David-Néel | Il potere del nulla | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, 160 Seiten

David-Néel Il potere del nulla


1. Auflage 2012
ISBN: 978-88-6243-272-6
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 160 Seiten

ISBN: 978-88-6243-272-6
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Munpa, discepolo e servitore di un santo eremita, trova il suo Maestro assassinato. Pieno di dolore e di rabbia si mette sulle tracce dell'omicida. I mille sviluppi della sua indagine lo porteranno dal Tibet in Cina, dalla prigione a un monastero, da una zuffa al letto di una locandiera. Un detective improvvisato alle prese con un misto di superstizione e logica, di ingenuità e furbizia. Scritto da Alexandra David-Néel e dal figlio adottivo, il Lama Yongden, il romanzo è ricco di colpi di scena e pervaso di filosofia orientale.

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CAPITOLO II


Mentre Munpa Deson, convinto che il vecchio anacoreta fosse assorto in profonda meditazione e timoroso di disturbarlo, trascorreva la notte in immobile e rispettoso raccoglimento, Lobzang, il discepolo assassino, fuggiva al galoppo nelle tenebre… aveva ucciso il Maestro e il terrore lo pungolava; un terrore fatto di credenze superstiziose più che di rimorsi. I demoni asserviti da Gyelwe Öser e incaricati di fargli da guardiani lo stavano sicuramente inseguendo.

Al contrario di Munpa, che in quanto 23 apparteneva al clero, Lobzang era un laico.

Sono molti i tibetani laici che, spinti da una sorta di devozione bigotta, chiedono a un questo o quel .

Il termine vuol dire ‘precetto, comandamento’ ma nel linguaggio popolare prende un altro significato.

Per la gente semplice del Tibet intende una breve cerimonia che conferisce a un individuo il diritto di compiere legittimamente certi atti religiosi. Allo stesso tempo, i si tengono per generare in chi li riceve una disposizione d’animo che lo renda capace di assimilare i benefici morali o materiali derivanti dalla recitazione di alcune formule o dalla lettura di scritture sacre. Se non si riceve il appropriato, per i devoti queste pratiche restano ine?caci. Il acquista così un vago aspetto di operazione magica, di trasmissione di potere della medesima natura – ma a un livello inferiore – di quella operata negli 24.

Come molti pastori dello Tso Nyienpo, Lobzang aveva ricevuto da Gyelwe Öser il di Chenresi e, siccome era dotato di una certa intelligenza, capitava che l’anacoreta gli insegnasse alcuni principi elementari della dottrina buddista. Per questo motivo il pastore risiedeva di tanto in tanto nei pressi dell’eremo e vi aveva incontrato gli altri discepoli di Öser, tra cui Munpa Deson.

Lobzang li aveva sentiti menzionare occasionalmente la turchese-talismano che il portava addosso. Come tutti i ne conosceva la storia, e come gli altri la considerava assolutamente autentica. Le chiacchiere dei compagni non gli dicevano niente di nuovo, perciò non vi prestava attenzione. Il fatto di trovarsi così vicina, tuttavia, conferiva alla turchese sovrannaturale una dimensione reale che non aveva mai posseduto nei racconti fantastici ascoltati sotto le tende nere dei pastori. Naturalmente capitava che Lobzang pensasse alla pietra, e poiché ogni tibetano ha in sé un’anima da mercante, all’idea del suo grande valore commerciale si accompagnava quella di una eccezionale bellezza. È quasi inevitabile che “l’anima da mercante” comporti anche una certa tendenza all’avidità, e Lobzang non ne era privo.

Certo, questa non era tanto forte da suggerirgli l’idea del furto e tanto meno da indurlo a commettere un crimine per realizzarlo, trovandosi così ad a?rontare le coorti di dèi e demoni che l’opinione generale attribuiva a Gyelwe Öser quali protettori. Ma un semplice avvenimento, del tutto banale nel contesto dei Chang thang, aveva improvvisamente trasformato quel placido villano di Lobzang in una sorta di invasato.

Una ragazza incontrata al calar della sera, mentre rientrava con un gregge di pecore nei recinti prossimi alle tende, aveva fatto divampare in lui un’improvvisa e irresistibile fiamma di lussuria.

Grazie a un amplesso imprevisto, per metà consentito per metà imposto, aveva assaporato il gusto della sua carne e ne era stato pervaso fin nel più profondo delle viscere.

Era tornato nei luoghi frequentati dalla pastorella Pasangma, e quest’ultima aveva rivisto con piacere quell’amante insperato che gli dèi maliziosi avevano guidato fino a lei attraverso gli alti pascoli solitari. Quanto a Lobzang, quegli incontri furtivi non potevano soddisfarlo, e inoltre la prudenza esigeva che vi rinunciasse. Pasangma aveva appena quindici anni, ma era sposata.

Suo marito Kalzang era un cinquantenne, un agiato proprietario di greggi dal carattere stizzoso e piuttosto brutale.

La sua prima moglie, Tseringma, non gli aveva dato figli, e lui, terribilmente contrariato, la riteneva responsabile di questa delusione, senza pensare neanche per un momento che il problema fosse suo.

Le usanze tibetane consentono e addirittura consigliano al marito che si trovi in una situazione del genere di prendere una seconda moglie. Kalzang lo aveva fatto.

Tseringma, gelosa e autoritaria, aveva dovuto rassegnarsi alla condivisione, ma facendo astutamente in modo di indirizzare le ricerche del marito verso una famiglia povera che, dietro modesto compenso25, avrebbe consegnato senza obiezioni una ragazzina timida a un vecchio danaroso. In questa maniera contava di poter dominare la seconda moglie e farne una serva ai suoi ordini.

Il piano era stato eseguito, e il matrimonio celebrato con quel minimo di festeggiamenti consentiti dall’umile condizione della sposa. Appena entrata nella tenda coniugale, Pasangma si era vista appioppare i lavori domestici più pesanti, prima svolti da Tseringma.

Kalzang non interveniva. Gli importava ben poco. La ragazzina non gli ispirava la minima tenerezza: era lì semplicemente per dargli un figlio. L’abilità di cui Tseringma dava prova nell’amministrare gli a?ari la rendeva ben altrimenti preziosa ai suoi occhi.

Tseringma riusciva a spuntare un prezzo vantaggioso per la lana della tosa stagionale. Dopo un’accanita contrattazione sapeva ottenere, perfino meglio di lui, la somma più alta per l’a?tto delle bestie che servivano a trasportare le merci.

Cosa poteva valere, di fronte a quella donna capace, una ragazzina debole e impaurita che sapeva soltanto chinare il capo e piangere? Così Kalzang abbandonava completamente Pasangma ai capricci della prima moglie.

Tra il vecchio marito che le ripugnava e Tseringma che la picchiava al minimo errore, la povera Pasangma si disperava senza azzardarsi a manifestare la propria tristezza, perché un’espressione imbronciata non mancava mai di attirarle rimproveri o botte.

Una volta, però, aveva perso il controllo e dichiarato che sarebbe tornata dai suoi parenti.

Tseringma l’aveva picchiata ferocemente, mentre Kalzang sghignazzava.

La collera della piccola era presto sfumata nella consapevolezza di quanto fosse vana la sua minaccia. Il padre era morto, la madre viveva con i tre figli sposati. Nessuno di loro si sarebbe sognato di accogliere la sposa fuggiasca o di rimborsare a suo marito il prezzo pagato per averla. Erano troppo poveri.

Tutto quello che poteva aspettarsi dalla fuga erano minacce e botte, ancora botte… ne aveva prese tante… E allora?… Che fare? Continuava a chiederselo, nonostante avesse ormai perso ogni speranza.

Proprio allora era apparso Lobzang.

Dopo il loro secondo incontro, il pastore aveva progettato di rapire la sua giovane amante. Al terzo incontro le aveva proposto di partire con lui, e lei aveva accettato con entusiasmo.

Lobzang non era meno entusiasta, ma conosceva la realtà della vita meglio della sua compagna.

Andarsene dove?… Ovunque c’è bisogno di denaro, per mangiare…

Il denaro era l’unico ostacolo. Il resto sembrava facile.

Lobzang aveva amici in una tribù i cui membri erano in cattivi rapporti con i della tribù di Kalzang. Dopo un’incursione delle greggi di questi ultimi nei pascoli altrui, gli uomini si erano azzu?ati e c’erano stati dei feriti. Se avesse condotto Pasangma in quella direzione non lo avrebbero certo inseguito, comunque non prima che riuscisse ad allontanarsi ancora, a uscire dai Chang thang, a raggiungere i confini della Cina o del Tibet26.

Ma il denaro?… dove trovarlo?

Lobzang viveva con la sua famiglia, possedeva solo un cavallo con la sella, la spada in un fodero grazioso ma di poco valore, due coperte e, oltre alla sua in pelle di pecora, un altro vestito di e un gilet di panno rosso. A parte il cavallo, che gli era indispensabile per viaggiare, col resto non avrebbe messo insieme una somma su?ciente per sopravvivere a lungo, in attesa… in attesa di cosa?… di essere assunto come servo da un mercante in viaggio con una carovana di bestie da soma… Poteva presentarsi un’occasione. Ma quando?… Aveva assoluto bisogno di denaro; tutt’al più, con qualche pretesto, avrebbe potuto riempire le grandi sacche appese alla sella con viveri su?cienti per poche settimane.

Aveva detto comunque a Pasangma di aspettare il suo arrivo. Era pronto, e una sera sarebbe tornato a prenderla… non sapeva se presto o tardi, ma sarebbe tornato di sicuro.

E Pasangma lo aspettava ogni sera al tornante della valle, dove passavano le pecore.

La solitudine degli alti pascoli settentrionali dà facilmente alla testa ed è pericolosa per un uomo con i sensi accesi dalla passione. Il vento so?ava intorno a Lobzang, assorto nelle sue preoccupazioni, mormorando singolari consigli; alle orecchie dell’uomo risuonavano parole pronunciate da voci insidiose, ostinate e carezzevoli.

“Non ti preoccupare,” dicevano “c’è rimedio al tuo dolore, un rimedio che ti è molto vicino.”

“Quel gioiello di Gyelwe Öser… a cosa gli serve?”

“La turchese ha lasciato il palazzo dei da così tanto tempo e da così tanto tempo i la usano per compiere prodigi, che la sua virtù magica potrebbe essersi esaurita; ma rimane pur sempre una pietra di valore inestimabile.”

“In Cina esistono potenti governatori che hanno accumulato grandi ricchezze: cosa non pagherebbero per impadronirsi...



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