L'islandese che sapeva raccontare storie | E-Book | sack.de
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E-Book, Italienisch, 134 Seiten

Reihe: Narrativa

L'islandese che sapeva raccontare storie


1. Auflage 2024
ISBN: 978-88-7091-812-0
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 134 Seiten

Reihe: Narrativa

ISBN: 978-88-7091-812-0
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Nell'Europa medievale l'Islanda è l'unico paese senza una monarchia, eppure i suoi abitanti, che siano mercanti, pellegrini o curiosi navigatori, all'estero visitano terre di re e regine. Come può destreggiarsi in quei paesi un popolo che non è abituato alle buone maniere dei cortigiani? «Poco socievoli», ma anche «impavidi» e soprattutto «astuti»: al cospetto dei sovrani stranieri così si mostrano gli islandesi, abilissimi nell'arte della parola, quella in versi e in prosa. Ma tutt'altro che diplomatici: schietti, insolenti e a volte offensivi, si cacciano in mille guai e avventure, che riescono a superare grazie alle loro virtù morali di buoni cristiani e alla loro parlantina. Sono queste le peripezie tramandate nei þættir, anonimi e brevi spin-off delle saghe che alla tragicità sostituiscono l'ironia e alla leggenda la fiaba, con tanto di prove da superare, aiuti magici e creature mitiche. Così Auðunn attraversa indenne le corti scandinave grazie all'orso polare che ha comprato in Groenlandia, mentre Þorsteinn il Curioso supera a nuoto il serpente marino a guardia di un'isola miracolosa. E tra sovrani furiosi e visioni di santi, idoli pagani che si trasformano in demoni e maledizioni sami, c'è spazio anche per i sentimenti dei protagonisti, che siano assetati di vendetta, codardi o amanti delusi alla ricerca di un buon amico con cui sfogarsi. Una raccolta di racconti inediti attinti dall'enorme patrimonio narrativo islandese che, con prosa asciutta, dialoghi serrati e modi boccacceschi, restituiscono il volto più scanzonato di un popolo capace di salvarsi la pelle con un'ascia robusta, ma anche con una poesia ben recitata.

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Prefazione


Nell’assetto politico dell’Europa settentrionale tra il 900 e il 1200, l’Islanda è l’unico paese a non fregiarsi di una monarchia, ma i rapporti con Norvegia, Svezia, Danimarca e Inghilterra richiedono notevoli doti di per sapersi destreggiare alla corte dei sovrani. Saranno all’altezza, i poveri islandesi? Evidentemente non si trattava affatto di un problema banale, se all’argomento gli autori medievali hanno dedicato un piccolo narrativo di cui questo volume rappresenta una selezione, intesa a far conoscere meglio una cultura spesso descritta come brutale e piratesca, ma che sapeva essere anche estremamente raffinata.

La caratteristica principale di questi testi è spiegata già in buona parte dal termine con cui oggi li si definisce: (pl. , in islandese moderno ) deriva in tutta probabilità da una radice indoeuropea *tek-, che lo imparenta con il latino di e . Il termine antico, che si incontra già nei carmi dell’, significa «trefolo», ovvero uno degli elementi, dei fili, che ritorti insieme vanno a costituire una corda. Con il tempo – nel XIV secolo, se non già nel XIII, l’epoca d’oro delle saghe – il significato si amplia, passando da un ambito materiale a uno più astratto, e va a indicare più genericamente «la parte di un intero». Oggi con questo termine si indica anche il singolo episodio di una serie televisiva, oppure la puntata di un programma del palinsesto. In breve: un è un testo che ha valore di per sé e che tuttavia fa parte di un insieme più grande e acquista maggior senso se collocato nel suo contesto, al quale, proprio come un trefolo, aggiunge sostanza e rinforzo.

Lo scenario a cui appartengono – e da cui ho estrapolato i quattordici episodi della presente raccolta – è quello delle , e in particolare dei due manoscritti compilativi che ne contengono in numero maggiore, Morkinskinna e Flateyjarbók. La Morkinskinna («pelle marcia», dal nome del manoscritto che la ospita) è una raccolta di saghe dei re di Norvegia, da Magnús I nel 1025 fino alla morte di Sigurðr II nel 1157, anno in cui il testo, lacunoso, si interrompe; si ritiene che la silloge sia stata compilata tra il 1220 e il 1230, ovvero in un periodo in cui sulla «democratica» isola dei ghiacci la questione dell’istituzione monarchica doveva essere particolarmente sentita. La Flateyjarbók, databile con relativa precisione tra il 1387 e il 1394, è il manoscritto miniato più bello che l’Islanda abbia prodotto e contiene, tra l’altro, le versioni lunghe e particolareggiate delle saghe del re Óláfr Tryggvason e del re Óláfr il Santo. Si può supporre quindi che per entrambi i progetti i redattori islandesi intendessero fornire le biografie dei sovrani di Norvegia nella forma più completa possibile, raccogliendovi intorno aneddoti, digressioni e testi brevi a fare da corollario e arricchire così il racconto delle loro figure, conferendogli pienezza e grandiosità. I testi «aggiuntivi» rivestono un ruolo chiaro: fanno luce sull’autorità e sulle virtù del re, o ne evidenziano le caratteristiche personali.

Comprendere se questi «brevi testi» – definiti in seguito come se fossero un genere a sé stante – circolassero già prima in maniera indipendente, in forma orale oppure scritta, o se si fossero originati insieme alla saga ospite come parte integrante del suo tessuto narrativo, oppure ancora, se costituiscano un gradino intermedio nell’evoluzione letteraria tra le e le , è ovviamente impossibile: la ricerca propone da anni teorie diverse, ma lascio volentieri la fuori da questa breve introduzione. Perfino il numero non è chiaro – si parla di un centinaio di testi enucleabili o circoscritti, «indipendenti», variabili nei toni e nei temi, ma per lo più intesi a fornire un’immagine a tutto tondo del sovrano, presentandolo anche nei suoi rapporti con i sudditi e gli uomini della corte, che siano norvegesi o islandesi.

In tutto questo materiale «breve» e «accessorio» gli studiosi nel secolo scorso hanno individuato una quarantina di accomunati dal fatto di raccontare degli scambi tra il sovrano e un islandese, e hanno così dato vita a tavolino a un genere letterario, quello degli («racconti degli islandesi»), accostandoli alle («saghe degli islandesi») in una sorta di parallelismo – la saga sta al come un romanzo sta a un racconto – e spostando i riflettori sui personaggi secondari. Agli occhi del compilatore medievale, però, il racconto doveva mettere in luce il re, non l’islandese di turno, come si nota in alcuni casi dai titoli rubricati nei manoscritti: nella Morkinskinna, ad esempio, si legge , ossia «del re Eysteinn e Ívar», mentre in tutte le edizioni dal 1900 in poi si parla di , «il racconto di Ívar figlio di Ingimundr». Con questo espediente gli sono entrati a far parte della tradizione critica delle – li troviamo ad esempio nelle edizioni della Íslenzk Fornrit, organizzati geograficamente proprio come le saghe – senza averne pieno diritto, solo perché trattavano delle vicende degli islandesi alla corte dei re scandinavi.

È vero tuttavia che queste storie condividono una straordinaria uniformità narrativa, tanto da poter essere considerate un genere, come delle : oltre al sovrano entrano in scena pochi personaggi, solitamente una sola figura principale (nel nostro caso, appunto, un islandese) che al re fa da spalla o da coprotagonista; la narrazione si svolge in un periodo limitato e ruota intorno a un solo evento, la sequenza temporale è lineare, il punto di vista fisso; rispetto alle saghe si incontrano molti più dialoghi, che sono dei propulsori indispensabili per lo sviluppo della storia. Chi ne ha analizzato morfologicamente il testo vi ha riconosciuto una sequenza abbastanza usuale, che pur non escludendo possibili varianti è semplificabile in questi termini: presentazione del protagonista; partenza dall’Islanda e arrivo a corte; dissenso con un sovrano, situazione di incertezza; prova e superamento della prova; riconciliazione o riconoscimento da parte del re; ritorno in Islanda; conclusione felice. In misura minore o maggiore, i quattordici testi della presente raccolta rientrano tutti in questo schema. Non sfugge nemmeno l’affinità con fiabe e leggende, materiali che hanno origine nella tradizione orale: le prove, il superamento delle prove, la struttura tripartita sono tutti elementi che si rifanno al folklore.

Quel che è certo, però, e che emerge in maniera evidente alla lettura, è che queste storie hanno ben poco a che vedere con le – non trattano della tragicità di destini avversi, non si concludono con la caduta dell’eroe – e gli islandesi che compaiono nei non sono affatto della stessa pasta di quelli ritratti nelle saghe: non sono grandi eroi in balia del fato, non si disputano i terreni della Colonizzazione, non risolvono con omicidi a catena le questioni famigliari. L’islandese che nei decide di andare in Norvegia alla corte del re è spesso povero e di basso lignaggio; a volte viene umiliato e deriso ma non si dà per vinto, è un temerario e si caccia nei guai scatenando le ire del sovrano e mettendo a rischio la propria vita. Però è intelligente, sagace, si fa notare per la parlantina sciolta e talvolta è anche un abile scaldo, si relaziona con il re come con un suo pari e per questo alla fine la spunta: conquista i favori del sovrano e diventa un , un uomo fortunato. Sono racconti che danno rilievo alla condotta morale o agli ideali della cristianità medievale – amicizia, generosità, eloquenza, scambio di doni, perdono, riconciliazione, condotta degna. Dubito che si tratti di un quadro realistico degli islandesi all’estero: è impossibile pensare che questi ci consegnino un ritratto storico credibile sulla presenza degli islandesi a corte nel X, XI o XII secolo, ed è chiaro che il loro intento sia quello di intrattenere; vi domina l’elemento fittizio, il tono è sempre divertente e siamo nell’ambito della commedia più che della tragedia. Eppure non credo di sbagliare affermando che questi racconti rappresentassero il modo in cui gli islandesi volevano essere visti: evidentemente il tema del confronto con un sovrano doveva star loro molto a cuore ed è probabile che avessero delle difficoltà a veder riconosciuto il proprio valore al di fuori dell’Islanda, soprattutto con il passare del tempo, quando con l’assottigliarsi dei legami di sangue o delle parentele in Norvegia venivano a mancare possibili figure di intermediari con il sovrano....



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