E-Book, Italienisch, 537 Seiten
Jorio Radiazione
1. Auflage 2011
ISBN: 978-88-7521-350-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 537 Seiten
ISBN: 978-88-7521-350-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
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Estate 2004. A Roma, tra le innumerevoli stanze di un Ministero, il Servizio Opere d'Arte prepara pigramente l'inaugurazione di una grande collezione d'arte contemporanea. Ma come mai di alcuni dipinti, pur formalmente archiviati, sembra non esserci più traccia in magazzino? E cosa c'entra tutto questo con il più famoso quadro di Munch rubato dal museo di Oslo? E con la guerra in Iraq, ennesima corsa all'oro (nero) in cui l'Italia si è lanciata con la scusa della missione umanitaria? Sarà un trentenne appena assunto al Ministero - un pesce fuor d'acqua, un anarchico, o forse solo una persona normale in un mondo rovesciato - ad addentrarsi nella cortina fumogena di tutti questi misteri. Tormentato dal ricordo del suo amore perduto (la bellissima Wibke) e aiutato da Carl (un giovane teologo tedesco di stanza in Vaticano, di giorno alla corte del cardinale Ratzinger, di notte in giro per Roma a consumare amori omosessuali), attraverserà un labirinto fatto di persone logorate dalla corruzione, fino a trovarsi faccia a faccia con la più sconvolgente delle verità. Capace di coniugare una trama trascinante con una scrittura calda, robusta e raffinata, 'Radiazione' è molte cose insieme: thriller internazionale all'ombra del Vaticano e del Quirinale, romanzo d'amore e d'amicizia, specchio e metafora di un Paese in via di disfacimento.
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1.
«Tutto materiale già rivisto. Ma ci possiamo fidare?»
Seduta di fronte a me, Patti fa piccoli giochi di equilibrismo con la bozza del dépliant della collezione: quello vecchio, quello che doveva andare in stampa per l’inaugurazione in programma a fine aprile e poi rimandata per la quarta volta. Lo fa ruotare cautamente nella forbice delle dita bilanciandolo tra indice e medio, medio e anulare, anulare e mignolo: come per inventare una simulata convergenza di energie in cui l’esilità di una mano e la compattezza della carta immergano la quotidiana angoscia ministeriale in un àpeiron mattutino, dimesso, in cui tutto divenga rado o indistinto o infinitamente probabile. Complice il caldo ancora cattivissimo in questo primo giorno di settembre, e il condizionatore rotto. La radio ventila nell’aria morta del sottoscala «No need to argue» dei Cranberries, che ascoltavo con accanimento all’inizio dell’estate e canticchiavo un paio d’ore fa mentre facevo pipì.
Infilo in tasca la mappa del percorso di visita:
«Fidarsi no, anche perché sono arrivati diversi nuovi dipinti, avete detto. Per cui sarebbe utile rivedere i tempi e le modalità della visita guidata. Però facciamolo dopo, visto che le urgenze vere sono altre. Per esempio la lista degli invitati. O i fotocolor da consegnare all’editore, per il catalogo».
«Io non lo so», mormora sconsolata, «hanno detto che l’inaugurazione non si fa più, e allora? A che serve che prepariamo... l’hanno detto o no? L’hanno voluta rimandare!»
«I capricci dell’Ispettore Generale, lo sai...», dico senza convinzione. «O magari, se l’Ispettore ci ha chiesto di preparare tutto, qualcosa nell’aria c’è davvero».
Patti esala un sospiro che non è di affanno e non è di sollievo. Spossato, provvisorio. Riconsegna il dépliant alla sua sterilità di supporto colorato per un’ordinaria giornata di terrore. La mano sul mouse, clicca casualmente spostando lo sguardo sullo schermo. Mi indirizza un sorriso nel quale il cameratismo della ministeriale umiliata si alchimizza al perverso di una dodicenne che gioca con il bambolotto:
«D’accordo. Pensiamo prima agli inviti, ma troviamo anche il tempo di verificare le biografie degli artisti. Non si possono usare le stesse, l’ultimo catalogo è di tre anni fa. Sono tutte qui, guarda».
Il viso di Patti è quasi una pena vederlo, e non perché sia brutta; si indovina anzi che venti, trenta anni fa sia stata una donna ammirata. Non è mai la bruttezza a rendere penoso l’aspetto di una persona. Si può essere brutti senza suscitare questo suo senso di intima doglia e di frana. La fronte larga, il viso magro.
«Guarda quella baldracca della... Marta Marzotto, come si chiama», ride stancamente. «Ha organizzato una festa con tutti i vu cumprà di Roma. Guarda? Sul sito del Corriere».
Maurizio entra nel sottoscala e si ferma all’inizio del corridoio, dove si apre il loculo di Patti. Ci mostra l’invito all’inaugurazione di una rassegna di cinema:
«L’ho organizzata io. Ci sarà anche Sergio Rubini...», butta là. «L’ho chiamato, gliel’ho detto: non fare lo stronzo, fammi questo piacere».
Patti legge rapidamente l’invito e ricomincia le acrobazie. Ma stavolta, in equilibrio precario sulla punta delle dita, c’è tutto: il cartoncino di Maurizio, un anonimato vissuto come una sentenza di bancarotta, gli espedienti quotidiani di chi si è scelto un personaggio senza possederne la maschera.
«Anche se forse», continua Maurizio, «Rubini non è il più indicato per questo tipo di... ma eravamo a cena l’altra sera, gli ho detto questa cosa, si è fatto pregare ma in realtà ci teneva. Però per la prossima volta mi piacerebbe sentire Zeffirelli. Fa più scena, più... anzi, lo chiamo subito. È meglio».
Sul viso di Patti si disegna l’aria navigata di chi conosce e condivide le regole del gioco: le labbra serrate, un lieve crollare delle spalle. Scuote appena la testa:
«Certo che è meglio. Bisogna giocare d’anticipo, si sa. Certe persone le conosciamo bene. Come quando il ministro Arcedi voleva invitare Ornella Muti...»
«Chi è il ministro Arcedi?», si informa Maurizio.
Appena entrato ho fatto fatica a orientarmi nel delirio onomastico del ministero. Ogni avanzamento in carriera ha il suo grado. Ogni grado la sua funzione. Ogni funzione il suo cupo portato di invidie e gelosie. Dare del consigliere a un ministro plenipotenziario equivale a pisciargli in testa.
«È il console italiano a Melbourne. Partita poco prima che arrivassi tu. Era un capoufficio della nostra direzione generale, su al quarto piano».
«Da conoscere, insomma...», mormora Maurizio tra sé e sé.
«Ma è una mia carissima amica, te la presento quando capita a Roma!»
«Ci arrivo da solo, è meglio. Me la faccio presentare direttamente dall’ambasciatore Flavi».
Patti ingoia in silenzio il topastro appoggiatole sulla lingua.
«Sai», sorride Maurizio con complicità, «è gente che si formalizza anche su chi viene presentato da chi...»
«Ma certo, si capisce».
È andata giù anche la coda. Cosa non possono fare venticinque anni di ministero. China sul monitor, Patti consulta con rinnovata attenzione le vicende di Marta Marzotto e dei vu cumprà: ma si distrae quasi subito, cerca qualcosa con lo sguardo. Spegne la radio e infila nel computer un cd di canzoni napoletane.
Ohi vita, ohi vita mia
ohi core, e chistu core
si state ’o prim’ammore...
Maurizio scompare nel loculo accanto. Tornata all’efficienza dopo il fuggevole flirt con i dépliant, la mano di Patti fa diligentemente ruotare, sugli anelli di metallo del raccoglitore, le schede con le biografie degli artisti.
«Vedi? Tutte in ordine alfabetico. Asdrubali, Balla, Bartolini...»
Annuisco e continuo a non dire niente. Sposto lo sguardo tra la vita di De Chirico e la mano ossuta di Patti, che galleggia dispersa nel calore inutile della mattina.
Lascio Patti alle prese con le biografie e raggiungo Rosanna, che in fondo al budello di cemento controlla nel database alcuni contratti di prestito. Scambiamo qualche parola distratta nella nostra comune area di lavoro. Alta, magra, Rosanna entra a malapena sotto la scrivania. Dal loculo di Patti arrivano ora piccoli rumori come dalla gabbiotta di un criceto: sgranocchiamenti, accartocciamenti, smuovere di cianfrusaglie. Sembra nervosa. Viene in fondo al corridoio:
«Prepariamo il prospetto per i carabinieri?», dice succhiando una caramella.
I carabinieri in servizio alle entrate registrano tutte le opere che transitano in ingresso o in uscita: che roba è, chi l’ha fatta, a chi appartiene. Ogni due mesi mandiamo al comando un riassunto di tutti i movimenti, perché possano metterlo a confronto con il loro. Tanto per essere sicuri di non fare sbagli.
Arriva anche Nicola, che era al quarto piano con gli operai.
«Maurizio ndo’ va?», domanda a Patti. «Saliva lo scalone d’onore...»
«Doveva parlare al Ministro di un suo progetto».
L’interprete del cd è straziata dalla nostalgia:
che bbella cosa
’na iurnata ’e solee...
«Quindi il Mariani l’avete sistemato nella sala riunioni», continua Patti. «Ma il resto? Il dipinto di Turcato?»
Nicola ride soddisfatto:
«Il resto resta: da fà. Stasera ce tocca stà qua fino a le nove...»
«Mah», mormora Rosanna componendo un numero di telefono. «Di solito si dice così quando non si ha niente da fare a casa propria».
Mi siedo alla scrivania, accanto alla sua. Nicola si stringe appena nelle spalle e non le risponde. Dal loculo di Patti non si sente più nulla: non gli sgranocchiamenti di caramelle, non i polpastrelli sulla tastiera. Rosanna parla al telefono con un giovane storico dell’arte dal nome fiabesco. È un allievo del professor Barbesi, il responsabile scientifico della collezione, e cura un progetto parallelo sui giovani artisti italiani. Li ha selezionati e ha messo le opere nei corridoi del quarto piano. Resta da fare un catalogo anche per loro, e possibilmente far viaggiare la selezione all’estero. Si chiama Pisa. Da quando sono stato assegnato al SOpA, a ridosso dell’assunzione dopo Ferragosto e fino a oggi, ci siamo conosciuti e abbiamo lavorato insieme quasi quotidianamente: fare il punto sulla raccolta del materiale per il catalogo, controllare immagini e biografie.
«È un bravo ragazzo», commenta Rosanna. «Dice che passa lunedì. O no? Ma guarda che non mi ricordo più cosa ha detto...»
Forse se lo ricorderebbe meglio se nei quattro minuti della loro telefonata lo avesse banalmente anche ascoltato anziché esporgli nei dettagli il suo O tempora! O...




