O'Connor | Un ragionevole uso dell'irragionevole | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, 379 Seiten

O'Connor Un ragionevole uso dell'irragionevole

Saggi sulla scrittura e lettere sulla creatività
1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-3389-123-1
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Saggi sulla scrittura e lettere sulla creatività

E-Book, Italienisch, 379 Seiten

ISBN: 978-88-3389-123-1
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



«A parer mio quasi tutti sanno cos'è una storia, fino a che non si siedono a scriverne una». Così afferma Flannery O'Connor in uno dei suoi saggi. E considerazioni analoghe, sulla scrittura, sui suoi dilemmi e sul mistero della creatività, si possono trovare in molte delle lettere nelle quali discute della sua opera e chiede consigli ad amici del calibro di Robert Lowell o Elizabeth Bishop. Un ragionevole uso dell'irragionevole (che raccoglie in un solo volume Nel territorio del diavolo e Sola a presidiare la fortezza) si rivolge tanto a scrittori che non hanno mai provato a raccontare una storia quanto a quelli che lo fanno abitualmente, per cercare di scoprire qual è la natura e qual è lo scopo di questo mestiere. E se nei saggi l'autrice, pur rifiutando ogni degenerazione moralista, mette apertamente in campo la sua profonda religiosità cattolica e ci offre esempi cristallini di teoria letteraria in cui i concetti di grazia e di mistero acquistano forza e fascino, nelle lettere ci guida in un mondo popolato da autori, lettori, critici e agenti, intrecciando alle riflessioni letterarie un florilegio di osservazioni amare, ma sempre ironiche, su ogni aspetto del reale, compresi fatti di cronaca dell'epoca. Il tutto impreziosito dai commenti caustici e divertiti di un'autrice di cui, a distanza di anni, continuiamo ad ammirare la lucidità rara e l'innato talento.

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Lo stile trascendentale di Flannery O’Connor di Christian Raimo
(2002)


La narrativa può trascendere i propri limiti solo mantenendosi al loro interno.

Questo che avete fra le mani, forse già lo sapete, è un libro di culto. Si tratta del culto che una comunità di lettori (lettori attenti, lettori a loro volta scrittori, lettori empatici anche proprio malgrado)1 ha dedicato a Flannery O’Connor, facendone una figura esemplare, imprescindibile, quasi santificata. Il suo nome diventato un’icona; i suoi romanzi e racconti eletti a narrazioni modello; le sue riflessioni a margine, le sue lettere, le sue interviste,2 e soprattutto questi saggi, considerati una stella polare a cui volgersi, un vademecum spirituale da citare e recitare senza neanche il pericolo di imbattersi in una pagina inessenziale: qui è tutto oro, riconosceva Ottavio Fatica, curando la prima edizione italiana.3 Ed è vero, gli scritti della O’Connor possiedono questo tremendo coraggio: di fronte a quelle Domande elementari e dirette che senza pudore la vita pone a noi, e che noi nell’imbarazzo rigiriamo alla letteratura, rispondono con la forza di nuove Domande straordinariamente spiazzanti, ampliando la nostra stessa possibilità di immaginare prospettive.

L’origine da cui scaturiscono di volta in volta questi nove non è nulla più che un’occasione: una conferenza, una lezione all’università, un incontro con gli studenti di un corso di scrittura, ed è per questo impressionante il potere che hanno di trovare una perla in ogni questione che si apre, e di unirle in un filo ininterrotto, a definire una visione tanto penetrante quanto onnicomprensiva della realtà. Perché si scrive? come si diventa scrittori? cos’è una vocazione? come ci si rende conto di averla? cos’è l’arte? che rapporto c’è tra l’arte e il denaro? cosa vuole dire la purezza? come ci si libera dall’impaccio di se stessi? come si fa a essere coerenti con la propria passione ed efficaci con il pubblico dei lettori? come si può aver cura del talento? e cos’è una storia? qual è il suo significato? come si dà vita ai personaggi? come li si fa parlare? come si costruisce una chiave simbolica? e ancora ancora ancora, fino a quello che è l’interrogativo centrale, ineludibile: se tutto ciò che possiamo su questa terra non è che «un vedere attraverso uno specchio, in modo oscuro» (1 Cor 13,12), come si può con la letteratura provare ad attingere all’Essere di Dio?

Senza parafrasi, questo che avete fra le mani è soprattutto il libro di culto di una narratrice intimamente religiosa, ortodossamente cattolica, sostenitrice dell’importanza dei dogmi,4 la quale – vissuta quasi tutta la vita in un piccolo paese del Sud provinciale e agricolo degli Stati Uniti, colpita da una malattia genetica, il , che le porterà via il padre da ragazza, e poi si manifesterà come un destino del sangue sul suo corpo di venticinquenne, deturpandole progressivamente i lineamenti, minandole pesantemente il fisico, per condurla alla morte a soli trentanove anni – ha avuto la dedizione di consacrare questa breve e dolorosa esistenza al dono assoluto della scrittura. Rispondere a questa vocazione è stato il suo modo, com’era per l’amato Conrad, di rendere grazie al suo stesso stare al mondo: dalla sua prospettiva, al mistero della Creazione e dell’Incarnazione di Cristo nell’umanità. Un’identificazione asintotica tra arte e vita esaudita fino all’estremo respiro (leggete, leggete le lettere dei suoi ultimi mesi), in un senso eccezionale, bruciante e rigoroso al tempo stesso, distante da qualsiasi fascinazione dandystica: un cristiano, in verità, non può permettersi di essere meno che un artista.5

E allora che cosa ha voluto dire essere un’artista credente,6 una scrittrice convinta della possibilità di rappresentare attraverso 7 e l’agire del demonio e dello Spirito Santo nelle vicende umane? La O’Connor aveva ben presente qual era il territorio di confino o di esilio nel quale in genere è relegata la fiction per quella gente di chiesa così facile a scandalizzarsi,8 se a proposito di (una rivista appunto cattolica alla quale lei stessa collaborava) scriveva:

Gli articoli di letteratura troppo spesso parlano di figure letterarie minori della liturgia cattolica, o quando trattano di scrittori non cattolici, cercano di mostrare come questi fossero comunque cattolici a loro stessa insaputa e accettabili. La narrativa è considerata dalla maggior parte dei lettori cattolici una perdita di tempo.9

e non poteva che riconoscere in questo disinteresse una malcelata posizione di mero conservatorismo: 

Non vedo l’ora che i critici cattolici comincino a esaminare l’oggetto delle loro critiche per quello che è, per la sua «inscape» (), come direbbe Hopkins. E invece vanno in cerca di un’intenzione ideale, e ti criticano perché non ce l’hai. Nei vangeli sono i diavoli i primi a riconoscere Cristo, notizia che gli evangelisti non hanno censurato. Evidentemente la consideravano una testimonianza più che valida. La stessa cosa in veste moderna invece ci scandalizza solo perché abbiamo un atteggiamento difensivo nei confronti della fede.10

Il suo Sud e il suo cattolicesimo costituiscono invece proprio le due premesse, o meglio premessa – la cosiddetta o, nella sua stessa definizione, quel «Sud infestato da Cristo»11 – da cui prende corpo la sua scrittura. Vedere il mondo attraverso questa lente, più che deformante, trasfigurante, secondo un sentimento acutissimo della corrispondenza tra cielo e terra,12 ed essere immersi in quest’ambiente, riaffermarvi, problematizzandole beninteso, le ragioni di un’appartenenza (come accade negli ultimi due di questi saggi), tutto ciò riesce a donarle la possibilità di prendere sul serio quel che va al di là di una rigida rappresentazione naturalistica, al limite sociologica, che la O’Connor non cessa di stigmatizzare.13 Così nelle sue storie i livelli di significato – quello letterale, quello mitico, quello convenzionale, quello della simbologia cristiana – hanno buon gioco nel sovrapporsi, rafforzandosi l’un l’altro;14 e questo paesaggio senza tempo «nel quale è meno incongrua la comparsa di un roveto ardente che non di un rappresentante di articoli sanitari»15 finisce col risultare non soltanto plausibile, ma intensamente reale, spaventosamente toccante.

Come può accadere tutto questo in un semplice racconto, magari in sole mille parole? quali sono (per citare il titolo originale di questi saggi) le (i generi letterari, lo stile) attraverso le quali la narrativa può contribuire alla rivelazione di quel radice stessa della nostra esistenza? Come può uno scrittore essere fedele al proprio tempo e all’eternità, a ciò che vede e a ciò che crede, al relativo e all’assoluto?16

Se si provano a rileggere le storie della O’Connor è estremamente facile ritrovarvi una filigrana di costanti, legate a una traccia a cui lei stessa si riconosceva fedele:17

1) All’inizio ci viene in genere presentata una vicenda di problematiche quotidiane, spesso con qualche riverbero sociale: in «Greenleaf» la signora May deve scacciare un toro che si è introdotto nei suoi terreni, nella «Veduta del bosco» il vecchio Fortune vuole installare una pompa di benzina contro il parere della odiata famiglia del genero, in «Punto Omega» Julian è costretto controvoglia ad accompagnare la madre a un corso di dimagrimento, ecc... Apparentemente non c’è nessun elemento smaccato che faccia presagire uno svolgimento della storia che ecceda la mera e minima conflittualità del caso, la situazione sembra mantenersi in un equilibrio piuttosto stabile, sospeso tra tensioni accennate. Il tutto riflesso nel punto di vista del protagonista, che è molto spesso un personaggio arcisicuro della propria visione religiosa o sociale o esistenziale18 (tanto da ripetersela tra sé e sé in ricorrenti litanie autoindulgenti), alla luce della quale ha fondato la propria vita e che ora, rassicurato dalla propria fede farisaica («O, Dio ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e nemmeno come questo pubblicano», Lc 18,10), cerca di trasmettere a coloro che reputa da convertire:19 la signora Turpin di «Rivelazione» che ringrazia Dio di non averla creata negra e povera, Asbury di «Malattia mortale» che dà la colpa del suo fallimento fisico e morale alla madre e scrive lettere sulla falsariga di quelle di Kafka al padre, il benpensante Rayber di e il suo ancor più emblematico simile Sheppard di «Gli storpi entreranno per primi» che vogliono reinserire alla vita borghese sbandati ed emarginati, ecc...

2) In modo violento o insinuante avviene un evento del tutto inaspettato, che altro non è che la manifestazione della grazia. Per quanto questa possa essere lampante per il lettore, quasi tutti i personaggi sembrano non riconoscerla o – «nella vaporizzazione del senso del religioso»20 – non...



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