E-Book, Italienisch, 353 Seiten
Laxness Il concerto dei pesci
1. Auflage 2014
ISBN: 978-88-7091-381-1
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 353 Seiten
ISBN: 978-88-7091-381-1
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
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I pesci possono cantare? Si può restare fedeli alle radici quando la vocazione artistica spinge a varcare i propri confini? Alle soglie del XX secolo l'Islanda si affaccia alla modernità di un mondo globalizzato: Reykjavík si appresta a diventare una capitale dominata dai mercanti, ma ai suoi margini, nel borgo di Brekkukot, l'ipocrisia e l'arroganza della borghesia emergente restano fuori dalla casupola di torba del vecchio Björn, un pescatore stagionale che resiste alla logica mercantile con illuminata testardaggine. Fedele alla ruvida, ma generosa etica tradizionale, Björn offre ospitalità a un campionario di personaggi stravaganti nel suo sottotetto: qui vedrà la luce anche il piccolo Alfgrímur, abbandonato dalla madre e destinato a seguire sul mare il 'nonno adottivo'. Ma è cantando ai funerali nel cimitero sotto casa, che il giovane deciderà di dedicarsi alla musica, alla ricerca 'di un'unica nota pura', un ideale unisono fra talento artistico e limpidezza di cuore. Avviato agli studi, Alfgrímur si troverà diviso tra l'idillico microcosmo della sua infanzia e il richiamo di un mondo complesso, ambiguo e attraente, incarnato dalla enigmatica figura di Garoar Hólm, il cantante lirico celebre in tutto il mondo che in patria nessuno ha mai sentito cantare. Laxness guarda con ironia e nostalgia al mondo della sua infanzia, in un romanzo di formazione di un'artista e di un'intera nazione, sospesa fra tradizione e innovazione.
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Quarto Capitolo
CHE VALORE HA LA BIBBIA?
Ho parlato un po’ del valore del pesce, ma non ho ancora detto niente della Bibbia. E non posso chiudere l’argomento senza accennare brevemente al valore della Bibbia nella nostra casa.
Mio nonno Björn di Brekkukot non era un amante dei libri, non ho mai saputo che leggesse nient’altro dei sermoni per le famiglie della del vescovo Jón Vídalín;2 a meno che non conti anche che qualche volta faceva scorrere l’occhio sugli annunci dell’. La lettura del Vídalín aveva luogo ogni domenica prima di pranzo. In genere leggeva correttamente, solo ogni tanto con qualche errore, ma mai veramente bene, poneva l’accento soprattutto su due cose: dare il giusto tono monotono alla lettura e non saltare nessuno dei numeri che comparivano nel libro, i capitoli o i versetti citati delle Sacre Scritture, spesso anche più volte in ogni frase. Però non leggeva mai per intero le abbreviazioni, diceva per esempio Mar, Rom, Cor, Abac; non usava nemmeno gli ordinali per i numeri che seguivano le citazioni, e non prestava attenzione alle virgole né ad altri segni d’interpunzione tra le cifre; invece di leggere, per esempio, prima lettera ai Corinzi, tredicesimo capitolo, quinto versetto (scritto: 1 Cor, 13, 5) leggeva un cor centotrentacinque. Ma non modificava mai quell’intonazione particolare che si usava un tempo qui da noi per la parola di Dio, una cantilena uniforme e solenne su un tono acuto discendente che si abbassava di un quarto di tono alla fine della frase; un modo di leggere che non aveva alcuna relazione col resto del mondo, a parte qualche affinità con il borbottio di alcuni malati di mente. In Islanda non ne sono più nati di artisti che conoscano quell’intonazione.
Sono assolutamente incapace di dire quali pensieri facessero sorgere nella mente di mio nonno Björn di Brekkukot quei rimandi nella ad antichi eccentrici del basso Mediterraneo, amplificati da una teologia rigidamente sistematica da contadini tedeschi, come quella del Venerabile Jón. Molti considererebbero un tale esercizio spirituale nient’altro che una vuota formalità. Posso garantire di non avergli mai sentito citare una sola parola di quei sermoni, né mi sono mai accorto di altre pratiche devote da parte sua che non fossero quella lettura domenicale. E neppure sono riuscito a trovare qualcuno che ricordasse di aver sentito Björn di Brekkukot fare riferimento ad alcuna dottrina teologica, morale o filosofica contenuta nei sermoni. Non ho idea se mio nonno comprendesse tutto quanto vi stava scritto, o addirittura niente. Se credeva a tutto, era come quei teologi che conservano la loro teologia in qualche compartimento stagno del cervello, o forse meglio come quei viaggiatori che si portano appresso una boccetta di tintura di iodio in valigia stando attenti di tenerla ben tappata perché non perda, rovinando così tutto il loro bagaglio. A essere sinceri, credo che mio nonno Björn di Brekkukot non sarebbe stato sostanzialmente diverso se fosse vissuto in Islanda all’epoca pagana, o se si fosse trovato in qualche altro luogo della terra dove non si legge la ma si crede ad Api, al dio Ra o all’uccello Colibrì.
Da tutto ciò, si può facilmente dedurre che non eravamo particolarmente letterati. La lettura a casa nostra era fatta soprattutto dagli ospiti che portavano con sé i loro libri. A volte erano saghe, che leggevano ad alta voce a tutti; altre volte si mettevano a recitare ballate. Spesso gli ospiti che pernottavano da noi ci lasciavano i loro libri, magari come ringraziamento per l’ospitalità; è così che si è formata la nostra biblioteca, una piccola raccolta di testi senza alcun criterio, ma su questo tornerò più avanti. Anche se in casa nostra erano finiti i libri più disparati, nessuno si accorse che a Brekkukot eravamo sprovvisti di Bibbia, finché il vecchio Thordur il Battista non venne a stare da noi; e con questo sono arrivato al punto che più mi stava a cuore.
È troppo risaputo per doverlo rammentare che, secondo un sistema di prezzi anticamente in vigore in Islanda, il costo di una Bibbia era equivalente a quello di una mucca, e si intende una mucca giovane pronta a figliare, o di sei pecore da tosare e ingravidare. Questo prezzo è scritto sul frontespizio della Bibbia che fu stampata in una remota valle montana nel nord dell’Islanda nel 1584, e come tutti sanno gli islandesi non hanno mai creduto in altra Bibbia che quella, un volume ornato di belle miniature e illustrazioni che pesa più di due chili e ha una forma simile a una scatola di uva passa: un libro che è sempre esistito in ogni chiesa islandese che si rispetti.
Una volta, come spesso accadeva d’estate, un forestiero bussò alla porta di Brekkukot dicendo di essere appena arrivato con la nave a vapore. Due o tre anni dopo, fu di nuovo nostro ospite per qualche settimana. Ho sempre in mente quest’uomo che camminava sulla strada lungo il cimitero, in finanziera, come in Islanda si chiamano i soprabiti alla «Principe Alberto», e con un cappello rigido del tipo che si chiama «a mezzo cilindro» per distinguerlo da quello «a cilindro», come si chiamano le tube, e un colletto di guttaperca abbottonato sulla nuca. Era il vecchio Þórður, o come si presentava lui: Þórður il Battista. Ma ciò che mi indusse a pensare che si trattasse di un altro ladro di torba fu lo strano fatto che questo signore ingiacchettato, che dall’aspetto era un tipo distinto in tutto e per tutto, portava sulle spalle un sacco di iuta stipato di quelle che mi parevano mattonelle di torba; per farla breve, però, non era torba quella che portava sulla schiena, bensì delle Bibbie. Altro bagaglio non ne aveva. Non mi soffermerò a dire come mai l’uomo in finanziera che arrivava dall’estero con la nave a vapore dovesse capitare proprio da noi nella nostra casupola di torba al confine estremo del mondo civilizzato, dove il tarassaco cresceva sul tetto, invece di proseguire per l’Hotel d’Islande dove certo si sarebbe trovato a suo agio tra alti funzionari e ospiti stranieri.
Þórður il Battista era un uomo grande e grosso e di aspetto imponente, con uno di quei volti in cui il mento sembra sia stato spinto in su con forza dal basso, e un naso aquilino eccezionalmente ben fatto che si incurvava in giù verso il solco del mento. La bocca era così serrata quando non parlava che le labbra vi sparivano dentro e non si distingueva che un filo; ma sul labbro superiore, che era il particolare più debole e insignificante di tutto il suo fisico, portava dei baffetti corti ed estremamente ben curati. Strizzava sempre gli occhi come se dovessero filtrare la luce.
Che cosa volesse significare quell’appellativo di Battista del vecchio Þórður non l’abbiamo mai saputo, noi di Brekkukot, né ci siamo mai curati di saperlo; però non l’abbiamo mai visto battezzare anima viva. Si diceva che fosse venuto in contatto con qualche setta religiosa in Scozia e in Canada, diventandone adepto, e che traesse da quello il suo pane quotidiano; certo non doveva esserne rimasto molto, di quel pane, se Þórður aveva deciso di posare la testa in uno dei pochi alloggi gratuiti rimasti al mondo in questo secolo, e nel precedente. Doveva probabilmente far parte del suo incarico diffondere nella sua città natale la parola di quel Signore che crede nei Battisti: non mi passa per la testa di dubitare che il vecchio Þórður parlasse per ispirazione divina, se mai uno ce n’è stato. Ma tale era la sua ispirazione e l’esaltazione delle sue prediche che non gli importava che ci fossero o meno esseri umani a portata d’orecchio, anzi, credo che preferisse proprio non averne; e in effetti era raro che avesse degli ascoltatori, a parte qualche monello che si nascondeva in una botte vicina per spiare cosa proclamasse con tanto zelo un così emerito ecclesiastico senza mai rivolgersi a nessuno. Purtroppo io non avevo né l’intelligenza né la maturità, e forse nemmeno la curiosità, per capire il succo del messaggio di Þórður il Battista, più di quanto avessi voglia di sviscerare il senso dei sermoni del nonno.
È un semplice dato di fatto che l’indifferenza degli islandesi sia sempre stata diffusa, e può essere che Þórður conoscesse bene i suoi compatrioti, ma può anche essere che fosse lui stesso un buon islandese; perché se capitava che uno o più perdigiorno ciondolassero nella sua direzione mentre si trovava da solo in una piazza vuota a predicare, si voltava invariabilmente dall’altra parte, mostrando le spalle al suo rispettabile uditorio. Era il metodo che considerava più efficace, per convertire gli islandesi. Ricordo che una sera gli passai accanto al porto in una bufera di pioggia e vento dal nord, mentre predicava con gran vigore e convinzione a qualche carretto che giaceva rovesciato poco lontano. Pestava entrambi i piedi per terra per dare enfasi alle sue parole e picchiava con le nocche e i pugni sulla Bibbia per confermare i suoi argomenti, sputacchiando saliva in ogni direzione. Predicava contro la deplorevole ed esecrabile...