E-Book, Italienisch, 134 Seiten
D'Angelo Troppe puttane! Troppo canottaggio! Da Balzac a Proust, consigli ai giovani scrittori dai maestri della letteratura francese
1. Auflage 2014
ISBN: 978-88-7521-631-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 134 Seiten
ISBN: 978-88-7521-631-3
Verlag: minimum fax
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La letteratura come arte marziale nei consigli di sette grandi scrittori francesi: Balzac, Baudelaire, Flaubert, Gide, Maupassant, Proust e Zola. Suggerimenti, segreti svelati e lezioni esistenziali a beneficio di chi sogni di dare un giorno alle stampe il suo capolavoro. Dopo una vita di mondanità, Marcel Proust si ritirò in una camera insonorizzata per dedicarsi alla Recherche. Balzac trovava invece nel gran frastuono del mondo il contesto ideale per scrivere un romanzo dopo l'altro. Baudelaire faceva della misantropia una virtù, mentre Flaubert poteva ossessionarsi per giorni interi su una virgola da spostare. E tutti loro, con la generosità dei grandi, hanno messo i segreti della loro arte a disposizione di chi volesse farli propri: nelle lettere spedite ad apprendisti scrittori, in piccoli saggi, oppure disseminandoli come indizi nei loro stessi romanzi. Filippo D'Angelo ha raccolto il meglio di questo materiale, ha isolato i passi più utili e significativi, ma anche quelli più sorprendenti e scandalosi, regalandoci un prezioso manuale di scrittura e al tempo stesso il racconto appassionante di come gli autori di romanzi immortali inventarono se stessi.
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CONSIGLI AMARI
A UN ASPIRANTE SCRITTORE
Illusioni perdute
«Mio caro», disse gravemente Étienne Lousteau notando la punta degli stivali che Lucien si era portato da Angoulême e stava finendo di consumare, «vi esorto a lustrare gli stivali con l’inchiostro per risparmiare la cera, a trasformare in stuzzicadenti le vostre penne per fingere di avere cenato quando, uscendo da Flicoteaux, venite a passeggiare nel bel viale di questi giardini, e a cercare un impiego qualsiasi. Se avete fegato fate il commesso di un ufficiale giudiziario, il garzone se avete reni di piombo, o il soldato se vi piace la musica militare. Avete la stoffa di tre poeti, ma prima di sfondare avrete avuto sei volte il tempo di morire di fame, se per vivere contate sui prodotti della vostra poesia. Stando ai vostri discorsi ingenui, è vostra intenzione battere cassa col calamaio. Io non giudico le vostre poesie, di gran lunga superiori a tutte quelle che ingombrano i magazzini degli editori. Ma questi eleganti usignoli, venduti un po’ più cari degli altri grazie alla loro carta velina, finiscono quasi tutti per abbattersi sulle rive della Senna, dove potete andare a studiare i loro canti, se un giorno avrete voglia di fare un pellegrinaggio istruttivo sui lungofiume di Parigi, dalla bancarella del padre Jérôme, sul ponte di Notre-Dame, fino al Pont-Royal. Ci troverete tutte le Prove poetiche, le Ispirazioni, le Elevazioni, gli Inni, i Canti, le Ballate, le Odi, insomma tutte le covate schiuse negli ultimi sette anni; muse ricoperte di polvere, inzaccherate dalle carrozze, violate da tutti i passanti che vogliono vedere l’illustrazione del frontespizio. Voi non conoscete nessuno, non avete entrature in alcun giornale: le vostre rimarranno castamente richiuse come le tenete ora, non sbocceranno mai al sole della pubblicità, nella prateria degli ampi margini disseminata dagli ornamenti di cui è prodigo l’illustre Dauriat, l’editore delle celebrità, il re delle Galeries de Bois.1 Mio povero ragazzo, sono arrivato come voi col cuore pieno di illusioni, spinto dall’amore per l’Arte, mosso da slanci invincibili verso la gloria: ho trovato la realtà del mestiere, le difficoltà dell’editoria e la concretezza della miseria. La mia esaltazione, ormai compressa, la mia primitiva effervescenza mi nascondevano il meccanismo del mondo; mi è toccato scoprirlo, scontrarmi contro tutti gli ingranaggi, urtarne i perni, sporcarmi col grasso degli olii, ascoltare il ticchettio delle catene e dei volani. Come me, imparerete che dietro tutti quei bei sogni si agitano uomini, passioni, necessità. Vi troverete immischiato per forza in lotte orribili, opera contro opera, uomo contro uomo, fazione contro fazione, e dovrete combattere senza sosta per non farvi abbandonare dai vostri. Queste battaglie ignobili disincantano l’animo, depravano il cuore e spossano senza dare nulla in cambio, poiché i vostri sforzi servono spesso a far incoronare un uomo che detestate, un talento secondario presentato, vostro malgrado, come un genio. La vita letteraria ha i suoi retroscena. La platea applaude i successi usurpati o quelli meritati; le quinte nascondono i mezzi sempre schifosi, i figuranti imbellettati, le claque e i servi di scena. Voi siete ancora in platea, in tempo per abdicare prima di aver posato il piede sui gradini di un trono conteso da tante ambizioni. Non disonoratevi come faccio io per vivere». (Una lacrima bagnò gli occhi di Étienne Lousteau.) «Sapete come vivo?», riprese con accento di rabbia. «Il poco denaro che poteva darmi la mia famiglia fu presto dilapidato. Mi ritrovai senza risorse dopo che una mia pièce fu accettata dal Théâtre-Français. Al Théâtre-Français, la protezione di un principe o di un primo Gentiluomo di Camera del Re non basta per ottenere il diritto di precedenza: gli attori cedono solo a chi minaccia il loro amor proprio. Se avete il potere di far dire che il giovane primattore soffre d’asma, che la primattrice ha una fistola dove volete voi e che alla comprimaria puzza l’alito, sarete messo in scena domani. Non so se, fra due anni, io che vi parlo sarò in grado di esercitare un simile potere: ci vogliono troppi amici. Dove, come e con cosa guadagnarmi il pane fu una domanda che mi posi sentendo i morsi della fame. Dopo molti tentativi, dopo aver scritto un romanzo anonimo pagato duecento franchi da Doguereau, che non ci ha guadagnato un granché, mi fu chiaro che solo il giornalismo poteva darmi da mangiare. Ma come entrare in quell’ambiente? Non vi starò a raccontare le mie manovre e sollecitazioni inutili, né i sei mesi passati a lavorare come soprannumerario e a sentirmi dire che provocavo gli abbonati, quando invece li blandivo. Passiamo oltre queste umiliazioni. Oggi mi occupo quasi gratis dei teatri di boulevard per il giornale che appartiene a Finot, quel ragazzone che cena ancora due o tre volte al mese al caffè Voltaire (ma voi lì non ci andate!). Finot è il caporedattore. Io vivo vendendo i biglietti che i direttori di quei teatri mi danno per ricompensare la mia indulgenza al giornale, o i libri che gli editori mi mandano perché ne parli. Poi, una volta che ho soddisfatto Finot, traffico coi tributi in natura che portano le aziende in favore o contro le quali mi è consentito lanciare un pezzo. L’, la , l’, la pagano venti o trenta franchi per un articolo un po’ arguto. Sono costretto ad abbaiare dietro all’editore che dà poche copie al giornale: il giornale ne prende due che smercia Finot, a me ne servono altre due da vendere. Se anche pubblicasse un capolavoro, l’editore avaro di copie viene affossato. È ignobile, ma io vivo di questo mestiere, e come me cento altri! E non crediate che il mondo politico sia migliore di quello letterario: tutto è, in entrambi, corruzione, e ogni individuo corruttore o corrotto. Quando si tratta di un’impresa editoriale un po’ importante, l’editore mi paga per paura di essere attaccato. I miei guadagni dipendono dunque dalle anticipazioni. Se le anticipazioni escono sotto forma di eruzioni miliari, il denaro entra a rivoli nelle mie tasche, allora invito a cena i miei amici. Nessun avvenimento nell’editoria, e mangio da Flicoteaux. Le attrici pagano anche gli elogi, ma le più astute pagano le critiche, il silenzio è ciò che temono maggiormente. Così, una critica fatta per essere confutata altrove è meglio, e viene pagata più cara, di un elogio stringato, già dimenticato l’indomani. La polemica, mio caro, è il piedistallo delle celebrità. Con questo mestiere di spadaccino delle idee e delle reputazioni industriali, letterarie e teatrali, guadagno cinquanta scudi al mese, posso vendere un romanzo per cinquecento franchi e comincio a passare per un uomo temibile. Quando, invece di vivere da Florine a spese di un droghiere che si dà delle arie da milord, abiterò in una casa tutta mia, e sarò passato a un grande giornale in cui avrò una rubrica, quel giorno, mio caro, Florine diventerà una grande attrice; quanto a me, non so allora cosa potrei diventare: ministro, oppure onest’uomo, tutto è ancora possibile». (Risollevò la sua testa umiliata e gettò verso il fogliame uno sguardo di disperazione, accusatore e terribile.) «E ho una bella tragedia che è stata accettata! E fra le mie carte un poema di cui non resterà traccia! Ed ero buono! Avevo il cuore puro: ora ho per amante un’attrice del Panorama-Dramatique, io che sognavo splendidi amori con le donne più distinte del gran mondo! E, per una copia rifiutata al mio giornale, parlo male di un libro che trovo bello!»
Lucien, commosso fino alle lacrime, strinse la mano di Étienne.
«Al di fuori del mondo letterario», disse il giornalista alzandosi e dirigendosi verso il grande viale dell’Observatoire, dove i due poeti passeggiarono come per dare più aria ai loro polmoni, «non c’è una sola persona che conosca l’orribile odissea attraverso la quale si giunge a ciò che, a seconda del talento, possiamo chiamare voga, moda, reputazione, fama, celebrità, favore del pubblico; i diversi gradini che conducono alla gloria, e che non la rimpiazzano mai. Questo fenomeno morale, così brillante, è composto da mille peripezie che variano con tale rapidità da non offrire esempi di due uomini giunti alla gloria per la stessa via. Canalis e Nathan sono due casi distinti, e che non si riprodurranno. D’Arthez,2 che si sfianca a lavorare, diventerà celebre per altre vie. Questa reputazione tanto ambita è quasi sempre una prostituta incoronata. Sì, per le opere di bassa letteratura, essa rappresenta la povera ragazza che gela a un angolo di strada; per la letteratura di secondo piano, è la donna mantenuta che proviene dai luoghi malfamati del giornalismo, e alla quale io servo da protettore; per la letteratura di successo, è la brillante cortigiana insolente, che possiede dei mobili, paga le imposte allo Stato, riceve i grandi signori, tratta con loro e li maltratta, ha dei domestici, la propria carrozza, e può fare attendere i creditori infuriati. Ah! Coloro per i quali essa è, come per me un tempo, per voi oggi, un angelo dalle ali iridescenti, rivestito di una tunica bianca, che mostra una palma verde in una mano, una spada fiammeggiante nell’altra, somigliante, a un tempo stesso, all’astrazione mitologica nascosta in fondo a un pozzo e alla povera ragazza virtuosa esiliata in un sobborgo, e che, arricchendosi solo alla luce della virtù, grazie agli sforzi di un nobile coraggio, risale in cielo con la sua natura immacolata, qualora non muoia infangata, calpestata, stuprata, dimenticata nel carro dei poveri, tali uomini dal cervello cerchiato di bronzo, dal cuore ancor caldo sotto le...