E-Book, Italienisch, 401 Seiten
Cisi La piena
1. Auflage 2016
ISBN: 978-88-7521-791-4
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 401 Seiten
ISBN: 978-88-7521-791-4
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Umberto ha trent'anni e fa l'operaio in una fabbrica del profondo Nord. Lavoro a parte, le giornate sono scandite da musica rock, uscite notturne nei locali della zona e tornei di calcio amatoriale sul terreno gelido dei campi periferici. Il fatto è che Umberto ha anche una famiglia (Lisa, sua moglie; Ale, un bambino che cresce rapidamente; e Fulvia, un gatto capace di lunghe conversazioni telepatiche), e a un certo punto ha paura di non appartenere più questo nucleo. Anche la sua famiglia d'origine non è una sponda solida. Forse è arrivato il momento di attraversare la lunga linea d'ombra che chiamiamo giovinezza. Con La piena, Andrea Cisi ci racconta una storia di toccante quotidianità, alla ricerca di senso e di identità in un luogo e un tempo che sembrano negarli a ogni passo, rappresentando vividamente un microcosmo che ci appare familiare eppure incredibilmente ricco, eccentrico e imprevedibile.
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2. DARTH VADER
(Settembre settembrino viene giù rossa la pipì.)
Il temporale notturno carezza gli ippocastani, li fa fremere di piacere. L’ombra delle vaste fronde si muove sul soffitto della camera da letto come onde finte in un teatrino. Sono sveglio, e così lei. La sento respirare con affanno, questa gravidanza le crea difficoltà alle vie aeree. È buio ma ne percepisco la sagoma leggermente sollevata contro la spalliera, pancia in su. D’improvviso il nulla di un antico sapore: un pomeriggio d’estate in cascina, all’afa dell’aia infuocata, bambino, nell’odore immobile dell’olio di motore esausto di trattori a riposo, tra mucchi di sabbia chiara da scalare coi tappi di bottiglia con scritti sopra i nomi dei ciclisti, e grano dappertutto, steso sul cemento, da calpestare a piedi nudi...
«Non mi hai mai detto “ti amo”», sussurra all’improvviso.
Scruto il buio, immaginandovi dentro il soffitto.
«Mai in più di dieci anni», ribadisce.
La mia testa è una palla di vetro trasparente.
«C’è un’altra?», chiede, un velo di sospiro. Non mi viene immediata una risposta. Mi sovviene invece questa stessa domanda dieci anni fa, lei in testa una cuffietta molto francese, un altro posto, un’altra situazione. Sempre noi ma altri occhi.
«No», sussurro, ma colgo subito la mezza verità trasparire nel mio tono, nell’esitazione, forse nel non aggiungere altro. Questo silenzio è lei che riflette. È il suo corpo con dentro un altro corpo che ci aspetta al varco, è il mio futuro qui con lei che non posso comprendere. Si volta dall’altra parte, un poco a fatica. Io resto così, immobile. Modello questo buio rassicurante coi miei pensieri brutti.
L’edicolante Rebecchi è intento a pulire la vetrinetta bassa.
«Oh».
«Oh».
«Portano fuori il cane», dice dando di straccio, «si fermano, chiedono il quotidiano e intanto il cane mi piscia sulla vetrinetta».
«Cani di merda».
«Padroni, di merda», corregge.
Il nano si fionda ad abbracciargli una gamba.
«Ti voglio bene edicolante Rebecchi», gli dice.
«Il tuo papà ha i soldini?»
Annuisco.
«Allora ti voglio bene anch’io», e si alza. Rientra nel gabbiotto, accende la stufetta. Si affaccia, assume l’espressione cordiale del venditore.
«Alessandro», lo coinvolge, «tra poco compi quattro anni vero?»
«Eh sì».
«Come te li senti?»
«Pesanti», e si perde via con le bustine appese.
Si rivolge a me.
«Ho poi sentito il mio cliente albanese, quello che scrittura. Se vuoi gli dà un’occhiata anche subito».
«No, ho deciso. Rimarrà un talento inespresso».
«Ha davanti una vita di angosce e sofferenze allora».
«Farà l’edicolante».
«Simpatico».
Una donna elegante barricata dietro occhiali da sole spessi e scuri e con un bambino bello come un modello al seguito si ferma. Acquista al figlio un fumetto giapponese, estrae i soldi da un portafogli Mandarina Duck a tre scomparti. Rebecchi la osserva allontanarsi con cupidigia.
«Ho visto tuo papà in cortile, una mattina che pioveva», dico.
«Cosa faceva?»
«Fumava. Aveva su la maglia di Iniesta».
«Eh, gli abbiam chiesto di smettere ma non c’è verso».
«Fuma molto?»
«Ma no, non il fumo. Gli abbiam chiesto di piantar lì di mettere la maglia di Iniesta, è di mio figlio. A lui gli copre solo la pancia, sta che non si può vedere».
«Robertino come sta?»
«Bene. È sempre dai miei. Ormai parla solo dialetto».
«E i tuoi suoceri?»
Modula la bocca in una smorfia compiacente.
«Ma sì dai, bene. Ogni tanto sta da loro. C’è ancora la camera di Lara, prima di sposarci. A me fa un po’ effetto ma lui ci sta bene».
«Cos’è passato?»
«Sette anni», dice, e non aggiunge altro. Do al nano i soldini.
«Meno male che hai l’edicola, allora».
«Ah be’ sì, ma certe volte ti tocca mandar giù di quei boli...»
«Tipo?»
«Gente che vuole il quotidiano ma non l’inserto, gente che vuole solo l’inserto, bambini che mi aprono le buste sotto il livello della vetrinetta mentre mi parlano, per fregarmi i Gormiti e i Dinofroz di nascosto. Ma ora ho preso un fucile».
«Stai scherzando».
«No, serio. Mi allineo alle nuove generazioni. Ogni settimana arrivano in città comitive di bambini bresciani, vengono con le scuole a vedere i violini. Sono come i barbari, quando passan di qui devo stare fuori davanti sennò mi sparisce tutto. Dovresti sentire che discorsi fanno. E quante copie di mi comprano».
«Lady D?»
«Ma va, la rivista specializzata sulla caccia. Il bresciano giovane si interessa di armi fin dalla culla».
Il nano sceglie tre pacchetti di Gormiti, Rebecchi glieli passa. Lo paga.
«Intanto tu prendi i soldi di mio figlio e hai messo un fucile nel gabbiotto».
«Esatto», dice, e lo tira fuori da dietro spianandolo sotto il naso del nano. È un fucile di plastica, giocattolo. Resto spiazzato, e sollevato.
«L’ho trovato omaggio dentro del mese scorso».
«Fa male?»
«Spara le ventose».
Ne spara una, centra il bassotto di una passante, il cane si spaventa e parte a razzo trascinandosi dietro la padroncina ben oltre l’edicola.
«Colpirne uno per educarne cento», dice Rebecchi.
«Sei pazzo», sorrido, e ci avviamo.
«Comunque tu per quella cosa cerca di stare tranquillo», aggiunge alzando la voce, «basta restare tranquilli. È un colpo ma ci si riprende».
Andiamo via.
Un ombrello di pioggia quieta narcotizza la città, il vecchio Gino dice che il cielo prepara il fiume a un autunno complicato, lo dice lui che di esondazioni ne ha già viste due belle toste, una così da piccolino che per abbandonare la cascina suo papà lo aveva preso in spalla ed erano saliti su una barca con tutte le loro cose e anche con un paio di capretti e le galline. Il lavoro è scarso, siamo pochi. Il comasco ha dimezzato il parco operai, i cavi in teflon non li vedremo più. Quel che si dice un imprevisto. Il Boss sta prendendo delle decisioni che forse non pensava mai di dover prendere.
Questa mattina Lisa era un pezzo di ghiaccio. Si è alzata prestissimo, qualcosa non andava, si è lamentata tutta notte. Non mi ha chiesto nulla, non mi ha chiesto aiuto, non me ne ha parlato. Mi sono alzato ed era in bagno, dopo il caffè era ancora lì. Ho perso tempo a capire come reagire, mi son seduto, non riuscivo a ragionare. Il nano si è alzato da solo, un bacio sui capelli e sono uscito di casa mentre beveva il latte nella sua tazza con la Tour Eiffel. Mi ha detto: «Ciao babbo, buon lavoro», e mi ha stretto un po’ il cuore. Scendendo le scale pensavo:
La Giuseppina era un corridoio vuoto. Non vedevo le case, non vedevo i semafori, l’edicola, la panetteria di Schizzo. Avevo una mattonella di marmo sui pensieri. C’era in radio un pezzo delle Vibrazioni, l’ho ascoltato senza sentirlo. Appena timbrato Borghetti ha detto che a Leicester, una grande città nel centro della Gran Bretagna, sono stati ritrovati i resti mortali di Riccardo III d’Inghilterra, lo ha sentito a Radio Deejay. Il che, dice lui che han detto, aprirebbe tutta una serie di nuove teorie sulla figura letteraria creata da William Shakespeare. Non so perché ma riflettere ora su questa inutile notizia qui, al bancone sgombro di scatolette, mi aiuta a distrarmi. Un poco anche la canzone delle Vibrazioni mi aiuta, mi torna in testa a ondate, senza volerlo. Complicazioni così dense oggi che ogni sciocchezza le attenua.
«Riccardo III?», riprende Armadietti.
«Sì», fa Borghe, «han ritrovato i suoi resti qualche giorno fa a Leicester».
«Cazzo ci faceva là?»
«Era là per una maratonina».
«Ah».
«Ma va, bestia. È morto in battaglia».
«Aah, ma è uno del passato allora».
Borghetti lo copre d’insulti.
«Io non so neanche dov’è Leicester», ammette candido il giovane Eros.
«Te non sapevi neanche che in Italia ci sono la Basilicata e il Molise», lo redarguisce Parrucca. Eros vede che la cosa mi turba, alza le spalle.
«Mica era colpa mia. In cameretta avevo una cartina geografica ma c’era sopra un trasferello gigante di Mazinga sulla Basilicata».
«E il Molise?»
«C’era caduto su del latte, lo aveva grattato via con la lingua Sampei».
«Il tuo gatto pulcioso pieno di malattie schifose?»
Annuisce. Che robe che si scoprono ogni tanto, che storie da contado antico.
«Te Eros», chiedo sottovoce, «ma te con Sampei ci parli?»
«Scherzi? Ancora buona che non gli faccio la pelle», e se ne va a un fornetto per i bagni di temperatura delle termocoppie. Come fanno a essere ancora così sereni? O immagino soltanto che lo siano? Forse stanno mascherando, sono bravi, non è come sembra. Sono preoccupati ma si distraggono con altri discorsi, a caso.
«La storia della creazione è equivoca», dice ad esempio ora Parrucca.
«Ma no», fa il Bomber, «son...




