E-Book, Italienisch, 216 Seiten
Reihe: Sotterranei
Means Istruzioni per un funerale
1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-3389-084-5
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 216 Seiten
Reihe: Sotterranei
ISBN: 978-88-3389-084-5
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Quanto tempo scorre nella mente di un padre mentre osserva impotente il figlio di tre anni correre irreversibilmente verso l'argine di un fiume impietoso? Quante volte bisogna riscrivere nella memoria il resoconto di una scazzottata notturna risalente ai tempi dell'adolescenza per trasformare l'incontro fortuito con una ragazza in una prova incontestabile di predestinazione? E che influenza può avere sull'esito di un gratta e vinci rievocare per l'ennesima volta un episodio in cui la sfortuna si è trasformata in fortuna e la morte di un tuo amico ti ha salvato la vita? In queste storie, che spesso ne contengono altre - flashback, aneddoti, deliri, digressioni - è a volte difficile districare l'invenzione dai dettagli all'apparenza autobiografici: è forse per questo che nei racconti di David Means c'è una grazia profonda, sotterranea, al contempo simbolica e incredibilmente reale, che li rende indimenticabili, Che si concentri sui dilemmi della paternità e del matrimonio, sulla natura delle dipendenze, sull'approssimarsi della morte, sulla paranoia, Means ci accompagna in un mondo imprevedibile perché autentico, nel quale da un'epica rissa può nascere una storia d'amore lunga una vita, dietro un infermiere si può nascondere una serial killer, e un gioco di bambini può trasformarsi, nel giro di poche, prodigiose pagine, in una storia adulta di eroismo e vendetta.
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Scazzottata, Sacramento, agosto 1950
La scazzottata cominciò in una taverna chiamata All Star, alla periferia di Sacramento, quando un ragazzo di nome James Sutter si chinò e disse, distrattamente, come se non si stesse rivolgendo a nessuno in particolare: Quanto cazzo mi fanno schifo gli ,1 e un ragazzo di nome Frankie Bergara rispose portandosi il pugno al mento e facendo un lieve cenno con la testa in direzione della porta, un gesto che significava: Sutter sollevò a sua volta il pugno chiuso e si sfiorò delicatamente il mento con una nocca. (Le ragazze adoravano il mento di Sutter, squadrato e con la fossetta. Questo era certo. Le ragazze amavano l’autorevolezza dei suoi movimenti, come appoggiava i passi nei suoi stivali costosi. Ammiravano la sua disinvoltura, il modo in cui la camicia da mandriano cucita su misura scendeva sulle sue spalle robuste.) Bergara era basso e tarchiato, con le spalle grosse e curve, una massa di capelli ricci e la faccia larga e indurita dal sole. Avanzava dondolando leggermente, come se le gambe si arcuassero attorno a una sella immaginaria. Le braccia pesanti oscillavano rilassate sui fianchi mentre percorreva il corridoio che dava sul retro, nell’odore di segatura e pastiglie igienizzanti per wc. Quando spalancò la porta con un calcio, consapevole dei suoi stivali scadenti, logori, ereditati dal fratello maggiore, avvertì su di sé – uscendo nell’aria calda – un’eredità più profonda che derivava dalle innumerevoli scazzottate con Cal nel fienile, dove un tempo facevano a pugni finché entrambi non iniziavano a ridere e allora suo fratello lasciava la presa, si rialzava, sovrastandolo, gli dava consigli sulla tecnica, e concludeva sempre dicendo: «Ragazzino, questo ricordatelo sempre. Se non riesci a batterlo onestamente allora gioca sporco, perché quando fai a pugni un conto è perdere, e un conto è vincere».
Nel frattempo Sutter era uscito dalla porta principale, radunando un po’ di spettatori, più che altro amici suoi, e si pavoneggiava leggermente pregustando il seguito. A insegnargli a fare a pugni era stato il garzone di famiglia, Rodney – magro come un chiodo, in salopette – che a volte posava la chiave inglese, o il rastrello, o il pennello, per offrirgli un paio di dritte, e diceva: «Tieni le spalle abbassate e avvolgi tutto il corpo attorno al pugno, arretra più in fretta che puoi, concentra il peso nella pianta del piede. Finché resti consapevole dei tuoi piedi – anche se non sei consapevole di esserne consapevole – finché li tieni bene a mente, vincerai». Rodney, che era pacato e taciturno quando girava per la casa ad aggiustare cose o potava le siepi, aveva combattuto al Golden Gloves a Chicago prima di trasferirsi a ovest. Quando parlava degli incontri le sue parole avevano un che di oracolare. Nei pochi secondi che Sutter impiegò a fare il giro dell’edificio per arrivare sul retro, dove Bergara lo stava aspettando da solo sotto l’unico lampione, sciogliendosi le spalle, in quei pochi secondi Sutter ebbe la netta percezione che dare dell’okie a Bergara era stata una cosa fuori luogo. La famiglia di Sutter aveva radici okie. Il suo bisnonno era arrivato lì da Tulsa. Ma quella verità – lo sentiva, sciogliendosi le spalle a sua volta – era sepolta sotto la recente fortuna. In autunno avrebbe seguito le orme del padre e sarebbe andato a Yale. Comunque Bergara era per la maggior parte basco, o qualcosa del genere, aveva sangue misto e da lì venivano i capelli ricci, le spalle larghe e quel petto possente.
C’erano una quindicina di ragazzi alle spalle di Sutter, buona parte dei quali vivevano in città. Dietro Bergara, qualche ragazzo dei ranch che teneva lo sguardo fisso a terra, oppure sui campi dietro il locale. I ragazzi di città avevano fibbie di vero argento alle cinture, camicie a quadri con i bottoni di madreperla e capelli tagliati corti sul collo pulito. I ragazzi dei ranch portavano jeans sbiaditi e magliette con le maniche arrotolate strette sui bicipiti, e avevano i capelli scompigliati. Guardarono Sutter tirare un paio di pugni all’aria e poi togliersi l’anello del diploma e infilarlo nel taschino dei jeans. Bergara si mise in guardia e osservò Sutter che si toccava il colletto e poi si passava le dita tra i capelli folti prima di sollevare i pugni a sua volta. Toccarsi il colletto era un gesto meccanico per un ragazzo abituato a portare la cravatta. Un gesto che sembrava dire:
I ragazzi dalla parte di Bergara l’avevano visto combattere abbastanza spesso da conoscere i suoi tic, il modo in cui dopo aver sferrato un pugno arretrava e saltellava per qualche secondo con il petto in fuori e le braccia lungo i fianchi prima di tornare all’attacco. Aveva battuto uomini ben più grossi. A essere veloci erano buoni tutti, da quelle parti, ma la capacità di prendersi il suo tempo, di combattere con calma, sembrava derivargli non solo dalla brutalità della sua vita, dai lavori che svolgeva al ranch – trascinare i tubi di irrigazione, aggiustare le recinzioni e farsi il culo col bestiame, inseguire gli animali, radunarli, marchiarli – ma anche dalla pazienza che aveva appreso aspettando l’arrivo dell’aeroplano, in mezzo ai campi con una bandierina in mano, fissando l’orizzonte, consapevole della griglia di acri circostante. Poi, con la bandana sulla bocca e la bandiera sollevata, indirizzava il primo getto di pesticidi, tenendosi più distante possibile ma non troppo, in modo da poter tornare in tempo per dirigere il getto successivo, mentre il rumore dell’aereo sfumava nel silenzio, faceva il giro e tornava indietro. Osservando Bergara – in quel millisecondo di tensione prima che sferrasse il primo pugno – videro il suo peso scivolare sui talloni, mentre il braccio accennava uno scatto in avanti e poi, di colpo, si ritraeva, per dare un avvertimento a Sutter ed evitare di prenderlo alla sprovvista. Poi sferrò un violento jab al plesso solare di Sutter. Fu un buon pugno, pulito. Sutter se lo aspettava, ma non riuscì a evitarlo. (Qualcuno tra i ragazzi ricchi dalla parte di Sutter non aveva visto l’avvertimento, né il passo indietro, e lo contò come colpo a tradimento.)
Nella tensione appena prima del jab, mentre Sutter si ergeva con i capelli mossi dalla brezza, era possibile accorgersi, se si osservava attentamente, che stava considerando la sua posizione nel mondo rispetto a come questa poteva apparire a Bergara. In una rissa il tempo esiste retrospettivamente. Non rallenta. Si comprime, di modo che ogni colpo instaura una relazione con il colpo che l’ha preceduto. Lo scopo di una scazzottata come questa era invertire il corso del tempo, ridurre tutto a un effetto e una causa e, nel farlo, cancellare il tedio quotidiano del tempo. Tutto ciò che era accaduto prima del jab significava qualcosa. Tutto ciò che accadeva dopo il jab traeva il suo significato dagli attimi precedenti alla sua creazione.
, diceva sempre il padre di Sutter. (Queste parole di solito venivano pronunciate dopo cena, con una bottiglia di porto che baluginava alla luce delle candele.) – diceva suo padre, con un gesto che abbracciava il tavolo, da un’estremità all’altra – E a quel punto i suoi pensieri cominciavano a sfaldarsi perché era un uomo che spingeva elucubrazioni e ragionamenti oltre le proprie capacità e spesso scopriva che i pensieri che in origine gli erano apparsi profondi e pregnanti si sfilacciavano, rivelandosi sottili come garza.
Sutter si mise in guardia e mantenne la mente focalizzata sui piedi. Il vento si alzò all’improvviso, portando profumo di gelsomino, polvere e benzina. Nel ronzio delle orecchie, sentiva il fischiettio flebile e distratto di Rodney quando lavorava da solo in garage, concentrato su qualcosa – un’asse tagliata con la sega, o una chiave inglese da posizionare – oppure quando potava le siepi che delimitavano il cortile posteriore. E sentiva ancora quel suono quando sferrò il selvaggio, pirotecnico gancio che aveva iniziato a caricare in segreto, mentre barcollava, scaricando sui talloni la forza del pugno di Bergara, canalizzando l’energia, mentre le spalle ruotavano a sinistra e il braccio, tracciando un ampio arco, si portava all’indietro per riallinearsi al resto del torso (i pugni sempre più serrati, le dita ricurve); e poi, con quello che agli occhi degli spettatori sembrò un unico movimento fluido, il braccio si mosse di sua iniziativa, piazzando il pugno sulla punta del mento di Bergara, mandandolo a sbattere a braccia spalancate addosso ai suoi compagni, che lo sorressero per qualche secondo, dicendo: «Staccagli la testa, a quel coglione, Bergara, fallo per tuo fratello».
La rissa restò nel cerchio di luce del lampione. Una rissa di giorno non...




