E-Book, Italienisch, 208 Seiten
Reihe: Sírin
Sinjavskij Tu ed io e altri racconti
1. Auflage 2023
ISBN: 978-88-6243-591-8
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 208 Seiten
Reihe: Sírin
ISBN: 978-88-6243-591-8
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
(Mosca 1925-Parigi 1997) all'inizio degli anni '60 si affermò come uno degli intellettuali più acuti della sua generazione, dedicandosi in segreto anche alla scrittura di testi corrosivi e aspramente critici. Scontata la pena per aver pubblicato in Occidente le proprie opere, dal 1974 si stabilì a Parigi dove divenne il simbolo della dissidenza al regime sovietico, insegnò letteratura russa alla Sorbona e pubblicò la rivista 'Sintaksis'.
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AL CIRCO
...Scoppiò di nuovo la musica, esplose una luce accecante e due sorelle acrobate forti come orsi si esibirono in un numero denominato “danza acrobatica”. Montavano l’una sopra l’altra, in piedi e a testa in giù, affondando i tacchi rossi nelle spalle carnose e, con le braccia spesse quanto una gamba e le gambe spesse quanto un busto, eseguivano virtuosismi di ogni genere. I loro corpi mostruosamente dispiegati emanavano vapore.
Poi nell’arena balzò un’intera famiglia di giocolieri, composta da marito, moglie e quattro piccoli. Questi allestirono una sarabanda di movimenti aerei mentre il papà, che li aveva allevati, il giocoliere capo, incrociò gli occhi e si piantò in bocca un bastone con un disco nichelato, ci mise sopra una bottiglia con l’etichetta della birra Žiguli, sulla bottiglia un bicchiere, e sopra ancora: e uno, un ombrello! E due, un piatto! E tre, due caraffe piene d’acqua! Tutte queste cose le resse con i denti per una trentina di secondi, senza far cadere niente.
Ma tutti vennero surclassati da un artista chiamato il Manipolatore, una personcina di quelle colte, dall’aspetto estero. Era moro, coi capelli corvini, e possedeva una scriminatura talmente perfetta che sembrava gliel’avessero incisa col rasoio elettrico usando un righello. Più in basso aveva i baffi e tutto quello che si conviene: il cravattino, gli stivaletti laccati.
Si avvicina con aria innocente a una signora e le tira fuori dal cappellino un topo bianco in carne e ossa. Poi un secondo, un terzo, e così via per nove volte. La dama è esterrefatta. Dice: “Ah, ah! Mi sento mancare!” e pretende dell’acqua per calmarsi.
Allora lui si precipita dal cavaliere della dama, alla destra di lei, e gli afferra delicatamente il naso con due ditini, come un barbiere. Con la mano sinistra libera tira fuori dalla tasca un bicchierino e lo solleva in alto, alla luce, affinché tutti possano accertarsi che sia davvero vuoto. Poi con un gesto brusco strizza il naso dell’uomo, da dove sgorga dritta nel bicchiere una bevanda dorata, effervescente e sciropposa. E senza neanche uno schizzo la porge con garbo alla signora, che la beve deliziata e dice “merci”, mentre tutti intorno ridono e battono le mani in estasi.
Non appena il pubblico si fu acquietato, il Manipolatore tornò nell’arena, e con voce rude chiese al tizio da cui aveva fatto sgorgare l’acqua:
– Cittadino, che ora fa il suo orologio? Presto, risponda!
Quello si tastò il panciotto, ma lì non c’era niente, al che il Manipolatore con un leggero sforzo sputò nell’arena il suo orologio d’oro. E poi, allo stesso modo, restituì a diversi cittadini a chi un portafoglio, a chi un portasigari, e ad altri niente di che, cianfrusaglie qualsiasi: un coltellino, un pettine e tutto quello che era riuscito a sottrarre durante lo spettacolo. A un vecchio era stato capace di rubare persino un libretto di risparmio e un delicato articolo per signore da una tasca interna nascosta. E restituì tutto a chi di dovere tra gli applausi generali: ecco che artista era!
Quando fu tutto finito e il pubblico cominciò a disperdersi, Kostja ci rimase male perché lui non sapeva fare niente: né girare in tondo su una ruota, né andare a quattro zampe su una bicicletta, con le mani sui pedali e i piedi appoggiati sul manubrio per rivolgerlo nelle varie direzioni. Probabilmente, senza un allenamento preliminare non sarebbe riuscito neanche a lanciare il berretto in modo tale che facesse un salto mortale e gli atterrasse sul cranio. L’unica cosa che Kostja sapeva fare era mettersi la sigaretta in bocca al contrario senza bruciarsi, e buttar tranquillamente fuori il fumo come una locomotiva a vapore, oppure la ciminiera di un piroscafo.
Ma quella sciocchezza da poco ormai la sapeva fare qualsiasi scolaretto, mentre Kostja aveva venticinque anni ed era stufo di tutto: giorni interi ad arrampicarsi sui muri come un pazzo per svitare valvole surriscaldate, senza conoscere nessun piacere nella vita oltre alle ragazze e ai film.
Si alzò e si diresse verso l’uscita, con quell’andatura decisa e flessuosa che hanno in tutto il mondo soltanto i prestigiatori e gli acrobati.
L’occasione gli si presentò subito, e si trattava di un uomo con i controfiocchi: indossava un cappotto di pelliccia sbottonato da cima a fondo. Sbarrava la porta centrale con la sua larghissima figura e si rivolgeva a qualcuno (non si sa a chi), dicendo:
– Una vera acrobata bisogna vederla nuda. E non al circo, ma a casa, sulla tovaglia, in mezzo agli ananas...
I suoi occhi azzurri screziati di verde erano proiettati lontano e non rivolgevano a Kostja la minima attenzione. E quello, all’improvviso, prende e va a ficcarsi nel punto più critico: all’uscita, proprio in senso contrario alla fiumana di gente. Lui e quell’uomo cominciarono a spingersi a vicenda, e alla fine si confusero a tal punto che sarebbe stato impossibile stabilire dove fosse il bersaglio di Kostja e dove lo stesso Kostja. La pelliccia scoprì in modo ancora più energico il proprio soffice interno, la corpacciuta giacca a doppiopetto si spalancò da sola, e tutto questo avvenne come un gioco di prestigio, senza l’intervento umano...
Mi si blocca il respiro, il battito si sposta nelle dita. Ticchettano pian piano a tempo col cuore che assediano, che pulsa in un petto estraneo accanto alla tasca interna e saltella sistematicamente sul palmo della mia mano, ignaro della sostituzione segreta e della mia inquietante presenza ultraterrena. Ed ecco che con un solo gesto della mano io compio il miracolo: un grosso fascio di banconote spicca il volo come un uccellino e si va a posare sotto la mia camicia. Come dice la canzone, “i soldi vostri ora sono i nostri”, e in questa metamorfosi fiabesca è racchiuso tutto il gioco di prestigio.
Sono riscaldati dal tuo tepore, caro compagno, e hanno un profumo dolce e aromatico, come un collo di fanciulla. E tu, che non hai più niente, vai ancora fiero di quei soldi e gonfi il petto vuoto raccontando dell’acrobata, e ridi pregustandola, ma ridi e pregusti invano. Perché sarò io a prendere un taxi Pobeda fino al ristorante Kiev al posto tuo, io mi spazzolerò le tue sardine e berrò tutti i cognac, e sarò io a baciare le tue donne al tuo posto, a spese tue ma a mio esclusivo godimento. Non mi metterò a fare l’avaro, e se ci incontriamo al ristorante ti faccio sbronzare per bene e ti riempio fino a scoppiare di cibo, quello stesso cibo che non sei riuscito a mangiare in tempo e da solo. E me ne sarai addirittura grato, te lo assicuro. Penserai che io sia un qualche scrittore, o un attore, o uno sportivo plurimedagliato. Ma io non sono altri che il prestigiatore-manipolatore in persona. Molto lieto. Ciao!
Per strada, al buio, Konstantin sollevò il bavero e solo allora mise in moto la muscolatura facciale. Essa gli ubbidiva a fatica ed era come di gomma: le dài un pugno e ti rimbalza indietro. Ma Konstantin si manipolò la bocca in direzione delle orecchie e ritorno, finché non ebbe restituito al viso la sua morbidezza originaria. Allora accese una sigaretta, la infilò in bocca dalla parte accesa e si avviò alla prima fermata dei taxi, sbuffando il fumo dalla ciminiera.
Da quel momento per Konstantin Petrovic è cominciata una nuova vita. A tempo perso fa un salto al ristorante Kiev, e non appena varca la soglia già accorrono dai meandri del locale i camerieri impomatati, che strillano con voci scattanti come raffiche di fucile:
– Prg! Prg! Prg!
Ognuno sopra la testa regge un vassoio che rotea senza sosta, su cui ci sono vini di ogni tipo: bianco, rosso, oppure abbiamo anche il “moscato rosé”. Per farla breve, l’intera gamma è a sua disposizione, Konstantin Petrovic.
– No – dice Konstantin Petrovic con la stanchezza nella voce, e li allontana con un gesto educato della mano. – No, mi astengo categoricamente... Sto male e non ho bisogno di niente nella vita. Datemi della vodka, piuttosto, di prima scelta, 275 grammi, e una tartina microscopica con aringa dell’Atlantico. Però non usate il pane nero, usate una fettina di filoncino all’uvetta, e che sia uvetta bella grossa.
E subito i camerieri, in numero di tre, stappano bottiglie variopinte e schioccano in aria i tovaglioli mentre lucidano a specchio calici e bicchierini, approfittandone per spolverarsi le scarpe dalla punta allungata.
Ma quando bevi 275 grammi per riprenderti, tutti i sensi del tuo animo si acutizzano fino all’estremo. Avverti distintamente il viscido stridore dei coltelli, che fa dolere i denti e sussultare la spirale cerebrospinale, e lo scampanellio dei bicchieri di vetro portati alle labbra, pieni a diversi livelli, e il monotono ritornello maschile: “Alla salute! Felice di vederti! A questo incontro! Felice di vederti!”, e le risate interrogative delle donne in attesa di qualcosa, che voltano continuamente la testa e si fanno belle in modo nervoso, come prima delle nozze.
Dalla mimica dei camerieri traspare un’agilità scimmiesca. Saltellano tra i vasi di legno delle palme, che crescono ovunque come in Africa, e si lanciano l’un l’altro scodelle di latta piene di boršc fumante, oppure, curvandosi sui tavolini come su un biliardo, versano nei bicchieri tutto ciò che si desidera con brevi cadute in picchiata.
Quando il panorama dell’alticcio ristorante gli balzava improvvisamente allo sguardo in tutta la sua espressività, Konstantin Petrovic sentiva nel profondo dell’animo, in un qualche punto del midollo spinale, un fremito dolce, penetrante, che agita i capelli. Era come se camminasse su un cavo a quattrocento metri di altezza e, anche se le pareti traballano minacciando di crollare, lui avanza con passo deciso,...




