E-Book, Italienisch, 256 Seiten
Reihe: Intrecci
Zandel Eredità colpevole
1. Auflage 2023
ISBN: 978-88-6243-601-4
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 256 Seiten
Reihe: Intrecci
ISBN: 978-88-6243-601-4
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Figlio di esuli fiumani, è nato nel campo profughi di Servigliano nel 1948. Ha all'attivo una ventina di romanzi, tra i quali 'Massacro per un presidente' (Mondadori 1981), 'Una storia istriana' (Rusconi 1987), 'I confini dell'odio' (Aragno 2002, Gammarò 2022), 'Il fratello greco' (Hacca 2010), 'I testimoni muti' (Mursia 2011). Esperto di Balcani, è anche uno degli autori del docufilm 'Hotel Sarajevo', prodotto da Clipper Media e Rai Cinema (2022).
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10.
La palestra, sede pure dell’associazione politica Movimento nuovo, stava nei pressi di piazza dell’Alberone, verso via Latina. Prima di uscire di casa avevo cercato Fabrizio Monticelli per un appuntamento al numero trovato su internet. Qualcuno al telefono a cui avevo chiesto di lui, mi rispose con un sospettoso: – Chi è lei?
Avevo dato il mio nome e il riferimento dei miei articoli sul processo Strcic. Poco dopo udii la sua voce presentarsi con il solo cognome:
– Monticelli.
– Buongiorno, sono Lednaz.
– Sì, la conosco... A cosa devo...?
– Vorrei scambiare due chiacchiere con lei.
– Sul processo Strcic?
Avrei potuto limitarmi a una conferma. Invece avevo risposto:
– Non solo.
– Cos’altro? – domandò con una punta di sospetto.
– Anche sull’omicidio del giudice La Spina.
– Perché lo chiede a me? – aveva risposto con tono improvvisamente più irrigidito.
– Mi interessa sapere quale idea si è fatto.
Aveva riso sarcastico. – Può immaginarlo. – Quindi, serio: – Non vedo comunque a chi possa interessare la mia opinione.
– È pur sempre il rappresentante di un’associazione che al processo ha fatto sentire la sua voce.
– Questo sì... ma non possiamo certo parlarne al telefono!
– Ovviamente no. Dove posso raggiungerla? Se possibile nella mattinata di oggi.
Mi aveva dato l’indirizzo della palestra.
Poco dopo ero già in macchina. Ma il pensiero, più che all’imminente incontro con Monticelli, andava alla telefonata della sera prima. Francesca era l’unica persona con cui avessi parlato dei sospetti della polizia su Bettarin. (A Laura non avevo fatto nomi.) Evidentemente aveva mantenuto i contatti con lui anche dopo la rottura. Mi ripromettevo di trovare il modo per averne conferma. Mi chiedevo tuttavia a chi appartenesse la voce al telefono. Allo stesso Bettarin? Con la memoria avevo cercato di risalire al tono della sua voce udita le poche volte che avevo parlato con lui quando era capitato in ufficio per incontrare Francesca. Nonostante al telefono la voce fosse contraffatta, forse da un confronto con quel ricordo poteva uscirne qualcosa. Ma purtroppo si trattava di un ricordo troppo lontano nel tempo.
Su Bettarin comunque, avevo intenzione di tastare il terreno anche con Monticelli. Mi interessava la sua reazione, ma non volevo dargli l’impressione di provocarlo. L’idea era quella di farlo venire allo scoperto, un po’ com’era avvenuto, seppure del tutto involontariamente, con Francesca, al punto da ricevere la telefonata anonima della sera prima. Monticelli mi offriva in questo senso un’altra occasione.
Quanto poteva presentare dei rischi tutto ciò? Fiducioso come mi sentivo, ne avevo solo una pallida idea. Ma non si trattava di una chiacchierata qualunque, e me ne resi conto quando arrivai alla sede del Movimento nuovo, alla quale si accedeva scendendo per la rampa di quello che originariamente doveva essere un garage. Due erano le entrate: una portava alla palestra La Fiamma, scritto naturalmente in caratteri runici, e l’altra alla sede del Movimento. Non appena varcai quest’ultimo ingresso mi vidi bloccare da un paio di robusti e barbuti giovanotti, con molta gentilezza chiesero il permesso di perquisirmi. Naturalmente mi mostrai sorpreso ma, poiché non avevo nulla da nascondere, lasciai fare. Subito dopo fui introdotto in una sala riunioni piuttosto ampia, con un grande tavolo rettangolare sopra una pedana rivolto verso una platea di sedie di legno allineate per una decina di file. Le pareti erano rivestite di libri, di manifesti e di simboli nazifascisti, tranne che alle spalle del tavolo, dove campeggiavano il tricolore italiano e il simbolo runico d’oro su fondo nero dell’associazione.
– Il Comandante arriva subito, intanto si accomodi – m’invitò uno dei due giovani, tirando fuori una sedia da sotto il grande tavolo della sala evidentemente usata anche per le riunioni.
“Il Comandante! Cazzo, questi ci credono davvero!” mi dissi, trattenendomi dal ridere, ma pure dall’accompagnare il sarcasmo con uno scuotimento della testa al pensiero dello spirito gregario che incantava e trasformava il comportamento di molte persone e, a livello di massa, faceva la fortuna dei dittatori.
Forse fu proprio questa considerazione a farmi nascere la curiosità per i libri sistemati lungo le pareti intorno a me.
– Posso dare un’occhiata? – domandai ai due giovani rimasti alla mia guardia.
– Prego! – mi fece il solito, evidentemente quello dei due preposto alla parola.
Raggiunsi la libreria più vicina, certo di trovare i testi e gli autori sacri del fascismo. Invece, con mia somma sorpresa, scoprii i tomi del Capitale di Marx nelle edizioni Einaudi. Ben presto mi accorsi che l’intero scaffale era dedicato al marxismo. E questo in parte mi fece ricredere sul chiuso fanatismo di quei militanti.
Monticelli si presentò circa dieci minuti dopo. Indossava una tuta nera con il simbolo dell’associazione sul petto e, con un asciugamano al collo, rivelava di essere appena emerso da un allenamento. Non era particolarmente alto, ma aveva le spalle larghe e un viso segnato da rughe che denunciavano l’età, se non la durezza, del soldato veterano.
Mi trovò ancora alle prese con i libri. Ci salutammo e non potei non complimentarmi per l’ampio spettro degli autori.
– Addirittura Marx! – dissi sorridendo.
– Be’, cerchiamo di formare i nostri giovani, non solo nel fisico – rispose, con evidente riferimento all’adiacente palestra, dalla quale arrivavano di tanto in tanto ogni sorta di grida. – Si risponde conoscendo anche il pensiero del nemico.
Annuii, chiedendomi se mai era capitato che qualcuno ne restasse impigliato. Glielo domandai.
– E se qualcuno ne fosse convertito? – risi.
– Peggio per lui – mi rispose, ricambiando la risata.
Poi chiesi per quale motivo fossi stato perquisito.
– Non vogliamo correre il rischio che la nostra conversazione sia registrata o microfonata. Ci scusi. La prego – disse, facendomi segno di accomodarmi davanti a lui.
Sorrisi. – Ha intenzione di farmi delle dichiarazioni molto riservate, allora. Buon per me.
– No, semplicemente non mi fido dei giornalisti. Quello che hanno scritto sulla mia presenza in Ucraina come uomo dei servizi segreti mi ha offeso. Io combatto per degli ideali, non al soldo di qualcuno. Ero andato lì insieme ad altri camerati per dare una mano al popolo ucraino che si batteva contro la giunta golpista, quella, sì, al soldo degli imperialisti americani.
Ricordavo la polemica, anche se vagamente, legata alla rivolta di piazza Maidan a Kiev, dove il servizio d’ordine era affidato a militanti nazionalfascisti.
– Credo ci fosse anche qualcuno dei camerati ricercati dalla giustizia italiana o sbaglio?
– Non lo escludo. D’altra parte nel nostro paese la magistratura da un bel po’ di anni è politicizzata e pilotata, come del resto è stato con il processo Strcic... È venuto qui per questo, no?
– Sì, ne volevo parlare con lei... non tanto nel merito della questione che come profugo fiumano conosco fin troppo bene...
– Vede? – m’interruppe – vale anche per voi quanto ci ha portato a combattere in Ucraina, cioè lottare per quella parte di popolo, qualunque esso sia, ucraino, libanese o, appunto, istriano, che rivendica la propria identità. Sono convinto che ciascuno di noi debba dare il suo contributo.
– E per quanto riguarda il popolo istriano... fino a uccidere un giudice?
Monticelli mi guardò come se fosse un po’ sorpreso della domanda. Esitò un attimo prima di rispondere.
– Se necessario, sì. Equivale a uccidere un qualsiasi nemico.
– E, per restare sul tema, – cercavo di parlare con cautela – il giudice La Spina era un nemico?
– Lei non lo pensa? Con la sua non sentenza, rinunciando a condannare un criminale come Strcic, ha offeso la memoria di tutti gli istriani e fiumani da lui infoibati o comunque fatti uccidere. Io la chiamo complicità. E lei?
– Mi sembra esagerato – risposi pacatamente. – Voglio dire che, dopo tanti anni, certi fatti credo debbano essere visti ormai nella loro luce storica.
– Ma Strcic è ancora vivo. Mi dica: perché quanto è valso per Kappler, condannato all’ergastolo per le Fosse ardeatine, non deve valere per Strcic? Non dovremmo vedere anche queste ormai, come dice lei, sotto una luce storica? Eppure... – qui il suo tono cambiò, si fece più alterato: – Perché Kappler sì e Strcic no? Può rispondermi?
Riuscii a mantenere la calma alla quale l’atteggiamento assunto da Monticelli non mi invitava. Però improvvisamente sentii la bocca asciutta. Nonostante potesse sembrare un gesto di debolezza, chiesi:
– Ha un bicchiere d’acqua, per favore?
Monticelli trattenne un sospiro e annuì. Andò alla porta del suo ufficio rimasta aperta, e parlò a uno dei ragazzi che la presidiavano. Nell’attesa dissi: – Io non sono in grado di rispondere alla sua domanda. Però posso dirle: non è con omicidi come questi che si ottiene giustizia.
Mi guardò con aria di sufficienza.
– Lei conosce un altro modo?
Non gli risposi subito, favorito dall’arrivo del ragazzotto con una bottiglietta d’acqua e un paio di bicchieri di carta, ma anche perché non avevo argomenti da opporgli se non quelli di affidarci alla giustizia, alla legalità, al rispetto della vita umana, capivo però di esporre il fianco a una serie di commenti sul sistema che non lasciavano spazio alla speranza. Ne ero consapevole, ma non al punto da considerare la guerra armata al sistema...