Boochani / Mansoubi / Tofighian | Libertà, solo libertà | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 452 Seiten

Reihe: Saggi

Boochani / Mansoubi / Tofighian Libertà, solo libertà


1. Auflage 2024
ISBN: 978-88-6783-518-8
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 452 Seiten

Reihe: Saggi

ISBN: 978-88-6783-518-8
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Dopo 'Nessun amico se non le montagne', torna la voce di Behrouz Boochani con una raccolta di scritti che parte dagli anni passati nel centro di detenzione offshore australiano, per approdare alla libertà ottenuta in Nuova Zelanda e ad altre battaglie per i diritti umani. Nei testi che compongono Libertà, solo libertà emerge una voce profondamente umana che denuncia l'indegnità della condizione dei richiedenti asilo detenuti in tutto il mondo. Attraverso una molteplicità di stili e di approcci, Boochani cattura la complessità dell'esperienza dei profughi e la natura surreale dell'isola- prigione. La riflessione, arricchita dal contributo di giornalisti, critici culturali e storici che ne hanno sostenuto la vicenda umana e intellettuale, dà vita al resoconto commovente e creativo della lotta di uno scrittore che ha reso pubblici gli effetti delle politiche di confine. Questo libro è una presa di coscienza e un antidoto per combattere le derive di repressione e di coercizione che condannano migliaia di esseri umani nei campi per migranti aperti in diverse parti del pianeta e che oggi sono sotto sperimentazione in Europa e in Italia.

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UN LIBRO PER IL PRESENTE. LE TESTIMONIANZE DAL CONFINE DI BEHROUZ BOOCHANI


A pochi anni di distanza dalla pubblicazione di , add editore sceglie in modo encomiabile di rendere disponibile al pubblico italiano ciò che potremmo chiamare il secondo tempo – più riflessivo e multivocale – della storia di prigionia e riscatto di Behrouz Boochani, intrappolato nel sistema d’asilo australiano e nei suoi regimi di detenzione per lungo tempo. L’autore ritorna in questo testo sull’analisi della propria esperienza approfondendo la comprensione del sistema australiano di detenzione e contenimento dei richiedenti asilo, svelandone i radicamenti all’interno della storia australiana di emarginazione delle minoranze e mostrando la forza della scrittura e della testimonianza come forma di resistenza. La riflessione è ulteriormente arricchita dal contributo di autori – giornalisti, critici culturali, storici – che ne hanno accompagnato e sostenuto la vicenda umana e intellettuale. Nel suo insieme, il testo rappresenta quindi una documentazione retrospettiva sull’opera di opposizione e denuncia che ha permesso di rendere pubblici gli effetti delle politiche di confine australiane e le condizioni dei campi di detenzione offshore, fino al punto da provocarne la parziale e momentanea chiusura. Tale opera si è anzitutto fondata sulla presa di coscienza tanto individuale che collettiva del funzionamento di tale sistema.

Nel testo c’è un ampio materiale di riflessione per poter comprendere i contorni delle politiche di confine australiane, del sistema extraterritoriale di detenzione dei richiedenti asilo, delle forme retoriche che lo hanno legittimato, dei suoi effetti reali, delle sue profonde radici storiche. Non vi è quindi qui bisogno di soffermarsi ulteriormente su tali aspetti. È forse più utile per il lettore italiano collocarli entro un quadro più ampio e generale delle politiche di asilo degli Stati contemporanei, e collegare tali temi ai sistemi confinari che oggigiorno sono sotto sperimentazione in Europa e in Italia. Due elementi in particolare giustificano questa scelta. Da un lato, come noto, nel novembre del 2023 l’Italia ha annunciato la firma di un protocollo d’intesa con l’Albania in materia migratoria volto alla costruzione di centri di detenzione amministrativa nel Paese balcanico. In precedenza, il governo britannico e quello danese avevano annunciato simili accordi con il Ruanda. Dall’altro lato, è forse meno noto come il sistema australiano abbia rappresentato nel corso degli ultimi venti anni un vero e proprio modello per i governi europei. L’esempio australiano è stato importante perché ha legittimato e costruito un quadro di sperimentazione per tali politiche. Gli indirizzi attuali in Europa ne riprendono esplicitamente il solco pur essendo sul piano tecnico differenti. Simile ma, ancora una volta, specifico, è il modo in cui sono siglati gli accordi con i Paesi terzi, Papua Nuova Guinea (il centro di Manus in cui Boochani fu detenuto) e Nauru per l’Australia, Albania e Ruanda per l’Europa (senza dimenticare che sin dall’inizio degli anni 2000 l’Italia ha cercato di coinvolgere la Libia non solo in tema di migrazione irregolare, così definita, ma di centri per l’esame delle richieste d’asilo). Tali accordi, infatti, si fondano tanto su passati rapporti coloniali quanto su egemonie regionali costruite sovente in continuità con i primi.

In un momento in cui le politiche di esternalizzazione dell’asilo, che avevano caratterizzato il cosiddetto modello australiano, tornano al centro delle agende politiche dei Governi europei, a cominciare da quello italiano, il libro di Boochani ne svela la profonda disumanità e la sostanziale inefficacia.

L’esternalizzazione dell’asilo, modello australiano e modelli europei

Con l’espressione esternalizzazione dell’asilo si fa convenzionalmente riferimento a un ventaglio di politiche di confine attraverso cui uno Stato si appoggia a uno Stato terzo (diverso quindi sia dal Paese di origine che da quello di destinazione) per l’esame delle richieste d’asilo avanzate da categorie specifiche di richiedenti e per l’accoglienza degli stessi richiedenti. Questo può avvenire delegando ad altri Stati o entità extraterritoriali la valutazione delle richieste stesse, trattenendo al di fuori del proprio territorio i richiedenti asilo sino a che l’esame della loro domanda non sia completato, o da ultimo mantenendo su territori terzi, attraverso specifici accordi, richiedenti cui è stato riconosciuto il diritto alla protezione internazionale. Chiaramente, il Paese terzo coinvolto possiede un quadro di tutele giuridiche minore o differente rispetto allo Stato destinatario, e le procedure che pone in opera sono soggette a un minor livello di conoscenza e valutazione, per mere ragioni di distanza e inaccessibilità dei luoghi o per questioni legali. La finalità è quindi duplice: portare al di fuori di un determinato quadro giuridico specifici processi decisionali e anticipare, prevenendone l’ingresso sul territorio, l’espulsione di coloro che riceveranno un diniego alla domanda di protezione.

Per cogliere appieno il senso di tali di politiche, dobbiamo anche chiarire il collegamento tra le politiche di contenimento dell’asilo e le politiche migratorie più in generale. È proprio la torsione restrittiva conferita a queste ultime da parte dei Paesi del Nord globale nei confronti dei Paesi del Sud, tipica del tempo della globalizzazione, a rendere l’asilo un tema politicamente delicato. Da un lato, infatti, esso si impone agli Stati nel quadro del rispetto delle convenzioni internazionali sui diritti fondamentali e rappresenta un elemento importante per definirne il grado di democraticità. Dall’altro, e proprio per questo motivo, esso obbliga questi stessi Stati a un atteggiamento di cautela verso gli ingressi irregolari da parte di persone cui potenzialmente andrebbe riconosciuto il diritto alla protezione internazionale. La convergenza tra questi due elementi – forte restrizione alla migrazione da determinate aree e eccezione dell’asilo – produce una sovrapposizione tra migrazione per asilo e migrazione irregolare, con il rischio di una doppia delegittimazione.

Viste in questa luce, le politiche di esternalizzazione dell’asilo rappresentano la forma estrema di quelle politiche di contenimento delle mobilità indesiderate fondate sulla loro irregolarizzazione e su controlli confinari sempre più sofisticati. Esse rendono visibile in modo plastico la fondamentale contraddizione tra il potenziale riconoscimento di un diritto universale d’asilo, definito a seguito del secondo conflitto mondiale, e il suo effettivo godimento, in particolare da parte di richiedenti asilo originari dei vari Sud del mondo. È stato proprio negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, con le prime crisi post-indipendenza nei Paesi ex coloniali, che le strategie di esternalizzazione hanno cominciato a essere ideate. L’epoca della globalizzazione, con la sua costitutiva differenziazione tra forme desiderate di mobilità di merci e persone (quelle che generano profitto) e mobilità indesiderate, con la conseguente compresenza di ampie politiche di mobilità e brutali sistemi di confinamento, ha poi visto un rilancio e perfezionamento di tali strategie. Nel caso dell’Australia, è stata l’onda lunga degli sfollamenti generati dalle guerre nel Sudest asiatico – Vietnam e Cambogia – con l’estensione nei successivi decenni alle aree più turbolente dell’Asia centrale e del Medio Oriente ad alimentare politiche di contenimento e in seguito di esternalizzazione nei confronti dei richiedenti asilo che giungevano via mare. Nel caso dell’Europa, è stata la realizzazione di un sistema interno di libera circolazione che ha fortemente irrigidito i sistemi di frontiera nei confronti dei Paesi posti lungo la frontiera meridionale e orientale di Schengen.

Queste condizioni rendono l’opzione dell’esternalizzazione dell’asilo strutturalmente possibile, sono tuttavia particolari congiunture politiche a renderla realizzabile. Non è certo un caso che le recenti iniziative italiana, britannica e danese abbiano guadagnato spazio negli anni seguenti la cosiddetta crisi dei migranti in Europa (2014-18), con le speculazioni politiche che ne sono derivate. In realtà, come innumerevoli ricerche hanno dimostrato, non si trattò di una crisi legata al numero degli arrivi, ma alle specifiche politiche poste in essere dagli Stati europei per fronteggiare gli sfollamenti derivanti dalla destabilizzazione libica e siriana.

Nei dettagli tecnici, il protocollo d’intesa tra Italia e Albania in materia migratoria prevede la costruzione di centri di detenzione amministrativa rivolti, entro contorni non ancora ben chiariti e destinati probabilmente a modificarsi, tanto a richiedenti asilo intercettati in mare e soggetti a procedure accelerate di frontiera (vale a dire richiedenti non classificabili come vulnerabili, che provengono da Paesi identificati dal governo italiano come sicuri o che comunque abbiano profili che possono condurre al diniego della richiesta di protezione), quanto a persone straniere espulse in attesa di reimpatrio (esportando quindi all’estero quei centri che sul suolo italiano sono...



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