E-Book, Italienisch, 300 Seiten
D'Angelo La fine dell'altro mondo
1. Auflage 2012
ISBN: 978-88-7521-456-2
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 300 Seiten
ISBN: 978-88-7521-456-2
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
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Ludovico Roncalli, dottorando in Lettere, è un ventottenne della Genova bene che ha trovato nella ricerca universitaria la conferma più fedele della cialtronaggine nazionale, nella famiglia un perenne esercizio di sadomasochismo, e nei coetanei - carrieristi o emarginati che siano - la testimonianza di un gigantesco fallimento generazionale. Erotomane per disperazione, prossimo al baratro dell'alcolismo, Ludovico vive l'unica autentica complicità nella sorella minore Umberta, alla quale lo lega una reciproca e impossibile attrazione incestuosa. Quando si metterà sulle tracce di un testo andato perduto (la fine di un romanzo utopico scritto da Cyrano de Bergerac), crederà che dalla letteratura possa iniziare il suo riscatto professionale e quindi umano. Peccato che l'estate in cui si svolge la vicenda sia quella del 2001: la follia del G8 genovese sconvolgerà la città e ogni progetto di Ludovico. Esordio di uno scrittore dalla voce già pienamente originale e matura, capace di incastrare comico e tragico in una trama avvincente, La fine dell'altro mondo è insieme la creazione di un personaggio indimenticabile e il feroce de profundis alzato a un'epoca che non è stata all'altezza nemmeno dei suoi più modesti proponimenti.
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2.
Martedì 26 giugno, alle otto e cinquantaquattro in punto, Ludovico scese dal treno con le membra e la mente indolenzite dal viaggio. Si accese una sigaretta sulla banchina gremita di turisti e ammirò l’aria scostante dei rari ma nitidi parigini confusi tra la folla. Scorse il primo clochard acquattato in un cantuccio della stazione, aspirò una serena boccata di fumo ed ebbe subito l’illusione di essere tornato a casa.
Parigi gli era stata a lungo ostile. L’anno della laurea, Ludovico era sbarcato nella capitale delle sue ambizioni con una miserabile borsa Erasmus. Foraggiato dalle finanze paterne, aveva preso temporaneo possesso di un lussuoso monolocale in Rue Monsieur Le Prince (parquet, tavolo con gambe di ferro battuto e piano di vetro, divano letto a due piazze, angolo cucina con forno a microonde) e aveva abbracciato senza timori un’esistenza composta di risvegli precoci, lente giornate in biblioteca, tristi sere di silenzio e alienazione. Durante otto, dimenticati e interminabili mesi, questo ritmo di vita era rimasto pressoché inalterato, rotto soltanto da sporadici ritorni a Genova e brevi ma melodrammatiche visite di Veronica. Finché, con i primi calori di maggio, era giunto il cambiamento tanto atteso: Flore, una dottoranda parigina in filosofia conosciuta alla Bibliothèque Nationale, lo aveva repentinamente circuito, sedotto e violentato. Erano seguite settimane di trionfante passione erotica, puntellate da epici duelli telefonici con Veronica e vani tentativi di convincere Flore a separarsi da un pallido fidanzato d’Oltremanica. Tutto ciò che Ludovico amava di Parigi era l’esito di quel mese di maggio trascorso troppo in fretta, poi trapassato in vividi ricettacoli della memoria. Di lì a poco sarebbe tornato a Genova e avrebbe lasciato Veronica dopo averla fatta abortire. Amante inarrivabile, Flore avrebbe abbandonato il fidanzato e sarebbe andata a vivere a New York, per diventare di Ermeneutica alla Columbia University.
Roland era uno degli amici conosciuti grazie a Flore, il solo superstite dopo tre anni di rimpatriate saltuarie, laconiche mail e telefonate a senso unico. Non appena Ludovico entrò in casa sua, fu investito dal benefico pauperismo degli autentici interni parigini: la moquette grigia, chiazzata di vino e caffè, le locandine decrepite sui muri, il divano sdrucito, i materassi gettati sul pavimento delle camere da letto, squallidi e ammiccanti simulacri di lussuria.
«»
Si abbracciarono e baciarono due volte sulle guance, col pacato entusiasmo che i francesi riservano ai convenevoli. Non si vedevano da più di un mese: la strada che portava alle confidenze era lastricata di buone intenzioni. Ludovico posò i bagagli accanto al divano e andò in bagno a urinare. Al suo ritorno in sala, Roland gli propose di andare a mangiare qualcosa in un bistrot vicino. Ludovico accolse l’invito con sollievo e i due amici uscirono trotterellando contenti.
Roland abitava in Rue de l’Atlas, a Belleville, quartiere di tradizioni popolari trasformatosi, negli anni Ottanta, in un’imperscrutabile Chinatown. Orfano di padre dall’adolescenza, figlio di una donna delle pulizie maniaco-depressiva, Roland era, a trentadue anni, un brillante architetto, capo-progetto nello studio di Jean Nouvel. Aveva tre fratelli: François, il primogenito, professore di pianoforte al Conservatorio di Lione e concertista occasionale; Henri, il terzo, ricercatore in biologia all’Università di Lille; Louis, il cadetto, giornalista di bellissime speranze, collaboratore freelance di e del . Roland e i suoi fratelli – assurti alla condizione di rampolli grazie alla vigilanza di uno Stato secolare, che aveva loro concesso ingenti sussidi agli studi, formazioni professionali agevolate, gratuite cure mediche e psicologiche – rappresentavano per Ludovico l’incarnazione del mito repubblicano e il trionfo del Welfare. Spesso si chiedeva cosa ne sarebbe stato di quei quattro maschi dominanti se, per sfuggire al genocidio armeno, il nonno paterno fosse emigrato a Roma invece che a Parigi: nella meno infelice delle eventualità, avrebbero ereditato un emporio di tappeti; nella più sventurata, sarebbero finiti di fronte all’ingresso del Colosseo travestiti da legionari, per la sadica gioia dei turisti. Se ancora il signor Atom Bedrossian fosse emigrato a Toronto o a New York, i giochi sarebbero rimasti aperti. Ma a Roma no, mai. A Roma: legionari o tappeti. Non per nulla il padre li aveva battezzati con nomi ostentatamente franco-francesi: omaggio benaugurante, efficace benedizione.
I due amici giunsero in Place Sainte-Marthe. Roland entrò nel bistrot affollato di nottambuli e riuscì a occupare un tavolino da due mentre Ludovico, rimasto fuori, chiamava Marta col cellulare.
«Pronto?»
«Ludo!»
«Martina, tutto bene?»
«Sì amore, adesso che ti sento va tutto bene, ma perché non mi hai chiamata prima, sono almeno due ore che aspetto...»
«Sono arrivato da poco, ora sono con Roland, siamo usciti per mangiare qualcosa. Parigi è sempre stupenda, la prossima volta che vengo mi devi accompagnare».
«Ludo mi manchi già, è terribile».
«Anche tu mi manchi. Resto solo una settimana...»
«Davvero ti manco?»
«Certo che mi manchi. Dimmi un po’, com’è andato il pranzo con Umberta?»
«Mah, non so, credo bene. Con lei è difficile capire».
«Ossia?»
«Abbiamo parlato, era meno acida del solito, mi ha spiegato che in questo periodo è un po’ nervosa perché sta pensando di lasciare Gerolamo, dice che gli vuole bene ma che non lo ama. Con me si è quasi scusata. Quasi».
«Ma va’...»
«Cosa vuoi che ti dica, la conosci tua sorella».
«No, non hai capito: mi riferivo al fatto che voglia lasciare Gerolamo».
«Ah, ok».
«Ascolta, adesso devo andare, c’è Roland dentro al ristorante che mi aspetta».
«No, ti prego, ancora un minuto...»
«Non posso, davvero, Roland mi aspetta per ordinare».
«Ok amore, ci sentiamo domani. Ti amo. Pensami».
«Anch’io ti amo. A domani».
Ludovico spense il telefonino e raggiunse Roland dentro il bistrot. L’aria greve di chiacchiere e fumo lo intrise di euforia. Si sedette, ordinarono e ripresero il filo del discorso dal loro incontro precedente. Parlarono di ragazze, lavoro e conoscenze comuni; discussero dei massimi sistemi ridisegnando sulla tovaglia di carta inattesi scenari geopolitici e fantasticando sul G8 prossimo venturo, cui Roland, contrariamente a Ludovico, avrebbe voluto assistere in veste di no global; scambiarono pareri su film che non avevano visto e libri che non avevano letto. Nel mentre, bevvero senza isterismi una bottiglia di bourgogne bianco, mangiarono con l’appetito dei sani e fumarono interminabili sigarette. Al caffè seguì un bicchiere di cognac, accompagnato da una malcerta rivelazione di Roland.
«»
Percosso dal fulmine degli amori irrisolti, Ludovico accese l’ultima sigaretta del pacchetto e si versò il primo bicchiere d’acqua della serata. La prospettiva dell’arrivo imminente di Flore sciolse ogni suo appiglio alla proda degli ultimi anni trascorsi a Genova. Il futuro balenò nella sua mente come una falena impazzita.
«»
«»
Roland intuì il disagio dell’amico e lasciò morire la conversazione. Ludovico fissò il fondo del bicchiere posato sotto i suoi occhi fino a quando non giunse il conto, temuto ma liberatorio. Pagarono e uscirono senza fiatare. Si allontanarono dalla piazza e attraversarono il Boulevard de la Villette. All’inizio di Rue de l’Atlas ripresero a parlare, pronunciando ovvietà su temi di nessuna importanza. Una volta a casa, si rifugiarono ciascuno nella propria camera. Intristito dalla penombra, Ludovico restò sveglio a lungo sdraiato sul materasso, cercando d’inseguire i bagliori lattiginosi del soffitto. Prima di cedere a un sonno lieve e sconsolato, rivide il culo diafano di Flore sporgersi generoso verso i suoi lombi, pronto a inarcarsi per l’adempimento del loro unico rapporto contro natura.
Negli , Cyrano è accusato dalle autorità religiose dei Seleniti di non essere un uomo ma un animale privo di senno. La facoltà di camminare a due zampe è considerata come l’indizio maggiore della sua condizione bestiale, perché solo a creature inferiori, pensano i quadrupedi abitanti della Luna, la natura avrebbe potuto negare il solido supporto di quattro membra ben piantate per terra. La nomea di bruto conquistata da Cyrano crea un osceno scompiglio nelle abitudini sessuali dei Seleniti: le donne si mobilitano per difendere la tesi della sua appartenenza al genere umano, con lo scopo segreto di potersi congiungere a una sorta di maschio selvatico.
A Parigi, Ludovico provava sovente lo stesso disorientamento erotico e ontologico di Cyrano. In quanto maschio e italiano, i francesi si aspettavano da lui idee, comportamenti e reazioni che gli erano del tutto estranei: odiare Berlusconi, rivolgere complimenti alle sconosciute, rimpiangere il clima del Belpaese e la cucina della mamma, ridere alle...