E-Book, Italienisch, 475 Seiten
Reihe: Narrativa
Hansen Arabia Felix
1. Auflage 2017
ISBN: 978-88-7091-242-5
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 475 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 978-88-7091-242-5
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Il 4 gennaio 1761 una nave lascia il porto di Copenhagen diretta a Costantinopoli: a bordo vi sono i membri della prima grande spedizione scientifica danese. La meta è lo Yemen, la terra che, fin dall'antichità, porta uno di quei nomi 'che usiamo dare ai luoghi che conosce solo la nostra nostalgia'. 'Perché l'Arabia Felice è chiamata felice?', scrive nel diario il giorno della partenza Peter Forskkål, uno dei protagonisti della spedizione. Ed è questa la domanda sottintesa a tutto il libro: esiste il paese della felicità? Ricostruendo sulla base di innumerevoli documenti la storia del 'viaggio arabo' voluto da Federico V, e seguendolo tappa per tappa, attraverso Costantinopoli, Alessandria, Il Cairo, il Sinai, il Mar Rosso fino allo Yemen e la lunga odissea del rientro in patria, Thorkild Hansen racconta in realtà la storia di ogni esperienza umana: quel viaggio di andata e ritorno di cui parlano i miti, le fiabe, le epopee. Gli scienziati partono, per scoprire e conoscere, ma in realtà proiettano in un luogo lontano la realizzazione dei propri sogni - di sapere, di gloria, di ricchezza - troveranno sofferenze, fatiche, gioie, conquiste, fallimenti, e la morte. Solo uno farà ritorno: Carsten Niebuhr, partito come 'il figlio inetto' delle fiabe, convinto di non essere all'altezza del suo compito, ma aperto alle esperienze, capace perfino di rinunciare alla propria identità per fare sua la lezione del deserto: 'non avere niente, non essere niente'. La felicità non è in nessun luogo: il nome di Arabia Felix è nato da un equivoco. O forse la felicità è in ogni luogo: il confine del suo paese è quel cerchio perfetto che l'orizzonte traccia intorno a noi e di cui, ovunque ci troviamo, sempre siamo il centro.
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I. Nonostante questi tempi calamitosi
1
Una mattina d’inverno senza vento, il 4 gennaio 1761, un gruppo di cinque persone in abito da viaggio lascia in barca a remi la Dogana per la rada del porto di Copenaghen. In piedi sulla barca, le spalle rivolte al sole, possono vedere la città che si stende sulla costa: la piccola, cosmopolita capitale del regno, con l’elegante quartiere intorno ad Amalienborg, il nuovissimo palazzo reale progettato da Eigtved, si allontana lentamente nella luce come consunta di gennaio. Davanti a loro, nel riflesso del sole, aspetta all’ancora la nave da guerra Grønland. Socchiudendo gli occhi, possono vederne in controluce gli alberi e il sartiame e forse qualcuno tra loro proverà una stretta al cuore alla vista di quella sagoma scura. Nei prossimi mesi quella nave li porterà lontano, lungo la rotta che, dal nord di Skagen, scende giù attraverso il Mediterraneo fino a raggiungere Costantinopoli. Da lì dovranno proseguire con i loro mezzi per Alessandria, Il Cairo e Suez; poi ancora più giù, attraverso il Mar Rosso, fino alla punta estrema della penisola arabica, nel paese meraviglioso dell’incenso, del balsamo e della mirra, quel paradiso terrestre che il giovane Alessandro sognò di conquistare, ma dove nessuno è mai stato, neppure il giovane Alessandro e che, forse proprio perché nessuno vi è stato, porta fin dall’antichità il nome di Arabia Felix, l’Arabia Felice.
I cinque uomini della barca utilizzano anche, nelle loro carte, le designazioni di Arabie Heureuse e Das Glückliche Arabien. Due soli fra i membri del gruppo sono danesi; degli altri, due sono tedeschi e uno svedese. Sono tutti ancora giovani: il più vecchio ha appena trentaquattro anni, il più giovane ventotto. Per degli anni dovranno adattarsi alla sola reciproca compagnia, ma per il momento nessuno conosce gli altri da più di qualche settimana. Possiamo perciò anche immaginare che regni un certo silenzio tra loro mentre, lì in piedi sulla barca, guardano verso la nave. Sono in partenza per l’Arabia Felice, ma non sembra che l’idea li riempia di felicità. Appare così allettante quel che è lontano e sconosciuto, ma il giorno in cui si cede alla sua lusinga si arriva generalmente a vederne anche l’aspetto minaccioso. Ma questa non è che una giustificazione parziale di quel malessere, e frutto delle nostre supposizioni. L’altra, e certo ben più grave causa del silenzio che pesa sulla compagnia in questi primi minuti di viaggio, non abbiamo bisogno di supporla. È purtroppo un dato di fatto: per vari motivi il piccolo gruppo è già a questo punto diviso da aspri contrasti interni.
Naturalmente non è il genere di notizie che si lascino trapelare alla stampa. Infatti il resoconto che ne darà una settimana più tardi, il 12 gennaio 1761, la prima pagina della Danske Posttidende di Copenaghen, sarà in questi termini:
«Sua Maestà, nonostante le gravi preoccupazioni di governo in questi tempi così calamitosi, non cessa mai di rivolgere le Sue cure al progresso e alla diffusione della conoscenza e delle scienze e all’accrescimento dell’onore del suo popolo attraverso imprese utili e lodevoli. A tale scopo Sua Maestà ha voluto inviare a bordo della nave Grønland, salpata alcuni giorni or sono per il Mediterraneo, una compagnia di studiosi a Costantinopoli, da dove essi proseguiranno attraverso l’Egitto per raggiungere l’Arabia Felice, e fare poi ritorno in Europa passando per la Siria. L’intento è che procedano, in ognuno di questi luoghi, a nuove osservazioni e scoperte per il progresso del sapere; e parimenti dovranno raccogliere, e qui far pervenire, manoscritti orientali di evidente utilità, nonché collezioni di reperti naturali e altre rarità del Levante.
Suddetta compagnia è composta dalle seguenti cinque persone: 1) Il Professor Frederik Christian von Haven in qualità di filologo. 2) Il Professor Peter Forsskål in qualità di fisico e botanico. 3) L’Ingegnere-Luogotenente Carsten Niebuhr in qualità di matematico e astronomo. 4) Il Dottor Christian Carl Kramer in qualità di medico e fisico. 5) Il Signor Georg Wilhelm Baurenfeind in qualità di pittore e incisore. Il loro soggiorno nei paesi orientali si protrarrà per alcuni anni e poiché a tale compito si sono tutti accuratamente preparati da molto tempo, non possiamo che attenderci, dal loro impegno e dalle loro capacità, con l’aiuto e la grazia di Dio, un felice esito della spedizione, sia per quanto riguarda il progresso delle scienze in generale, sia per una migliore interpretazione delle Sacre Scritture in particolare.»
Tali erano le speranze che accompagnavano la partenza della spedizione danese per l’Arabia, dove avrebbe trovato un destino tanto funesto. Era la prima spedizione importante che organizzava la Danimarca e la prima in assoluto al mondo che avesse per meta l’Arabia. Per questo già presso i contemporanei il progetto danese destava tanto interesse. L’intera Europa del secolo dei Lumi, avida di sapere, non poteva che entusiasmarsi all’idea di quell’avventuroso viaggio, e studiosi delle più importanti università del continente avevano inviato numerose domande ai membri della spedizione, nella speranza che potessero trovare le risposte esplorando quelle terre sconosciute. Fino alla fine del secolo «il Viaggio Arabo», come venne allora chiamato, rimase circonfuso di un’aura di prestigio per le innumerevoli scoperte che, nonostante tutti gli incidenti, consentì di fare; e ancora cent’anni dopo, degli esploratori inglesi citano «la Spedizione di Carsten Niebuhr», come ora è chiamata, con la massima stima. Solo le esplorazioni dei decenni successivi, specie nelle regioni artiche, sembrano aver messo in ombra Niebuhr e i suoi uomini, finché ai giorni nostri, due secoli dopo la loro spedizione, sono ormai quasi completamente dimenticati.
Il Grønland salpò da Copenaghen nel gennaio del 1761, ma il vero inizio della grande impresa può in realtà farsi risalire al maggio del 1756, quando il fantasioso orientalista e teologo Johann David Michaelis di Gottinga rivolse un’insolita supplica al ministro J.H.E. Bernstorff di Copenaghen. Il rinomato professore aveva ancora una volta avuto un’idea originale.
Proponeva infatti al ministro degli Esteri danese che, a Copenaghen, si desse ad alcuni di quei missionari che ogni anno venivano mandati a Trankebar, una formazione che li mettesse in grado di compiere viaggi di studio nel Sud dell’Arabia. Gottinga era la città universitaria di Hannover e poiché Hannover era a quel tempo unita direttamente all’Inghilterra da legami di parentela, l’empirismo inglese vi era penetrato più facilmente che in altre parti del continente. Il professor Michaelis, deista ed empirista, aveva completamente abbandonato la vecchia concezione che vedeva nella Bibbia un libro in cui ogni parola era ispirata da Dio e pertanto inoppugnabile. Considerava le Sacre Scritture come testi normali che potevano essere fatti oggetto di una critica storica e filologica indipendente. Nel corso dei suoi studi, gli era venuta l’idea che un viaggio in Arabia potesse servire a gettar luce su moltissimi dei problemi che sorgevano a un’analisi puramente linguistica delle Sacre Scritture. Un viaggio del genere poteva per esempio permettere di cercare, esaminare e identificare le piante e gli animali esistenti in Arabia che venivano nominati nella Bibbia. Si poteva studiare la geografia dell’Arabia e, in particolare, la fondamentale questione del moto delle maree nel Mar Rosso, senza dubbio essenziale per la comprensione della fuga degli Ebrei dall’Egitto. Infine Michaelis proponeva che i viaggiatori si documentassero sui costumi degli arabi e sulla loro architettura, essendo sua convinzione che in pochi altri luoghi della terra potesse esservi un popolo altrettanto conservatore di quello arabo e che perciò in Arabia ci fossero più probabilità di trovare forme culturali corrispondenti a quelle dell’antico Israele che non nella stessa Palestina dove, nel corso dei secoli, si erano succedute svariate influenze straniere.
Per assicurare ai missionari che da Trankebar dovevano andare in Arabia una solida preparazione preliminare, Michaelis proponeva, nella sua lettera a Bernstorff, che il governo danese assegnasse a due studenti dell’università di Gottinga una borsa di studio triennale per potersi perfezionare; dopo di che sarebbe stato loro compito trasferirsi a Copenaghen per istruire i missionari in questione. I due studenti che Michaelis si permetteva di raccomandare per l’incarico erano un norvegese di nome Ström e un danese di nome Von Haven, che si erano entrambi distinti ai suoi corsi di filologia. La proposta del professore risvegliò un’immediata eco nel filohannoveriano Bernstorff, che nutriva per l’arte e per la scienza un interesse difficilmente immaginabile ai giorni nostri, da quando abbiamo migliorato la costituzione e l’assolutismo illuminato ha lasciato il posto a una non illuminata democrazia. Il governo danese richiese semplicemente un programma più dettagliato del viaggio e Michaelis semplificò il progetto originario, proponendo che fosse lo stesso studente appositamente preparato che, invece di insegnare ai missionari di Copenaghen, andasse di persona in Arabia. Pur riconoscendo che si trattava di una soluzione più costosa, Michaelis riteneva tuttavia che offrisse più garanzie dal punto di vista scientifico. E come candidato propose il già nominato Ström.
Fin dall’inizio di ottobre Bernstorff...




