Lo è da mesi. Quanto tempo è passato ormai? Otto mesi? Nove?»

«Cicci, senti. Non è...»

«Niente Cicci, Charley. Non adesso. Per piacere». Renee indietreggiò perché lui avanzava lentamente verso di lei, con quell’espressione tra il perplesso e l’addolorato. «Non mi è dispiaciuto ospitarti dopo l’ospedale. Dovevi recuperare. Eri ancora debole. E poi non volevo vederti tornare a casa tutto solo».

«Ascolta, Renee. Volevo aspettare di essere proprio sicuro prima di parlarne. Dovrebbe saltar fuori un lavoro per me...»

Lei si fermò, irretita dalla sua sospensione, con la testa inclinata di lato. «Quando?»

«Un paio di giorni. Una settimana al massimo». Lui la osservava attentamente, facendole dondolare l’esca davanti agli occhi diffidenti. «Un lavoro di rappresentante. Vendita di macchinari. Quel settore lì. Questo tizio, il concessionario, aspetta solo il via libera dalla sede principale». Preoccupato del suo crescente scetticismo, il suo tono di voce era diventato via via più nervoso.

Renee tentennò per un momento, dibattuta tra la lealtà che doveva al fratello e quella che doveva al marito. Infine scrollò il capo, prima lentamente, poi con vigore crescente. «No. No, Charley. Questa volta no. È una storia ormai vecchia. L’ultima volta...»

«Non ho...



Ihre Fragen, Wünsche oder Anmerkungen
Vorname*
Nachname*
Ihre E-Mail-Adresse*
Kundennr.
Ihre Nachricht*
Lediglich mit * gekennzeichnete Felder sind Pflichtfelder.
Wenn Sie die im Kontaktformular eingegebenen Daten durch Klick auf den nachfolgenden Button übersenden, erklären Sie sich damit einverstanden, dass wir Ihr Angaben für die Beantwortung Ihrer Anfrage verwenden. Selbstverständlich werden Ihre Daten vertraulich behandelt und nicht an Dritte weitergegeben. Sie können der Verwendung Ihrer Daten jederzeit widersprechen. Das Datenhandling bei Sack Fachmedien erklären wir Ihnen in unserer Datenschutzerklärung.