McHarg | Pistoleros! | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 378 Seiten

Reihe: Sotterranei

McHarg Pistoleros!

Una storia di anarchia
1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-3389-383-9
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Una storia di anarchia

E-Book, Italienisch, 378 Seiten

Reihe: Sotterranei

ISBN: 978-88-3389-383-9
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Una sera dell'ottobre 1976, seduto in un bar di Belleville, il vecchio Edward Prince attende l'arrivo dell'amico Laureano Cerrada Santos. Laureano e? un uomo di punta del movimento anarchico rivoluzionario, ed e? lui che procura ai compagni le identita? di cui hanno bisogno, tra cui quella dello stesso Prince, articolista e redattore per Libe?ration. Quando dei colpi di pistola esplodono per strada gettando nel panico i clienti del bar, Prince ha un brutto presentimento: non sarebbe la prima volta che dei pistoleros, dei sicari, lo costringono a piangere un compagno. E infatti Laureano giace per terra senza vita. Il vecchio ha appena il tempo di realizzare l'accaduto quando una terribile idea gli si rivela: lui sara? il prossimo. Con questa certezza corre a casa e inizia a scrivere la loro storia. Partendo dal 1918, anno in cui, giovane marinaio di Glasgow, si imbarca su una nave con destinazione Barcellona. Li? conoscera? Laureano, incontrera? la donna della sua vita, Lara, ma soprattutto leghera? le proprie sorti a quelle del sindacato anarchico catalano, la CNT, stringendo un'insolita alleanza con una squadra di ufficiali inglesi incaricata di mettere fine alle operazioni di spionaggio e all'alleanza tra i servizi segreti tedeschi e un gruppo di industriali spagnoli. Pistoleros! e? un memoir appassionato, un saggio storico sul movimento anarchico, una storia d'amore, un romanzo di avventura e spionaggio che sembra la versione moderna delle grandi storie di Dumas e Hugo.

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Belleville, 18 ottobre 1976


5

Abeunt studia in mores

Barcellona: un nuovo inizio


Quella sera stessa mi ritrovai a letto nel piccolo reparto di isolamento dell’Hospital de la Santa Creu, dove Macphail venne a trovarmi il pomeriggio successivo. Mi sentii a disagio nel mentire a un uomo che nell’ultimo mese era diventato un così caro amico, ma non avevo scelta.

«Dio santo, ragazzo, non hai un bell’aspetto. Che t’è successo?», disse Macphail entrando in stanza, facendo attenzione a mantenere la distanza e coprendosi naso e bocca con un grosso fazzoletto color kaki. Il dottor Puente mi aveva somministrato un equivalente farmaceutico dell’olio di serpente che mi aveva alzato la temperatura e fatto apparire debitamente febbricitante. Raccontai che ero uscito per esplorare la città di notte e che sulle ramblas mi era preso un malore ed ero svenuto. Poi non ricordavo altro se non di essermi svegliato in quel letto di ospedale con un mal di testa tremendo. Un fattorino era stato così gentile da andare al porto per avvertire lui e il capitano di cosa era successo.

Mentre parlavamo e mentivo al mio caro amico sentivo il senso di colpa che goccia dopo goccia si infiltrava nel mio stomaco.

Il dottor Puente arrivò insieme a un infermiere per misurarmi la temperatura e controllarmi il polso. Dopo aver finto di esaminarmi, Puente spiegò a Macphail che avrebbero dovuto tenermi lì almeno una settimana per monitorare le mie condizioni. Sospettavano si trattasse di influenza spagnola ma non potevano esserne certi. Non c’era traccia di cianosi, macchie blu-nerastre rivelatrici dell’influenza e tra le manifestazioni peggiori del virus, segno che i liquidi stavano inondando i polmoni. Ma se avevo contratto la malattia, sarei sopravvissuto nel caso in cui non avesse aggredito il torace.

Le notizie presero Macphail chiaramente alla sprovvista: la sarebbe dovuta ripartire alle prime luci del giorno successivo e lui non voleva lasciarmi indietro, ma io lo rassicurai garantendogli che ero in buone mani e che mi sarei ripreso. Il dottor Puente promise che avrebbe tenuto informato il consolato britannico sulle mie condizioni e che si sarebbero occupati di me fino al momento in cui sarei potuto tornare a casa.

Macphail tornò la sera stessa con la mia sacca di tela, i miei libri e una larga e invitante banconota bianca da cinque sterline grossa come un tovagliolo e corredata dagli auguri del capitano Macrob.

«Con questi dovresti poter stare tranquillo per un paio di settimane, ragazzo mio», mi disse, «e il consolato si occuperà delle spese mediche e del rimpatrio. Hanno già tutte le informazioni».

Macphail, l’eterno ottimista con un paio di bicchieri nello stomaco, si era poi fatto stranamente riflessivo. Lasciando cadere ogni cautela insieme al suo fazzoletto protettivo, cominciò a parlare con un tono nostalgico di quanto gli mancassero i vecchi tempi sui battelli a vapore, in particolare la col suo eccentrico capitano Peter Macfarlane, meglio noto in tutti i porti tra Bowling e Stornoway come Para Handy.6

«Sai che c’è, ragazzo mio? Ho deciso: questo è il mio ultimo viaggio sulla . Ho girato tanto, ho visto quello che dovevo vedere e ora voglio tornare ai miei battelli. Non c’è niente di meglio che arrivare nella baia di Lamlash in una bella mattina di giugno per prendere un carico di ghiaia, od ormeggiare al molo di Tarbert con un una montagna di carbone da scaricare. Non c’è uno scoglio... no, non c’è neanche un sasso in quel tratto di mare fino alle Cumbrae che io non sappia chiamare per nome. Li conosco uno per uno, anche al buio, solo dall’odore... e non è una cosa da niente, te lo dico io.

«Continuano a tornarmi in testa dei vecchi versi che citava sempre mio nonno. Gli piacevano così tanto che se li è fatti incidere sulla tomba. Niente nome né date, quelle non le ha mai volute, solo questi versi:

Vivo e non so per quanto,

muoio e non so quando,

viaggio e non so per dove,

che strano che io sia così allegro.

«Proprio così ragazzo. Darò la notizia quando arriveremo a Glasgow. Mi sono fatto un bicchierino con Para Handy prima di partire, stanno risistemando la con le nuove caldaie. Con le caldaie nuove non la ferma più nessuno, te lo dico io. Non sarà come quella che ci hai messo qui sulla , ma vedrai come fila, sei nodi almeno. Devi passare a dare un’occhiata quando torni.

«Le fai un cappotto nuovo di vernice, qualche perlina d’oro qua e là e diventa una regina! Dio santo, Farquhar, dovresti vederla. Ha una stiva grande così, con le caldaie messe dietro, quattro uomini al picco di carico, poi la cisterna e una bella pagnotta calda che ti aspetta nel cassero. Dio quanto è bella! Semplicemente stupenda! Andrebbe bene per portarci i veri signori o per i bagagli raffinati che mandano alle residenze di caccia, ecco che cosa dovrebbe portare la mia dolce !»

Gli vennero le lacrime agli occhi, così mi affrettai a dire che ero stanco; era tempo di salutarsi. In un momento toccante – nei limiti di quanto possa essere toccante l’interazione tra due uomini di Glasgow, senza imbarazzanti manifestazioni di sentimenti poco virili – Macphail si alzò per andare, mi strinse la mano e mi augurò buona fortuna, promettendomi di far sapere ai miei genitori che ero in buone mani e che presto sarei tornato a casa. Non lo rividi mai più.

Addio a tutto questo7


Macphail non consegnò mai il messaggio. Tre giorni dopo ricevetti una visita da un funzionario del consolato che mi diede una tragica notizia: il giorno prima la era stata affondata da un sottomarino tedesco, a non più di qualche ora di navigazione da Barcellona. Non c’erano superstiti. Mi sentii male, come se avessi ricevuto un colpo a sorpresa sul plesso solare. Quella notte non riuscii a dormire, la mia testa andava a mille rimuginando su quanto fossero arbitrarie le scelte della dea bendata che aveva salvato la mia vita e preso quelle di Macphail e del resto dell’equipaggio.

Quella forza che i deboli chiamano Caso.8

Non sono mai più riuscito a togliermi dalla testa le orrende immagini dei loro ultimi istanti. Come erano morti? Nell’esplosione causata dai siluri? Bruciati nella sala macchine? Oppure erano affogati? A cosa avrà pensato Macphail mentre il mare gli si chiudeva intorno? Probabilmente a sua moglie e ai sui cinque bambini. O al fatto che non avrebbe mai più rivisto Greenock, Upper Loch Fyne o Kyles of Bute?

Non ero né religioso né superstizioso, ma adesso ero certo che la mia decisione di rimanere a Barcellona, pur così casuale, non solo mi avrebbe cambiato la vita, ma me l’aveva anche salvata. Non è mai facile liberarsi dai pregiudizi, ma fu allora che smisi finalmente di essere un pacifista e cominciai a guardare alla guerra con la Germania come a una «giusta causa».

Rimasi in ospedale poco più di una settimana, durante la quale Laureano, che cominciavo a considerare un vero amico, venne a trovarmi mattina, pomeriggio e sera. Quel primo giorno si presentò con un taccuino, una matita, un frasario spagnolo e un dizionario che aveva preso in prestito dall’ateneu, e da quel momento cominciò a interrogarmi ogni giorno su significato e coniugazione dei tre verbi che mi aveva insegnato il giorno prima. Mi fu di grande aiuto per distrarmi da ciò che era successo ai miei compagni.

Non tutti riuscivano a capire il mio accento e iniziai a lavorare sul mio modo di parlare, se non altro per evitare il fastidio di dovermi ripetere. Entrambi stavamo imparando qualcosa. Ogni volta che ricevevo una visita dal consolato, Laureano si congedava discretamente.

Quando mi dimisero, Laureano mi portò a casa di un compan~ero, Josep Maria...



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