E-Book, Italienisch, 288 Seiten
Reihe: Narrativa
Kinsky Rombo
1. Auflage 2023
ISBN: 978-88-7091-864-9
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 288 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 978-88-7091-864-9
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
«In seguito, tutti parleranno del rumore. Del rombo. Con cui è iniziato.» Il 6 maggio 1976 un violento terremoto colpisce il Friuli, squarciando il paesaggio e l'esistenza di chi lo abita. A rievocare quei giorni sono sette abitanti di una valle nell'estremo nord-est della regione. Uomini e donne all'epoca già adulti o ancora bambini di cui ricostruiamo le vite in un'arcaica comunità montana di origini slave, con la sua peculiare identità linguistica e storica, le sue suggestive tradizioni, il suo retaggio di terra povera e di confine dove si sognava di fuggire o di vedere il mare, dove si emigrava per lavoro e si ritornava con nostalgia. Una terra di leggende in cui il terremoto ha origine dal mostruoso Orcolat o dalla Riba Faronika, la possente sirena a due code. Alle voci umane che raccontano un mondo antico di colpo travolto dalla paura fanno da controcanto le voci della natura attraverso una vivida descrizione del paesaggio carsico, dai fiori agli uccelli - i soli viventi immuni al terremoto - fino alle rocce che nei loro strati e colori conservano traccia dei movimenti millenari della terra. Così la memoria dell'uomo, che tenta di ricostruire con le parole quello che è andato distrutto, che cerca segni premonitori nelle ore precedenti al sisma per non rassegnarsi alla propria impotenza, che va modellandosi nel tempo insieme alle ferite, sembra confrontarsi con la memoria geologica. In un mosaico narrativo che riesce a combinare scienza e poesia, Rombo racconta la precarietà dell'esistenza e il senso profondo del ricordo mettendo a confronto ciò che passa e perisce per sempre e ciò che rimane, sottoposto a incessante mutamento, in natura come nella memoria.
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II
Mentre il fragore sotterraneo va considerato un compagno fisso e verrebbe da dire necessario del terremoto, si menzionano molti altri fenomeni correlati che sono invece per lo più da ritenersi occasionali eventi concomitanti, sebbene si tenda ugualmente a stabilire un nesso causale tra essi e il terremoto. È il caso, per esempio, di un particolare tipo di nebbia, forti raffiche di vento, temporali e altri fenomeni elettrici, fuoriuscite di vapori e gas e così via. […]
Carl Friedrich Naumann, , 1850, vol. I, pp. 206-208.
Paesaggio
Dall’alto, dalle volte carsiche sotto la vetta del monte Canin, si vede tutta la valle, una distesa irregolare di rilievi più dolci e piccoli altipiani simili a palcoscenici, attorniata da montagne. I villaggi si trovano sulle alture, alcuni al riparo delle rocce. Quelli nelle posizioni più gradevoli, circondati da campi aperti, sono stati quasi tutti vittima del terremoto. Qui rovine, là file circoscritte di bianche casette a schiera, intrusi spigolosi in una zona smussata dal vento e dall’acqua e dal pietra-contro-pietra. Al di fuori degli insediamenti, accumuli di rocce franate, morene, ammassi di materiali che si oppongono al movimento. Prati, pascoli, piccole strisce di terre coltivate. Più in alto, separati dal villaggio da ripidi pendii boscosi, altri prati e pascoli alpini. Tanta pietra. Fiumi, torrenti, rigagnoli scrivono di sé nella valle, segni bianchi e linee della perseveranza, al solo scopo di imprimersi nel duro. Sentieri e strade scrivono il testo diverso, più goffo, di un’accessibilità negoziata. Da dove, per dove. Non si intuisce alcuna via d’uscita dalla valle, tutt’intorno montagne, dai pendii ricoperti di boschi azzurrini e dagli aspri fronti rocciosi ai canaloni e ai crepacci grigi e violetti, alle cime dentate, ai punti di rottura e alle ferite giallastre, in ogni direzione, una perdita di orizzonte.
Adelmo
Per prima cosa volevamo uscire, io e mia sorella, uscire e basta, quando tutto ha cominciato a oscillare; fuori no! ha urlato mio padre trascinandoci sotto l’architrave della porta, le sue mani sembravano di ferro. Venivano giù intonaco e malta, un pezzo di muro è crollato, non riuscivamo a vedere niente e ci mancava l’aria per la polvere, e a me è tornata in mente la cava di ghiaia in Germania, dove io e mia sorella ci eravamo nascosti in una grotta quando ci avevano chiesto di dire se volevamo restare con la mamma o tornare in Italia con il papà. Anche nella grotta ci era piovuta addosso la sabbia così, all’improvviso, e ci mancava l’aria e avevamo paura, non lo dimenticherò mai, ci siamo fatti tutti e due la pipì addosso. Non so più quanto sia durato il terremoto, un’ora o un minuto. Fuori la gente gridava. Non siamo potuti uscire dalla porta principale e abbiamo dovuto attraversare il cortile. C’erano pietre e terra dappertutto. A me sembra di ricordare che fosse ancora chiaro, ma non è possibile. Una vicina era distesa sulla strada, forse era caduta per la paura o qualcosa l’aveva colpita, ha cominciato a gemere quando mio padre e un vicino l’hanno tirata su, volevano trasportarla da qualche parte ma non sapevano dove. Nella nostra strada c’era una grande crepa. Credo che il cielo fosse verde, verde scuro. Avevo freddo. Poi mi è venuto in mente che stavo giocando con l’indiano vicino alla finestra, era l’unico personaggio del fortino western che avevo preso quando ero tornato in Italia con mio padre. Il fortino resta qui, aveva detto mia madre mentre facevamo le valigie, ed era stata la cosa peggiore di tutte. Ma l’indiano ce l’avevo nella tasca dei pantaloni, lei non lo sapeva. L’indiano è stata la prima cosa che mi è venuta in mente. Ero per strada, sotto quel cielo verde, e pensavo all’indiano, se era ancora sul davanzale. Non so più come ho fatto a rientrare in casa per cercarlo, e nemmeno quando, forse il giorno dopo. Era tutto pieno di polvere e calcinacci, e il davanzale della finestra era sbilenco. Ho subito trovato l’indiano. E ho salvato anche il mio violino, ma quello già la sera, subito dopo il terremoto, o durante, era quasi intatto, a parte il pietrisco che c’era finito dentro, e un graffio. Non sai mai quel che ti passa per la testa nel momento del pericolo, e poi tutto si distorce. Prima l’indiano mi faceva sempre pensare alla Germania, era il mio indiano della Germania, ma dopo il 6 maggio è diventato il mio indiano del terremoto. Non appena lo vedevo, mi tornava in mente il terremoto. E come mi mancava l’aria per via della polvere.
Vipere
La vipera è un serpente velenoso locale. Trova rifugio nelle numerose cavità e fessure della roccia, d’inverno può ritirarsi in profondità nella pietra e nel terreno disseminati di interstizi, gli operai impegnati nella costruzione di strade e gallerie raccontano sempre dei grovigli di vipere intrecciate l’una nell’altra in cui si sono imbattuti perforando la massa rocciosa.
La vipera è ben adattata all’ambiente ed è difficile scorgerla tra le rocce e le pietre e sul terreno. Attacca raramente, teme i rumori e spesso diventa rigida come un bastone se le si avvicinano degli esseri umani. Ma chi cammina senza prestare attenzione, cade, inciampa, infila la mano nei radi cespugli di una pietraia, la spaventa. La vipera si riconosce dalla testa triangolare, piatta. Catturarla è una prova di coraggio, ma dopo una lunga pratica può diventare un talento ambito, che permette di guadagnare dei soldi. Bisogna essere ancora più veloci di lei e afferrarla fulminei e intrepidi con la mano in modo che il pollice si posizioni sulla nuca e lei non possa più muovere la testa. Il corpo inerme tenta ancora di difendersi menando frustate a destra e a manca con grande energia, ma se la presa sulla testa è salda e il polpastrello del pollice preme con fermezza e senza esitazione sui sottili ossicini alla base del cranio, il corpo non può più fare niente. I serpenti catturati vengono infilati in una bottiglia e portati in farmacia, dove fruttano un po’ di soldi. I farmacisti estraggono il veleno dal dente e lo usano per scopi terapeutici. Le vipere vive valgono più di quelle morte.
Mara
Sì, il terremoto è stato un evento della mia vita che non potrò mai dimenticare. Forse è l’unico che mi rimarrà impresso fino alla mia ultima ora. Quel che succede dopo, non lo sa nessuno. Se anche dopo la morte si conservino i ricordi. Era tutta la sera che mi sentivo nervosa. Nel tardo pomeriggio la luce era così accecante e fosca allo stesso tempo, viscosa, quasi la si potesse afferrare. Stavo riordinando, ero tutta sudata, la camicia mi si era incollata sulla schiena, ero solo in sottoveste, ed è stato allora, mentre riordinavo, che è cominciato. Prima quel vento che ululava in cortile, a un certo punto fuori è caduto qualcosa, e di colpo ho sentito un gran freddo. Poi quel rumore. Quel rimbombo cupo. Era così vivo. All’inizio ho pensato: ecco il cane che brontola, per tutto il giorno aveva fatto il pazzo in un modo che gli avrei tirato volentieri una pietra in testa, dopo mangiato gli avevo perfino dato gli avanzi della mia minestra. A ogni modo è così che è partito quel brontolio, molto lontano all’inizio, oppure no, non lontano, ma come se venisse dal basso, avevo appena finito di pulire e il pavimento sotto i miei piedi ha cominciato a tremare, un barattolo è caduto dalla mensola e si è aperto, e tutta la cucina sapeva di achillea; la chiave, la chiave, ho gridato tra me, perché la mamma era ancora in camera sua, e in quel momento era molto silenziosa. Nel grembiule, mi è venuto in mente, e ho preso la chiave dalla tasca e sono andata in camera, lì le pareti stavano già cedendo, ma a parte il brontolio e il gemito nelle pareti c’era un gran silenzio, ho tirato via la mamma dalla poltrona dov’era seduta e sono uscita con lei, le si era sciolta la treccia e aveva i capelli già pieni di pietrisco bianco, faceva passi piccolissimi, come una bambina che pensa sia una cosa molto elegante e si crede una principessa, mentre a me sembrava che tutto intorno a noi dovesse crollare da un momento all’altro, c’era così tanto rumore, ma un rumore sordo, forse non era ancora caduto niente ed è successo solo dopo, e così sono uscita dal cortile, in strada, e per un attimo ho pensato: sembra quasi che stia accompagnando la mamma all’altare, oltretutto aveva quei puntini bianchi tra i capelli. Ma nessuno si è accorto di noi, c’è stato uno schianto e la gente si è messa a urlare, e i cani abbaiavano, e io avevo addosso solo la sottoveste, mi sono resa conto,...




