E-Book, Italienisch, 249 Seiten
Reihe: Incendi
B Bianchi Yoko Ono
1. Auflage 2018
ISBN: 978-88-6783-212-5
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Dichiarazioni d'amore per una donna circondata d'odio
E-Book, Italienisch, 249 Seiten
Reihe: Incendi
ISBN: 978-88-6783-212-5
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
«La donna più odiata del rock», «Dragon lady», «Strega», «la giapponese che ha diviso i Beatles»: da decenni feroci accuse caratterizzano la figura di Yoko Ono. Malgrado ciò, o forse anche grazie a questi pregiudizi universalmente diffusi, Yoko Ono è la giapponese più famosa al mondo. In questo libro Matteo B. Bianchi si cimenta in un'impresa eroica: spiegarci perché dovremmo amarla. Performance artist, cantante, regista, pacifista e attivista, in oltre 80 anni Yoko Ono ha condotto una vita straordinaria, passando da un'infanzia a Tokyo nel lusso sfrenato a un'esistenza da artista squattrinata nella New York dell'avanguardia underground degli anni Sessanta, sino al folgorante incontro con John Lennon, che modificherà per sempre i destini di entrambi. Oggi Yoko Ono gode di una nuova considerazione artistica, con ampie retrospettive nei maggior musei mondiali, un imprevedibile successo discografico in ambito dance e attestati di stima da parte di popstar come Lady Gaga e Moby e di guru della scena alternativa come i Sonic Youth. Alternando aneddoti, ricordi personali di fan e un percorso biografico, Matteo B. Bianchi traccia un ritratto originale e appassionato dell'artista. «Volete avere qualcosa in comune con John Lennon? Allora innamoratevi anche voi di Yoko.»
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5 | Il big bang |
A differenza di ciò che molti pensano, o danno per scontato, quello fra John Lennon e Yoko Ono non è stato un colpo di fulmine. Anzi, il loro primo incontro è stato piuttosto tiepido.
Nel settembre del 1966 Yoko era stata invitata a partecipare a un simposio intitolato “Deconstruction in art”. Presentava alcune delle sue opere concettuali, incluso il “Cut piece”, e concludeva chiedendo al pubblico di urlare parole in libertà per cinque minuti. Le reazioni della critica inglese alla performance furono migliori di quelle ricevute negli Usa. Il «Financial Times» la definì addirittura “esaltante” e osservò come al termine la maggior parte del pubblico mostrasse il tipo di reverenza riservata ai pianisti classici. Un commento che deve aver deliziato l’artista.
In seguito al successo della sua esibizione Barry Miles, uno degli organizzatori del simposio, la invita a tenere una mostra personale nella galleria di sua proprietà, la Indica.
Finalmente un riconoscimento tangibile per la squattrinata, ma in ascesa, Ono.
La mostra debutta il 9 novembre di quell’anno. Si intitola “Unfinished paintings and objects” (dipinti e oggetti non terminati) e comprende sia nuove opere sia pezzi esposti in precedenza a New York. Ciò che espone richiede una reazione, un atto fisico di partecipazione dello spettatore: è questo a dare un senso conclusivo all’esperienza, a completare quei dipinti e quegli oggetti, che lei definisce “unfinished”. Per esempio, la “Box of smiles” (la scatola dei sorrisi), posta all’altezza del viso dello spettatore, che aperta rivela uno specchio: il sorriso che contiene la scatola è quello riflesso del pubblico; o il “White chess”, una scacchiera dove tutte le pedine sono bianche: ai giocatori il compito di fare una partita fino a quando riescono a ricordare quali pezzi appartengono all’uno o all’altro.
La Indica Gallery è uno dei luoghi più in auge della swinging London, frequentato dall’élite artistica cittadina, ma anche da attori, registi e musicisti rock. I Beatles, i Rolling Stones, la modella e cantante Marianne Faithfull, sono presenze abituali.
John Lennon, al quale Miles aveva decantato le qualità dell’artista giapponese, si presenta alla Indica un’ora prima dell’apertura per una visita privata.
Yoko Ono aveva dato precise istruzioni di non lasciare entrare nessuno prima che fosse tutto pronto e quando John Dumbar, il socio di Miles, le presenta Lennon lei non gradisce affatto questa intrusione anticipata, ma non vuole mostrarsi scortese e dice semplicemente «Hello». Lo fa per cortesia verso il gallerista, ma in quel momento, per lei, quello è solo uno scocciatore.
Che Lennon non avesse familiarità con un’oscura artista dell’avanguardia newyorchese è comprensibile. Ciò che lascia da sempre perplessi i detrattori di Ono è che lei potesse non riconoscere uno dei quattro musicisti più famosi del mondo.
Questo in genere è uno dei punti più contestati della loro storia, probabilmente perché è troppo perfetto per sembrare vero. Invece ha senso: cresciuta in un ambiente raffinato ed elitario, Ono ha nutrito da sempre una passione per la musica colta, passando dalla classica, ascoltata e studiata fin dalla tenera età, alla musica sperimentale contemporanea dell’università; le canzoni pop non rientravano nel suo radar. È probabile che, come tutti, avesse sentito parlare dei Beatles, ne avesse orecchiato qualche canzone alla radio, ma certo non era una fan. Che non ne riconoscesse uno trovandoselo davanti era più che possibile.
Quando si incontrano, quindi, i due non sanno quasi niente l’uno dell’altra. Lei è tesa come può esserlo solo un’artista un’ora prima del debutto, lui probabilmente sorpreso (e forse, perché no?, anche divertito) dall’essere trattato come un visitatore inopportuno che si aggira nelle sale prima del previsto. Vuole anche provocarla: come prima cosa afferra la mela verde appoggiata su un piedistallo destinata, nelle intenzioni dell’artista, a marcire davanti al pubblico nei giorni seguenti, e le dà un morso. È un miracolo che Yoko si trattenga dal buttarlo fuori a calci, ma il suo sguardo è abbastanza eloquente: John, intimidito, rimette la mela a posto.
L’atteggiamento del cantante muta quando si trova davanti all’opera “Ceiling painting” (dipinto sul soffitto), composta da una scala e da una lente d’ingrandimento attaccata con una corda. Incuriosito sale sui gradini e punta la lente sul biglietto incollato al soffitto contenente una sola microscopica parola, “Yes”.
John apprezza la semplicità del messaggio positivo. In seguito ammetterà di esserne stato colpito: «All’epoca l’avanguardia consisteva nel fare a pezzi un pianoforte con un martello e distruggere delle sculture, era tutto anti-questo o anti-quello. Era roba noiosa e negativa. Quel semplice “Sì” ha fatto in modo che mi fermassi in quella galleria fra le mele e i chiodi».
I chiodi cui fa riferimento sono quelli di un’altra opera. Si chiama “Hammer a nail in” (pianta un chiodo) e consiste di una tela bianca con un martello attaccato con un filo e una serie di chiodi che i visitatori sono invitati a piantare.
«Posso piantare un chiodo?» chiede.
Yoko rifiuta. Ma il gallerista si avvicina e le sussurra che dovrebbe proprio fargli piantare quel chiodo. «Sai, è un milionario. Potrebbe anche comprare l’opera». Cerca di insistere e alla fine Yoko gli dice: «Puoi farlo se mi dai cinque scellini».
Da rockstar piena di soldi, ovviamente Lennon non ha neanche una moneta con sé.
«Se ti do cinque scellini immaginari posso piantare un chiodo immaginario?»
Ora i ruoli si sono invertiti: «Aveva già imparato il mio gioco» dirà nelle interviste successive Yoko, «ed è stato così veloce.»
L’incontro, che era partito con le peggiori premesse, si conclude con un’impressione più che positiva per entrambi, ma per ora non scatta nessuna clamorosa scintilla. Vale anche la pena ricordare che Lennon è sposato con Cynthia Powell e Yoko con Tony Cox.
Passano due anni fra il primo e il secondo incontro e in quel lasso di tempo succedono molte cose.
La mostra alla Indica è un discreto successo. Tra le star intervenute, il regista Roman Polanski e l’attrice Sharon Tate trascorrono un’ora a giocare con gli scacchi bianchi. Il nome di Yoko Ono comincia a circolare nell’ambiente culturale cittadino e sulla stampa. In particolare, fa scalpore il suo progetto successivo, il film Bottoms, costituito dalla ripresa in primo piano del fondoschiena di 365 persone. Una carrellata di culi anonimi della durata di circa due ore, come rappresentazione dell’innocenza e del fatto che tutti, uomini e donne, senza vestiti siamo uguali. Ne nasce un mezzo scandalo.
Nel frattempo Yoko aveva inviato copie di Grapefruit a un centinaio di destinatari in Inghilterra, selezionati fra amici, artisti e critici. Lennon è uno di questi.
La natura epigrammatica del testo affascina il musicista. Tiene il volume sul comodino, per aprirlo ogni tanto e leggere le brevi istruzioni che contiene. Capisce che quelle indicazioni hanno una risonanza diversa a seconda del suo umore: talvolta le trova sciocche, talvolta poetiche e illuminanti. Di certo non lo lasciano indifferente.
Capita che ogni tanto i due si sentano per telefono. Per loro stessa ammissione, si tratta di chiamate piuttosto bizzarre nelle quali, a parte i saluti, si dicono molto poco e restano a lungo in silenzio.
Ono intanto si era separata da Tony Cox e si era trasferita a Parigi. Voleva approfittare della ritrovata libertà e concentrarsi sulla sua produzione artistica e quando torna a Londra per partecipare a un concerto, trova nel suo appartamento decine di lettere di Lennon sempre più appassionate.
Una sera di maggio lui la invita nella sua casa a Kenwood.
La mattina dopo, rientrando da un viaggio, la moglie Cynthia li trova che dormono abbracciati insieme. Reagisce con compostezza, accettando l’evidenza della situazione. «È stato tutto molto civile, da figli dei fiori quali eravamo» commenterà Yoko.
La stampa e il pubblico fin da subito prendono in antipatia la nuova compagna di Lennon, ma lui è così innamorato che non vede l’ora di condividere i suoi sentimenti con l’esterno, tralasciando però un particolare che per la società borghese degli anni Sessanta ha un valore altissimo (almeno di facciata): entrambi sono ancora sposati. La coppia ha dunque la sfacciataggine di presentarsi in pubblico come fieramente adultera.
A differenza delle altre mogli/compagne/fidanzate dei Beatles, con un ruolo di presenza silenziosa accanto ai loro uomini superstar, quella di Yoko non è mai stata una figura di secondo piano. Ono aveva personalità da vendere, era un’artista con una filosofia e un’estetica già sviluppate, era una femminista con opinioni molto precise in ambito politico e sociale, era soprattutto una che non stava zitta.
Yoko aveva poi un’altra caratteristica che contribuiva a rendere più difficile la sua accettazione: non era un’avvenente...