E-Book, Italienisch, 216 Seiten
Reihe: Intrecci
Trueba Il mio '69
1. Auflage 2025
ISBN: 978-88-6243-702-8
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 216 Seiten
Reihe: Intrecci
ISBN: 978-88-6243-702-8
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Regista, sceneggiatore, scrittore e giornalista, è nato a Madrid nel 1969. Ha esordito in narrativa nel 1995 con Aperto tutta la notte, a cui hanno fatto seguito Quattro amici (1999), Saper perdere (2008) - con il quale ha vinto il Premio de la Crítica in Spagna - Blitz (2015), La canzone del ritorno (2017) e Cari bambini (2021). Con il film La vita è facile ad occhi chiusi nel 2014 si è aggiudicato sei premi Goya. Nell'aprile del 2024 ha debuttato anche a teatro con la sua prima pièce dal titolo Los guapos. I suoi libri sono tradotti in più di dieci lingue.
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1.
Ho provato a scrivere questo libro sei volte. E tutte e sei è finito nel cestino. A volte penso che sia un libro impossibile da scrivere. Perché io so scrivere solo di ciò che conosco mentre qui pretendo di parlare del luogo a cui approdai, nel quale crebbi, nel quale mi formai. Ma quel luogo non è il mio, è un luogo estraneo. È un libro in cui provo a raccontare le cose che mi hanno reso ciò che sono, indipendentemente dai miei meriti. È pertanto un libro fisicamente impossibile. Fin dal primo rigo, che dice così: fui concepito la notte del 1° gennaio del 1969.
Fui concepito la notte del 1° gennaio del 1969. “Il popolo spagnolo ha mangiato con allegria i dodici chicchi d’uva” titolò un giornale della sera l’indomani. Senza dubbio anche a casa mia quella notte fu allegra. E in effetti questa allegria, associata a un po’ di euforia etilica, potrebbe essere la causa del mio concepimento. Di sicuro non fu una deliberata azione di coppia. È un’ipotesi che mi sento di fare. Lo premetto: qui racconterò molte cose che invento, che intuisco, che interpreto e che immagino. Io so scrivere solo fiction, perché sono convinto, fra le altre cose, che scrivere, dall’istante stesso in cui si intraprende il lavoro, consista nell’immergersi nella fiction, in ogni forma possibile, inclusa quella documentaristica.
I miei genitori non erano troppo innocenti né troppo giovani quella notte. Lei aveva 36 anni e mio padre 52, età in cui uno conserva ben poco di ciò che tendiamo a definire candore. A quel tempo tra l’altro contavano già sette figli. Il maggiore quell’anno stava per compierne 18. Il più piccolo, che il mio arrivo avrebbe definitivamente reso il penultimo, quel gennaio aveva sei mesi esatti. In futuro mia madre avrebbe spesso ribadito:
– Se vi capita di sentir dire da qualcuno che una donna non può restare incinta mentre sta allattando, voi riferitegli da parte mia che è una grossa bugia.
A mia madre consigliarono, dopo il parto del secondo figlio che nel marzo di quel 1969 avrebbe compiuto 16 anni, di rinunciare ad averne altri. Alcune complicazioni nell’espulsione della placenta fecero sfiorare la tragedia nel corso di quel parto domestico. Allora i casi di donne che morivano ancora di parto raggiungevano una percentuale da paese sottosviluppato.
Nonostante il parere medico, i miei genitori sfidarono la sorte. Ed ebbero così un terzo figlio, mio fratello Fernando, che in quei giorni di gennaio in cui io iniziavo la mia esistenza cellulare compiva 14 anni. Quelli erano i tre figli maggiori. Juanjo, Máximo e Fernando, i tre che formarono per sempre un’unità familiare indipendente, di lealtà moschettiera, perché dopo di loro ci sarebbe stata una lunga pausa nelle nascite di nuovi figli. Giusto sei anni.
Cosa accadde in quei sei anni di pausa? Come formiche operose, dopo vari andirivieni e traslochi, i miei riuscirono ad acquistare un appartamento in calle Lorenza Correa, nel cuore di un quartiere chiamato Estrecho, in piena esplosione demografica. Sono figlio di quel progresso, che fu un progresso dell’intero paese. In quella parentesi di sei anni mia madre e mio padre ebbero il tempo di organizzare il nuovo appartamento come casa-pensione per poter rimpinguare le scarse entrate familiari, e di dimenticare l’avvertimento medico circa i pericoli di nuove gravidanze. Passata la tregua, avrebbero avuto in poco più di otto anni i restanti cinque figli che andarono a completare la famiglia. Eravamo in pratica la seconda cucciolata. Una famiglia impostata con una linea divisoria che marcava l’esistenza di due gruppi consolidati: i maggiori e i piccini.
A quei tempi le famiglie numerose non erano per niente insolite. Al contrario. La ricostruzione della Spagna fu spinta dalla curva ascendente della natalità e dalla sensibile riduzione della mortalità e dell’emigrazione. Quando Franco consegnava i premi per la natalità nel marzo del 1969 io iniziavo il mio terzo mese di gestazione. Se li aggiudicarono una coppia di lavoratori canari che avevano avuto 19 figli, tutti viventi meno uno il giorno in cui vennero ricevuti con ogni onore al Palazzo del Pardo. Nel decennio degli anni ’60 l’indice di natalità superò il 20%, con una media di quasi tre figli per ogni donna. Proprio nel 1969 iniziò il rallentamento che prosegue fino ai giorni nostri. Il ’69 fu il primo anno in più di un decennio in cui l’indice delle nascite superò appena il 19%. Nel 1979 si aggirava intorno al 16% e mentre scrivo queste righe è sotto il 7% ogni mille abitanti. Le donne spagnole hanno in media un unico figlio, e più o meno all’età in cui mia madre diede alla luce me, l’ultimo dei suoi.
Quando dico che immagino mia madre e mio padre nell’atto del mio concepimento, devo ammettere di avere le stesse difficoltà di chiunque altro quando prova a pensare ai genitori mentre fanno l’amore. Per pudore ignoriamo la sessualità di chi ci ha generato, nonostante sia la causa della nostra esistenza. È come pretendere di essere venuti al mondo grazie a un miracolo biblico, eppure questo ci rasserena. Siamo soliti girarci dall’altro lato anche rispetto alla sessualità dei bambini e di quelli che consideriamo vecchi, che priviamo di qualsiasi attributo erotico. La sessualità è marchiata dalla rappresentazione ufficiale di riviste, spot, cinema e libri, dove i protagonisti devono essere affidabili, belli e in pieno possesso delle proprie funzioni erettili. Tutto il resto è peccato e scandalo.
Mio padre aveva una parente in provincia che aveva fatto i soldi con alcune pescherie e che per Natale ci regalava un’orata. L’orata era il regalo più importante dei nostri Natali. Andavamo a casa di questa zia di secondo grado, ormai anziana, e quando stavamo per andar via e lei si era complimentata per come eravamo tutti cresciuti e ben educati, omaggiava i miei genitori di un’orata. Mio padre era andato in pensione dalla polizia tre anni prima che io nascessi e adesso si occupava di vendere polizze assicurative. Gli andava piuttosto bene, soprattutto perché ai guadagni con l’agenzia Seguros Ocaso aggiungeva quelli derivanti dalla vendita di gioielli, cucine, elettrodomestici, vestiti e orologi alla sua clientela, famiglie modeste del quartiere di Aravaca. Sfruttava il margine tra il prezzo di vendita che gli facevano alcuni negozi di fiducia e il costo finale che scaricava sugli acquirenti, che lo pagavano con rate abbordabili. Questa sicurezza nelle proprie capacità di vendita, anche se limitata a quel modesto villaggio, ai domestici che lavoravano nelle ville di Pozuelo e agli impiegati dell’ippodromo, lo aveva convinto a prepensionarsi dal corpo della Polizia Armata in cui aveva lavorato negli anni precedenti. Proprio quella istituzione, e forse mio padre lo aveva intuito, che sarebbe scomparsa dopo la morte di Franco, sostituita dal Corpo Nazionale di Polizia.
Mio padre era popolare e carismatico, temperava il suo carattere forte con dosi spontanee di uomo affabile, generoso e sollecito. I miei genitori tra loro si chiamavano papà e mamma, votati all’anonimato della loro missione dalla dinamica quotidiana in mezzo a tanti figli. Nella notte di Capodanno del 1968 cenarono con l’orata, festeggiarono con confetti, torrone e qualche biscotto di Natale e, a mo’ di champagne, stapparono un paio di bottiglie di sidro El Gaitero, l’unico lusso accessibile per i miei genitori, che a quel tempo facevano ancora la spesa allo spaccio per i militari del parco del palazzo reale Dehesa de la Villa.
I due figli piccoli, mia sorella e mio fratello Jesús, dormivano già quando scoccò la mezzanotte. Immagino sia stata l’euforia generata dal sidro a far in modo che una volta in camera da letto mio padre si mettesse a fare lo splendido e, fra giochi e resistenze, con un gesto di risoluta passione alzasse la camicia da notte a mia madre. Non potevano fare troppo rumore con il bambino nella culla accanto al letto, dal lato di mia madre naturalmente. Presumo che il tutto si sia limitato a un paio di sussulti, senza carezze eccessive né tenere moine né parole ardenti, quasi come chi timbra il cartellino.
Me lo immagino così perché molti anni dopo, un giorno in cui si disperava perché tutti i miei fratelli lo contraddicevano in ogni discussione, mio padre ardì maledire il suo destino familiare con tanti figli nel modo seguente: cosa ho fatto di male per avere figli del genere? E tutto per colpa di tre minuti di piacere. Mio padre di tanto in tanto faceva queste battute, sapeva usare bene l’umorismo per alleggerire i momenti di tensione. Ma dal modo in cui mia madre sorrise, temo che il conteggio dei minuti di piacere non fosse troppo sbagliato.
La notte in cui fui concepito non passerà quindi nella storia dei coiti anche se in quel 1969, anno dell’amore, alcune copule sarebbero diventate leggendarie. Gli spermatozoi di mio padre, mi sembra di vederli, si comportarono in modo consono e vitale, nonostante appartenessero a un uomo di 52 anni. Gli ovuli di mia madre non si mostrarono ritrosi, alla soglia dei 37 anni era oberata dal carico familiare, ma conservava una freschezza ammirevole. La sua bellezza attirava ancora gli sguardi per strada. Quando si lavava i capelli e li lasciava liberi dalla coda o dalla crocchia anche i suoi figli più grandi non potevano evitare di ammirarne la femminilità, a differenza di molte altre madri del tutto prive di sensualità. Mio padre, di contro, era un uomo assai elegante, nonostante avesse già tutti i capelli bianchi.
I miei genitori si erano conosciuti per uno di quei casi crudeli generati dalla guerra civile. Lui era arrivato a Madrid alla fine del conflitto, con un fosco passato di combattente franchista. Stava per compiere 20 anni quando era scoppiato...