Hansen | Il capitano Jens Munk | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 583 Seiten

Reihe: Narrativa

Hansen Il capitano Jens Munk


1. Auflage 2023
ISBN: 978-88-7091-823-6
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 583 Seiten

Reihe: Narrativa

ISBN: 978-88-7091-823-6
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



L'avventura resta una delle categorie irrinunciabili del romanzo, quella che meglio appaga la nostalgia di grandi spazi, la sete di libertà, il sogno di un'esistenza piena. E forse ci emoziona ancora di più quando il protagonista non è un personaggio inventato, ma un uomo realmente esistito, uno di quei grandi navigatori vissuti alle soglie della modernità, uno di quegli irrequieti esploratori che hanno contribuito a ridisegnare le mappe del mondo. Jens Munk è di questa razza. Danese, contemporaneo di Shakespeare e Cervantes, è arrivato a solcare tutti i mari: mozzo, mercante, cacciatore di balene, capitano della Marina Reale; ha vinto battaglie, catturato pirati, guidato spedizioni alla ricerca del passaggio a nord-est e poi di quello a nord-ovest per raggiungere la Cina attraverso l'Artico. Grande conoscitore dell'arte della navigazione, è ben armato contro la crudeltà del mare ma lo è meno contro quella umana che regna in terra. Riesce a sfuggire al labirinto di ghiacci della Baia di Hudson, ma non all'invidia e all'umiliazione, al sopruso e all'ingiustizia, alla vendetta e alla prigione. Con romanzi-biografie basati su documenti e fatti reali, Hansen dà alle vite di grandi sconfitti che la Storia ha relegato a qualche nota a piè di pagina uno spessore epico che le rende emblematiche del destino umano. Jens Munk non è un anarchico ribelle, non è un pirata, non è un Achab perso nella sua sfida infernale, è un uomo che lotta per veder riconosciuto il suo posto nella società, un sognatore che sa che il sogno è come il mare, copre i tre quarti del mondo ed è composto di una soluzione simile alle lacrime umane.

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II. Tre galli rossi in campo azzurro


1


Chi era Jens Munk? Il cronista si sofferma un istante presso le donne dei pescatori di Fredrikstad: lo sapevano bene, loro, statene pur certi, informazioni così interessanti trapelano immancabilmente. Jens Munk era un bastardo; quel ragazzino scalzo che scorrazzava tutto il giorno sulla banchina non era altro che un piccolo bastardo. Le donne si scambiavano strizzatine d’occhio d’eccitazione, ma non conoscevano ancora tutta la verità. Presto sarebbe saltato fuori che dietro alla storia del ragazzo si nascondevano fatti di gran lunga più gravi di quelli che anche la più ottimista di loro avrebbe mai osato sperare.

Jens Munk venne al mondo il 3 giugno del 1579. L’anno non è dei più degni di nota. Shakespeare e Galilei erano già quindicenni. Fu tre anni dopo che Tycho Brahe si stabilì a Hven per fare la sua prima osservazione astronomica, una congiunzione della Luna con Marte. Fu solo due anni dopo che un venerdì pomeriggio alle quattro, nel castello di Frederiksborg, la regina Sofia diede alla luce un bambino, nato sotto il segno dell’Acquario, cui venne dato il nome di Cristiano. E fu infine solo un anno dopo che l’amante di Maria Stuarda, il conte di Bothwell, morì pazzo nella prigione di stato del re danese, la famigerata Dragsholm, che qualche anno più tardi avrebbe dato nuovo impulso alle chiacchiere delle donne sulla banchina di Fredrikstad.

Jens Munk nacque nell’ambiente distinto della proprietà di Barbo, vicino ad Arendal, nel feudo di Nedenæs nel Sud della Norvegia. Entrambi i suoi genitori erano danesi. Il padre, Erik Munk di Hiørne, era di origine nobile, ma senza legami di parentela con quelle famiglie Munk che, come i Vinranker, i Tre Roser, i Bjælker e i Bjørnelabber, giocavano un ruolo di rilievo nella società del tempo. Le sue origini si possono far risalire all’inizio del 1500, epoca in cui visse un certo Jens Munk di Skovløse, feudatario, del quale non sappiamo quasi nulla se non che «il venerdì successivo al giorno di san Marco dell’anno 1525» si schierò, insieme ai contadini di Scania rimasti fedeli al re, con Cristiano II nella battaglia di Bunktofte. Piccola informazione, ma non priva di interesse, perché permette di vedere in quest’uomo, che si trovò dunque dalla parte «sbagliata» della guerra civile, l’origine di quel lungo conflitto con la restante nobiltà danese, le cui conseguenze sarebbero state tanto sanguinose per i suoi discendenti e soprattutto per quel Jens Munk che ereditò il suo nome.

Se lo status del padre era problematico, quello della madre non era di certo migliore. Si chiamava Anna Bartholomæidatter, una bellezza bruna, probabilmente con sangue ebreo nelle vene, figlia di un modesto chirurgo di Helsingør. Il peggio era che Erik e Anna non erano sposati legalmente e tuttavia ebbero due figli, Jens e suo fratello maggiore Niels, fatto grave per la Danimarca della Riforma, in cui ogni violazione alla santità del matrimonio veniva considerata opera del diavolo. Ancora all’inizio del secolo si puniva questo genere di reato secondo l’antico codice di Ribe: una donna che era stata a letto con un estraneo «doveva prendere il suo amante per lo stesso membro con il quale egli aveva commesso il peccato con lei e condurlo, di strada in strada, per tutta la città». Dopo la Riforma, tuttavia, il codice penale perse il suo senso dell’umorismo. Per la violazione del matrimonio fu instaurata la pena di morte. In ogni città, due volte all’anno, delle spose oneste dovevano recarsi presso le ragazze nubili e premerne il seno per scoprire se alcune di loro avessero partorito in clandestinità: un garzone che fosse andato a letto con una serva incorreva nella forca, mentre la donna veniva frustata pubblicamente. Se il seduttore era nobile, gli venivano tagliate due dita, mentre la vergine sedotta doveva «essere rinchiusa a vita». La faccenda si fece dunque seria quando, in una lettera reale del 1580, un anno dopo la nascita di Jens Munk, giunse un avvertimento a tutti coloro che «intrattenevano una relazione disonesta con donne leggere, tenendole nelle loro case e vivendo con loro come se fossero le loro mogli, scatenando così l’ira divina, offendendo la legittimità del matrimonio e dando il cattivo esempio ai fratelli cristiani».

Eppure questo è esattamente ciò che Erik Munk faceva nella sua proprietà di Barbo. Non era all’oscuro di quel che rischiava, se aveva evitato di sposare la bruna Anna doveva quindi avere le sue buone ragioni. L’usanza voleva che un nobile si sposasse all’interno della nobiltà, se desiderava lasciare titolo e proprietà in eredità ai suoi discendenti, in caso contrario entrambi potevano venirgli confiscati dopo la morte. In questo Erik Munk aveva una dolorosa esperienza personale cui fare appello, ed è da qui che comincia il suo dramma. Anche suo padre, Niels Munk, che possedeva la proprietà di Hiørne nello Halland, aveva vissuto con una donna plebea. Ma il vecchio se n’era fatto un baffo delle convenzioni e aveva portato la ragazza all’altare. I suoi pari di nobiltà, che ricordavano ancora la posizione della famiglia Munk durante la guerra civile, non esitarono ad approfittare di questo pretesto per prendersi la loro rivincita. Le sue lettere di nobiltà gli furono ritirate e il figlio Erik dovette incominciare la sua carriera vitale senza titoli, un grave handicap per chi desiderasse diventare qualcuno in questo vasto mondo.

Erik Munk apparteneva a quella categoria. Erik Munk voleva diventare qualcuno. Erik Munk voleva, prima di tutto, riottenere il suo titolo di nobiltà che, per motivi così risibili, gli era stato tolto. Il cronista racconta che andava volentieri in giro vestito di una pelliccia di ghiottone e ricorda le parole evocatrici dell’arcivescovo di allora, Olaus Magnus: «La carne del ghiottone è immangiabile, ma la pelliccia è magnifica e di gran valore. Solo i principi e i grandi uomini la indossano. Devo però anche far presente che chiunque indossi la pelliccia di questo animale non può più smettere di mangiare e di bere.»

Anche Erik Munk era insaziabile. Neppure lui poteva più smettere di mangiare e di bere. Ma si sentiva umiliato, e la sua fame era fame di terre, e la sua sete, sete di sangue.

2

La sua storia conferma fin troppo le amare parole del cronista. Da giovane girovagò per i paesi della Borgogna e partecipò alla guerra tra la Francia e Filippo II. Nel 1562 lo ritroviamo nelle lande più estreme della Norvegia in qualità di ispettore del castello di Vardøhus, il bastione più settentrionale della Norvegia che, al di là del Fiordo di Varanger, doveva difendere la frontiera con la Russia. L’anno successivo scoppiò la guerra nordica dei Sette anni. Gli svedesi penetrarono nello Jämtland, il 18 marzo del 1564 Trondheim cadde e quattordici giorni dopo la fortezza di Stenvigsholm dovette essere abbandonata per defezione e mancanza di viveri. A Bergen, però, Erik Munk aveva diretto la costruzione di alcune galere e il 19 aprile si imbarcò sulla a al comando di una squadra di tre navi. I canonici di Bergen gli fecero dono di tre botti di birra accompagnate dal loro augurio di vittoria e fortuna.

L’augurio portò i suoi frutti. Una settimana dopo un vento favorevole spinse la squadra verso Trondheim, lungo la rotta abbordarono tre sloop nemici e uccisero tutto l’equipaggio, facendo pochi prigionieri. Il 23 maggio spalleggiarono, dal mare, l’attacco a Stenvigsholm, che cadde la sera stessa. I danesi potevano riprendersi Trondheim, la Valle di Rom e la Norvegia.

Sembra che Erik Munk abbia portato personalmente la notizia della vittoria a Copenaghen, in ogni caso gli annali testimoniano la sua presenza nella città in quell’anno, poiché vi si legge che «un certo Erik Munk, durante una visita in Danimarca, uccise con il pugnale un uomo in una locanda». Poco dopo ricevette da Federico II l’investitura del grande possedimento monastico di Nonnesæter nei pressi di Oslo.

Ma la guerra continuava. Nel 1567 Erik Munk si mise a capo di una spedizione di archibugieri, che doveva soccorrere Akershus assediata dagli svedesi. Quando i suoi uomini si ammutinarono e si rifiutarono di ubbidire ai suoi ordini, prese cinque dei loro capi e li condannò alla forca. Poi si scatenò contro gli svedesi. Absolon Pedersen descrive il modo in cui «con quel piccolo cannone cacciò gli svedesi dalle fortificazioni, come si usa cacciare le volpi dalle tane», mentre Edward Edwardsen lo dipinge quando, alla testa delle sue galee, «si appostò dietro agli accampamenti svedesi, a meno di un tiro d’arco da loro, dove questi non erano protetti dalle fortificazioni, e li uccise tutti, da solo massacrò duemila uomini, tanto che il sangue scorreva dalle fortificazioni fino al mare».

Ancora una volta portò personalmente a Copenaghen la notizia della vittoria, ancora una volta la sua presenza è segnata negli annali dove si dice che un certo Erik Munk, nell’anno 1570, uccise il nobile Gregers Gram. Lo stesso anno il re gli diede l’investitura di Onsø Skibsred vicino alla futura Fredrikstad e del redditizio feudo di Nedenæs vicino ad Arendal. Così Erik Munk tornò in Norvegia, portò con sé da...



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