E-Book, Italienisch, 192 Seiten
Reihe: Capolavori ritrovati
Arpino La trappola amorosa
1. Auflage 2025
ISBN: 978-88-7707-804-9
Verlag: Capricorno Edizioni
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 192 Seiten
Reihe: Capolavori ritrovati
ISBN: 978-88-7707-804-9
Verlag: Capricorno Edizioni
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Giovanni Arpino è nato a Pola nel 1927 da genitori piemontesi, si è trasferito prima a Bra, città di origine della madre, e poi a Torino, dove è morto il 10 dicembre 1987. Giornalista alla Stampa (celebri le sue cronache del Mondiale di Argentina del 1978) e al Giornale di Indro Montanelli, ha esordito nella narrativa nel 1952, con il romanzo Sei stato felice, Giovanni. Tra i suoi libri: Gli anni del giudizio (1958); La suora giovane (1959); Un delitto d'onore (1961); Una nuvola d'ira (1962); L'ombra delle colline (1964, Premio Strega); Il buio e il miele (1969); Randagio è l'eroe (1972, Premio Selezione Campiello); Domingo il favoloso (1975); Il primo quarto di luna (1976); Azzurro tenebra (1977); Il fratello italiano (1980, Premio Campiello); La sposa segreta (1983), Passo d'addio (1986). La trappola amorosa (uscito postumo nel 1988) è il suo ultimo romanzo.
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II
«Ho letto troppi libri gialli per non sentire puzzo di bruciato. Femmina che non si firma: pericolo certo. Una scemacchiotta qualsiasi avrebbe scritto il suo numero di telefono. E invece no: attento fratellino», sentenziò la donna riempiendosi nuovamente mezzo bicchiere di vermut.
Aveva un’aria estasiata per tanta novità.
Rise, infine, un suono lento e chioccio che a molti sarebbe suonato fastidioso ma che a Giacomo Berzia piaceva. Del resto amava tutto di quella sua sorella Amalia, vasta di spalle, di petto, odorosa di colonia, che nella vedovanza aveva ritrovato fresche libertà di giudizio, un piglio finalmente sfuggito al plumbeo dominio del farmacista sposato in gioventù.
«Forse è solo uno scherzo», le diede corda Berzia.
«Forse. Ma non ci credo. Da giallista incallita mi proibisco di crederci», lo bloccò Amalia dando una ritoccatina con l’unghia del pollice al foglio quadrettato disteso sul tavolo: «Qualche tua ascoltatrice della domenica, questo è sicuro. O non sarà una ragazzuola della Stazione Radio? Conosci cervellini così pimpanti?»
«Macché», si strinse nelle spalle Berzia: «Le solite bambinacce: due pizze al giorno e la testa alle Bermude per Ferragosto. Un’ascoltatrice? Probabile. Chi altri, sennò?»
«Costei ha sale nella zucca», riprese il filo Amalia: «Semplice, concisa, geniale. Deve averci pensato bene. Hai pretendenti di questo calibro che ti ronzano in giro?»
Giacomo Berzia, divertito, negò.
«Stai inzitellendo un po’ troppo», lo esaminava la donna: «Te ne rimani stravaccato nella bambagia della tua vanità. Non sei mai stato un guerriero, ma mi piacerebbe vederti più sul nervo. Invece ti fai gli spaghetti da solo, non viaggi da un secolo, con una cravatta nuova ti credi Ganimede. Di qualche amorazzo me ne parlavi, una volta. Sei a digiuno volontario?»
Ancora rise gorgogliando, aveva bei denti e gli occhi d’uno smalto azzurro affettuoso. Era di tre anni più vecchia di lui, mai aveva pronunciato un parere a vanvera.
«Con quella radio ti senti al settimo cielo e invece sei soltanto nel limbo», rincarò pianamente: «Oddio, meglio che degradarsi come certi tuoi colleghi, li in ginocchio a slinguare lodi per un detersivo o un pannolino. Quello che fai è rispettabile. Infatti la portinaia ti tiene lustro, qua dentro: l’avessi io una donna così. Ma le dame a ore preferiscono gli uomini, s’è sempre saputo.»
«Non toccarmi Adele. È tutto per me: idraulico, pompiere, stiratrice, maniaca delle maniglie lucide», alzò le mani Giacomo Berzia: «Chi tocca Adele avrà del piombo».
Amalia non si lasciò distogliere: «Un altro, al posto tuo, dopo essere tornato a galla con la radio, ne avrebbe approfittato dieci volte: telefonando a giornalisti, impresari, vecchi colleghi meno pigri di te. Avrebbe invitato le persone giuste a cenette giuste. Bah. Come se non ti conoscessi fin da piccolo. Ti piace sentirti delicato, muoverti come un ‘biscuit’. Anche per questo qualche amorosa importante t’ha buttato dal treno». un tonto non pentito, purtroppo».
«Sempre stato un tonto», accolse l’uomo placidamente: «E un tonto non pentito, purtroppo».
Amalia aveva ripreso quel pezzo di carta, per l’ennesima volta lo sventoló, lo rimise sul tavolo.
«Da detective ti dico: e se si trattasse d’una paranoica querulolomane o di un soggetto melancolico agitato o di una parafrenica fantastica?» sillabó con voce imperiosa.
«Mamma mia. Che roba è», stupi Berzia.
«Tutti termini scientifici bellissimi. Li ho imparati a memoria su un mio libercolo particolare, , medicina spiegata a chi sa e a chi non sa. Bisogna che te lo presti», solfeggiò Amalia: «Le trenta pagine sulla psichiatria dovresti leggerle al tuo microfono. Le nonnine all’ascolto capirebbero al volo, infilerebbero le loro nipoti nella camicia di forza».
«Ma guarda dove ti vai a cacciare», sospirò l’uomo, sinceramente sbalordito.
«È l’età», ribatté Amalia con sussiego: «Ero sottile come Marlene Dietrich e non lo sapevo, non ne approfittavo. Sono diventata una trombona tutta lardo, anche se non invidio le magre d’oggi: soltanto lupe fameliche. Cosa diceva quel bel tomo, Mao Tze-tung? Che le donne sono la metà del cielo? Ebbene, è la metà che occupo io con la mia ciccia».
«Sei il ritratto della salute», mise lì Berzia.
«Se avessi saputo a vent’anni o trenta le cose che so oggi, sarei stata un’altra creatura», s’oscurò Amalia: «Ma avevo letto troppo poco, visto niente, pensato zero. Cosi va la vita: ti brucia subito e appena diventi una bella cenere calda, piena di scintille nascoste, devi startene quieta quieta in un angolo, senza più il coraggio di dare o chiedere. Da quando il farmacista ha avuto l’idea di diventare una buonanima, mi trovo benissimo. Perché negarlo? Mai stata un’ipocrita. Ma che io stia benissimo, che ragioni, che sia equilibrata, a chi serve?»
«Amalia Amalia», tentò di porle un freno Berzia, che conosceva anche troppo bene queste vampate d’umore.
«In più: abbiamo nomi troppo antichi, noi due. Tu: Giacomo, io: Amalia. Ottocenteschi, fuori moda. Per chiamarsi Giacomo bisognerebbe essere un duca d’Orléans, per reggere un’Amalia ci vorrebbe un poeta demente, peccatore: Byron, forse. Chiudo: ti risparmio il rovescio del disco.»
«Dove si va a colazione?» cercò di spicciarsi Berzia.
«Soliti posti dei nostri soliti lunedi. Perché cambiare? Mi dispiace di esserti soltanto sorella. Sei l’ultimo uomo che mi frequenta e non si stufa.»
«Trovati una sosia e giuro che la sposo. Per comodità e egoismo da ‘biscuit’, naturalmente», ridacchiò l’altro.
«Ti sposerei io. Per motivi incestuosi. Oh sì», dichiarò solennemente la donna guardando nel vuoto: «Dopotutto m’imbarcai con quel catafalco del farmacista solo perché mi ricordava nostro nonno, che tra caccia, circolo del biliardo e tabarin, di rògiti e testamenti ne curò ben pochi. Per fortuna lo salvò la nonna, nata moglie di clausura. Il farmacista era negato a fantasie incestuose, il contrario di Byron. Per lui l’amore, l’‘amour’, significava pesticchiare una pappetta come tutte le altre nel mortaio. Ma qui se sto zitta è meglio».
L’uomo ripiegò accuratamente l’elettrocardiogramma fermandolo con un posacenere.
«Secondo me, sei già pedinato», distillò Amalia in tono saccente mentre infilava i guanti imbottiti di pelliccia: «Costei non è nata ieri. Deve aver studiato. Possiede una calligrafia, mentre al giorno d’oggi, guarda in banca guarda alle poste, i giovani manovrano la matita dietro lo sportello come se fosse un uncino. La tizia avrà il cuore sano, ma se avesse il cervello tutto buchi come un groviera? Pensaci, Giacomino. Troveremo gnocchi all’osteria? Gnocchi con la bava e i fiocchi: m’andrebbero giusti».
Anche la passeggiata del lunedì verso la trattoria costituiva un piccolo rito per i fratelli Berzia. Procedevano sottobraccio sostando davanti a qualche vetrina. La strada aveva un aspetto malandato ma non mancava di botteghe raccolte nell’alone d’un loro buio fascino: v’era l’antro d’un corniciaio che odorava di legname e vernici, poi la legatoria d’un vecchio scorbutico che oliava i suoi cilindri, chino nella penombra. Alto su un uscio ecco apparire lo sgabello abilmente sconnesso d’un ultimo impagliatore di sedie. E infine un negozietto anch’esso sbarrato: offriva da vetri polverosi bambole fuori moda e in una bacheca appesa al muro altre bambole rotte, con braccia svitate cadute sul fondo, occhiaie vuote, omeri di gesso e di cartapesta che lasciavano guizzare brandelli d’elastico.
«Mai visto aperto questo buco», brontolò Amalia: «Dev’essere di qualche vecchiardo maniaco sporcaccione, che aspetta di abbrancare Cappuccetto Rosso. Bisognerebbe dedicargli un’indagine, chissà che misteri verrebbero fuori».
All’angolo della piazza, Amalia s’irrigidi. Non degnò neppure di un’occhiata l’imponenza dello spazio, i profili di palazzi e chiesa che nella vitrea luce invernale chiudevano quel rettangolo vuoto. Tossicchiò nervosa.
«Ci riprovo?»
«Se ci tieni. Però non eccitarlo», sbuffò l’uomo.
«Non gli darò questa soddisfazione.»
Entrarono nel bottegone che vendeva animali. Un omino in grembiule nero si materializzò tra gabbie lontane, corse con aria giuliva,...




