Birgisson | Il vichingo nero | E-Book | sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 559 Seiten

Reihe: Narrativa

Birgisson Il vichingo nero


1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-7091-586-0
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 559 Seiten

Reihe: Narrativa

ISBN: 978-88-7091-586-0
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Nella Norvegia del IX secolo, alla corte reale del Rogaland, nasce Geirmund Pelle Scura, destinato a diventare il «vichingo nero», cacciatore, viaggiatore, pioniere, definito «il signore dell'Atlantico» e «il più illustre tra i primi colonizzatori d'Islanda». Figlio del re Hjör e di una donna sami della Siberia, discriminato fin da bambino per i suoi tratti mongoli, Geirmund viene inviato nell'estremo Nord, fra le tribù del mitico Bjarmaland, prima di partire all'esplorazione dei fiordi islandesi. Qui costruisce il suo impero sulla caccia al tricheco, di cui ha imparato ogni segreto dai bjarmi, e sul commercio internazionale dei prodotti derivati che sono alla base dell'economia e dell'arte navale vichinghe - l'olio ricavato dal grasso, le corde realizzate con la pelle e le preziose zanne - grazie alla manodopera di centinaia di schiavi cristiani catturati in Scozia e Irlanda. Perché esistono così poche fonti su di lui e nessuna saga ne ha tramandato le singolari imprese? Lo scrittore e filologo Bergsveinn Birgisson si mette sulle tracce sperdute di questo suo misterioso antenato per ricomporne la storia dimenticata. Una ricerca che spazia tra archeologia, antropologia, genetica, biologia, linguistica, ecologia, dove la scienza richiede il contributo della poesia e dell'immaginazione. Un viaggio nell'epico mondo di Ragnarr e Harald Bellachioma in cui l'autore scosta il velo della leggenda e sfata il mito fondativo dell'Islanda, riportando alla luce l'avventura di «imprenditori» scaltri che si insediarono in questa terra vergine per sfruttarne economicamente le risorse, prima che gli eroi delle saghe vi trovassero una nuova patria e la libertà.

Birgisson Il vichingo nero jetzt bestellen!

Weitere Infos & Material


Pescare nel Ginnungagap del passato


Geirmund Hjörsson Pelle Scura


Ýri Geirmundardóttir 875
Oddi Ketilsson 920
Hallveig Oddadóttir 980
Snorri Jörundarson 1012
Gils Snorrason 1045
Þórður Gilsson 1070-1150
Sturla Þórðarson 1115-1183
Helga Sturludóttir 1180
Gyða Sölmundardóttir 1225
Helga Nikulásdóttir 1240
Einar Þorláksson 1280
Ónefnd Einarsdóttir 1340
Narfi Vigfússon 1365
Anna Narfadóttir 1475
Loftur Guðlaugsson 1500-1564
Arnór Loftsson 1540-1610
Anna Arnórsdóttir 1590
Halldóra Björnsdóttir 1620
Ásgeir Jónsson 1650-1703
Guðmundur Ásgeirsson 1687-1739
Ólöf Guðmundsdóttir 1723
Bjarni Pétursson 1745-1815
Jón Bjarnason 1793-1877
Halldór Jónsson 1831-1885
Ragnheiður Halldórsdóttir 1876-1962
Guðjón Guðmundsson 1917-2010
Birgir Guðjónsson 1940
Bergsveinn Birgisson 1971

©1997-2011

Íslensk erfðagreining ehf. e Friðrik Skúlason ehf.

Tutti i diritti riservati.

All’inizio degli anni Ottanta un vecchio signore frequentava abitualmente la casa in cui ho trascorso l’infanzia, in un quartiere periferico di Reykjavík. Si chiamava Snorri Jónsson ed era amico dei miei genitori. Era cresciuto negli Hornstrandir, l’impervia zona costiera nell’estremo nord dell’Islanda. Come molti altri, Snorri aveva abbandonato la regione negli anni Sessanta, ma col pensiero era rimasto là e parlava con profondo affetto dei suoi luoghi natii. Era un uomo magro, con una voce stentorea che riusciva a sovrastare i gridi degli uccelli e il fragore dei marosi. Era un noto sigmaður, un «calatore», come veniva chiamato chi si faceva calare dall’alto delle scogliere appeso a una fune e penzolando si spostava da un nido all’altro per raccogliere le uova.

Il grande eroe di Snorri era uno degli antichi colonizzatori islandesi, Geirmund Heljarskinn, ovvero «Pelle Scura». Di nessun altro parlava con lo stesso rispetto, nemmeno della neoeletta presidentessa Vigdís Finnbogadóttir. Io avevo dieci o dodici anni e non capivo fino in fondo le storie che Snorri raccontava su Geirmund e la sua gente. Le ho in gran parte dimenticate, ma una in particolare mi ha colpito in modo così profondo che la ricordo bene ancora oggi. Diceva più o meno così:

Negli Hornstrandir Geirmund possedeva una grande quantità di schiavi irlandesi. Vivevano in condizioni misere, dovevano lavorare duramente e avevano poco da mangiare. Un giorno decisero di fuggire. Rubarono una piccola barca a remi e si misero in mare. Avevano poche conoscenze di navigazione, volevano soltanto andarsene il più lontano possibile. Remarono finché non arrivarono a un isolotto poco distante dalla costa, oltre non riuscirono a spingersi. L’isolotto porta ancora il nome di quegli sventurati: si chiama Íraboði, «sperone sommerso degli irlandesi». Se fossero riusciti a proseguire avrebbero senz’altro raggiunto il Polo Nord, poveretti.

Mi figuravo questa storia davanti agli occhi come se l’avessi vissuta in prima persona. Per qualche motivo immaginavo gli schiavi come dei monaci, con la tonsura e le tuniche bigie fatte di vaðmál. Il volto sporco, lo sguardo grave e fisso per il terrore. Alcuni di loro si sono procurati dei remi, gli altri hanno soltanto delle assi con cui cercano di pagaiare. Occhi bianchi nei volti fuligginosi. Remano come forsennati. Via, lontano da tutto. Qualsiasi altro posto sarà migliore di quello. Raggiungono un isolotto in mare aperto. Avranno pensato: dove andremo a finire se proseguiamo? Oltre i confini della terra? Mi sembra di vederli su quello sperone di roccia, tremanti di freddo in mezzo al mare. Una volta esaurite le scorte di acqua e viveri si prospetta il gelo della morte. A poco a poco gli arti si intorpidiscono. Chissà se intonano un triste canto irlandese o un salmo (erano sicuramente cattolici), serrandosi uno contro l’altro per cercare di tenersi caldo? Si può solo provare a immaginare l’orrore di una fine tanto lenta. Si saranno sostenuti a vicenda nella morte?

Nel frattempo Geirmund Pelle Scura ha scoperto che i suoi schiavi se ne sono andati e si è messo in mare per cercarli. Erano vivi o morti quando li ha trovati sull’isolotto? E loro avranno visto la nave del padrone avvicinarsi con la vela spiegata?

L’unica cosa certa è che sono morti lì, tutti quanti. Le onde hanno lavato via i loro resti terreni, hanno lacerato i panni di vaðmál che un tempo li avevano protetti dal freddo. Le onde hanno strappato la carne dalle ossa, che in seguito si sono polverizzate durante qualche tempesta del Mar Glaciale Artico, finché non è scomparsa anche l’ultima loro traccia. Sono morti. Tutti. Ma se non altro sono morti come uomini degni di rispetto sul loro scoglio, dove nessuno poteva sfruttarli né umiliarli.

L’isolotto è diventato terra degli irlandesi e il suo nome ha fatto sì che non venissero dimenticati: Íraboði.

***

Snorri se n’è andato, ma il suo racconto è ancora vivo.

Nell’estate del 1992, circa dieci anni dopo aver ascoltato quella storia sugli schiavi irlandesi, mi trovavo nel Norðurfjörður, uno dei Fiordi Occidentali, appena a sud degli Hornstrandir. In quegli anni durante l’estate armavo un motopeschereccio: prendevo a noleggio da un parente una piccola barca, che i più spiritosi definivano bagnarola, e uscivo a pesca per finanziarmi gli studi a Reykjavík durante l’inverno. Un giorno, mentre me ne stavo lì a esaminare le carte nautiche e a pensare dove andare a pesca il giorno dopo, mi cadde l’occhio su un toponimo ben noto, che spiccava tra tutti gli altri isolotti e scogli, a circa sei miglia marine dalla costa: Íraboði.

Me li rividi davanti. Le tonache di vaðmál. Gli occhi bianchi spalancati nei volti scuri. Uomini che remano con assi di legno per sfuggire a una terribile schiavitù. I corpi che tremano sullo scoglio. Le onde che si infrangono contro le rocce.

Sono convinto che, se sono riuscito a portare a termine questo libro, devo ringraziare la storia che Snorri mi ha raccontato, o meglio il modo in cui vi si immedesimava. Soprattutto perché molto tempo dopo mi sono reso conto che gli eruditi del Medioevo, coloro che per primi hanno affidato alla scrittura la storia della colonizzazione islandese, non hanno mai condiviso il suo interesse per Geirmund. Da dove aveva ricavato, Snorri, il materiale per i suoi racconti? Che avesse avuto la fortuna di conoscere le ultime vestigia di una tradizione narrativa sopravvissuta oralmente negli Hornstrandir fin dai tempi più antichi? Continuavo a pormi le stesse domande: chi era Geirmund Pelle Scura? Per quale motivo teneva degli schiavi nell’estremo nord? Come mai non esiste una saga dedicata a lui – che era ritenuto «il più nobile di tutti i colonizzatori islandesi»? Perché viene descritto come «nero» e «brutto», due aggettivi che nelle fonti sono destinati soltanto agli schiavi? Aveva forse legami di parentela nel Bjarmaland? Dove si era procurato gli schiavi irlandesi? Li aveva catturati lui stesso o li aveva comprati? E a quale prezzo? Che la sua presunta ricchezza fosse solo una fandonia, considerando il fatto che abitava nella desolata Islanda? E davvero la sua vita non ha fornito materiale adatto a farne una saga?

Per ironia del destino, dopo essermi dedicato a studiare scrupolosamente la vita di Geirmund Pelle Scura e aver analizzato quel toponimo insieme a molte altre cose, sono giunto alla conclusione che in tutta probabilità la storia degli schiavi di Íraboði sia un’invenzione letteraria più tarda. È risaputo che resoconti del genere nascevano per spiegare antichi nomi di luoghi. Comunque niente esclude che il toponimo Íraboði risalga al periodo più antico, e indichi che lì erano sbarcati degli irlandesi, di loro volontà o perché costretti.

Ciascuno rielabora i propri ricordi e le proprie esperienze e li trasforma in storie e aneddoti, senza più domandarsi che cosa sia realtà e che...



Ihre Fragen, Wünsche oder Anmerkungen
Vorname*
Nachname*
Ihre E-Mail-Adresse*
Kundennr.
Ihre Nachricht*
Lediglich mit * gekennzeichnete Felder sind Pflichtfelder.
Wenn Sie die im Kontaktformular eingegebenen Daten durch Klick auf den nachfolgenden Button übersenden, erklären Sie sich damit einverstanden, dass wir Ihr Angaben für die Beantwortung Ihrer Anfrage verwenden. Selbstverständlich werden Ihre Daten vertraulich behandelt und nicht an Dritte weitergegeben. Sie können der Verwendung Ihrer Daten jederzeit widersprechen. Das Datenhandling bei Sack Fachmedien erklären wir Ihnen in unserer Datenschutzerklärung.