Litt Woon | La via del bosco | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 264 Seiten

Reihe: Narrativa

Litt Woon La via del bosco


1. Auflage 2019
ISBN: 978-88-7091-591-4
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 264 Seiten

Reihe: Narrativa

ISBN: 978-88-7091-591-4
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Quando Long Litt Woon, antropologa malese da decenni trapiantata a Oslo per amore, perde inaspettatamente il marito Eiolf, la sua esistenza si svuota di ogni significato ed è inghiottita in una bolla di apatia. Ad aprire la prospettiva su una vita nuova e piena è la partecipazione quasi accidentale a un corso di micologia per principianti: la scoperta del mondo dei funghi comincia a risvegliare in lei tutti e cinque i sensi conducendola lentamente su due sentieri paralleli, quello concreto che si snoda tra i profumi e i colori dei boschi norvegesi - ma anche del lontano Central Park - e il faticoso percorso interiore dell'elaborazione del lutto. Nel libro si alternano così la narrazione, tanto più asciutta quanto più vera, di una vicenda intima e dolorosa e il resoconto acceso, vitale, pieno di gioia dell'esplorazione di un regno naturale complesso e misterioso e dell'eccentrica comunità umana che lo abita, il popolo dei fungaioli, con le sue regole, i suoi rituali e le sue ossessioni. Con lo sguardo rigoroso dell'antropologa diventata ormai esperta micologa, Long Litt Woon ci aiuta a destreggiarci con competenza tra spugnole, steccherini e ovoli malefici e nello stesso tempo a riflettere sulle peculiarità nazionali e sui pregiudizi culturali in cui è avvolto un argomento che si vorrebbe scientifico. Ma soprattutto ci emoziona immergendoci nella profondità umana di una donna che ha saputo trasformare una passione in ancora di salvezza.

Litt Woon La via del bosco jetzt bestellen!

Weitere Infos & Material


Questa è la storia di un viaggio cominciato quando la mia vita si è ritrovata capovolta: un giorno Eiolf è andato al lavoro e non è tornato a casa. Non è tornato mai più. La vita, per come la conoscevo io, è sparita di colpo. Il mondo è cambiato per sempre.

Ero completamente distrutta. Di lui non mi restava altro che il dolore di averlo perso. Un dolore che mi faceva a pezzi, ma che non volevo lenire con i farmaci. Desideravo sentire la sofferenza, tutta, fino in fondo. Mi confermava che lui era vissuto, che era stato mio marito. Non volevo che sparisse anche quella.

Ero in caduta libera. Io, che avevo sempre retto saldamente il timone; io, che amavo avere il controllo della mia esistenza. Era sparito un punto cardinale. Ero in una regione ignota, vagabonda involontaria in terra straniera. La visibilità era scarsa e non avevo mappa né bussola. Qual era l’alto e quale il basso? Da dove incamminarmi? In che punto posare il piede?

Non c’era altro che nero.

Per pura fatalità, ho trovato una risposta là dove meno me l’aspettavo.

Era una giornata di pioviggine, un’acquerugiola finissima, e le vecchie foglie cadute dai grandi e venerabili alberi dei giardini botanici di Oslo cominciavano a disfarsi. La stagione calda era finita, non c’era dubbio, e quella fredda stava per invadere la nostra vita. Qualcuno mi aveva parlato del corso, e mi ero iscritta senza rifletterci troppo. Era un’idea di cui io ed Eiolf avevamo parlato, senza però concretizzarla. Così, una buia sera d’autunno, senza aspettative mi presentai nel seminterrato del Museo di storia naturale.

Dovevo badare a dove mettevo i piedi: già mi ero rotta una caviglia, dopo il funerale di Eiolf. Dal giorno dell’infortunio mi era rimasta in corpo la paura di cadere. Mi avevano spiegato che una caviglia fratturata si rinsaldava in tempi lunghi, ma nessuno sapeva dirmi se potesse mai guarire un cuore a pezzi, e se sì, quanto impiegasse.

Il lutto è un dolore che macina lento; divora tutto il tempo che gli serve.

Il lutto ha un decorso irregolare, che procede a scatti, in direzioni imprevedibili.

Se qualcuno mi avesse avvertita che la mia àncora di salvezza, quella che mi avrebbe rimessa in piedi e riportata sul sentiero – letteralmente –, sarebbero stati i funghi, avrei alzato gli occhi al cielo. Cosa c’entrano i funghi con il lutto?

E invece è fuori, sul suolo muschioso dei boschi, che mi sono imbattuta in quel che cercavo. E il mio viaggio di esplorazione nella terra dei funghi è diventato anche un cammino nei paesaggi dell’animo, . Mentre il primo richiedeva solo tempo, il percorso interiore si è rivelato anche turbolento e arduo. Non ho alcun dubbio: è stata proprio la scoperta del regno dei funghi a sospingermi costantemente verso l’uscita del tunnel del lutto. Ha lenito il dolore ed è stato il sentiero che mi ha portata fuori dal buio. Mi ha presentato prospettive inattese, conducendomi poco a poco verso una nuova stabilità. Ma solo in seguito mi sono accorta che questa era stata la mia salvezza nel momento del bisogno, e che i due argomenti – funghi e lutto –, apparentemente distinti, sono in realtà legati. È di questo che parla il libro.

Dunque sarà il caso di cominciare dal corso di micologia per principianti.


Erano in molti a essersi iscritti al mio stesso corso. Alcuni nella prima giovinezza, altri nella seconda. Provenivano da diverse zone della città. Evidentemente c’era un interesse che accomunava i quartieri più eleganti di Oslo Ovest a quelli più popolari di Oslo Est. Da sociologa, lo trovo interessante. Di solito a ciascun ceto si possono associare forme specifiche di sport o di hobby. Ci sono passatempi dalle chiare connotazioni borghesi e passatempi considerati dominio degli altri strati socioeconomici. Non occorre essere antropologi per accorgersi di queste differenze anche in Norvegia, benché sia un paese molto affezionato alla propria immagine egualitaria. Se i norvegesi dovessero selezionare una foto profilo del loro paese, sceglierebbero quella in cui il re compra il biglietto del treno per Holmenkollen. È vero che ben pochi monarchi viaggiano con i trasporti pubblici, ma nemmeno si può dire che per la famiglia reale norvegese sia una consuetudine.

L’ambiente dei micofili ha una disomogeneità sociale che mi è piaciuta subito. È da un po’ di tempo che lo frequento, eppure non so ancora cosa fanno nella vita gli altri fungaioli. L’argomento funghi occupa tutto lo spazio, e quisquilie come religione e politica devono cedere il passo. Ciò non toglie che ci sia una gerarchia. Anche questo ambiente ha i suoi eroi, i suoi bassifondi, le sue leggi non scritte e conflitti che lasciano briglia sciolta alle emozioni. Come ogni altra comunità, anche quella micofila è un microcosmo che rispecchia l’intera società, benché in un primo momento non me ne sia accorta.

I funghi affascinano e insieme spaventano: ci inducono in tentazione con la promessa del godimento dei sensi, ma sullo sfondo è in agguato un veleno letale. In più, ci sono specie che formano colonie a disposizione anulare, una conformazione tradizionalmente associata alla stregoneria, e altre che hanno proprietà allucinogene. Scavando nelle fonti storiche, si scopre che in ogni epoca l’uomo si è interrogato sui funghi, organismi che pur senza avere radici né semi visibili spuntano fuori all’improvviso, spesso dopo una pioggia abbondante o un arcobaleno, quasi fossero incarnazioni delle indomabili forze della natura. Il fatto che alcuni, in norvegese, abbiano nomi come «uovo di strega» (), o «verruca rossa» (), o «orecchio di Giuda» () può forse indicare che anche in questa terra evocano paganesimo, orrore e magia.

C’è chi si appassiona ai funghi perché affascinato dalla loro funzione nell’ecosistema, quella di riciclatori naturali. Altri sono più interessati alle loro proprietà officinali. C’è molto ottimismo intorno alla ricerca scientifica sull’uso dei miceti nella cura contro il cancro. Il contributo norvegese in questo campo è , che cresce sull’altopiano di Hardangervidda e produce una sostanza – la ciclosporina – indispensabile nel trapianto di organi. Chi crede nelle miracolose proprietà afrodisiache di certi funghi si fa invece scorpacciate di satirione, ossia – che ha proprio la forma suggerita dal nome scientifico –, o di , che in norvegese si chiama «pisello di prete» (). Chi ha la passione del faidaté si lancia sui funghi che offrono un modo nuovo e appassionante di tingere la lana, il lino e la seta. Per i fotografi della natura, poi, i funghi sono una vera e propria manna: non ci sono solo quelli marroni o bianchi, ma di tutte le tinte e forme possibili e immaginabili: cicciotti o smilzetti, carini e armoniosi, trasparenti e delicati, oppure spettacolari e bizzarri, al punto di sembrare piovuti da un altro pianeta. Certi sono addirittura luminescenti, e possono rischiarare i sentieri boschivi quando cala la notte.

Ma i micofili che conosco io sono quasi tutti interessati ad approfondire la conoscenza dei funghi selvatici dei nostri boschi perché li gradiscono come alimento. Nonostante l’impegno assiduo, l’industria non è mai riuscita a coltivare le specie più apprezzate in cucina. Da questo punto di vista, i funghi sono la più fulgida antitesi del mondo rigorosamente disciplinato in cui viviamo quasi tutti noi: danno un’idea di inaffidabilità, di indisciplina. «Sono commestibili?» è la domanda che continua a ripetere chi non se ne intende.

Il corso era organizzato dall’Associazione per i funghi e le piante utili di Oslo e dintorni, un nome dal sapore antico che aveva acceso la mia curiosità. Mi suonava come una specie di associazione femminile norvegese di salute pubblica. Che razza di gente s’interessava di funghi e piante utili? Tra l’altro non mi era ben chiaro quali piante si potessero definire «utili». E volendo proseguire nel ragionamento: che dire di quelle «inutili»? Ed esistevano, poi? Una domanda che non ho osato porre all’assemblea riunita.

L’insegnante portava un coltello in un fodero fissato alla cintola e una piccola lente d’ingrandimento appesa al collo con una cordicella. Le due cose fanno parte dell’armamentario d’obbligo, per un raccoglitore serio, ma in quel momento non lo sapevo.

«Cos’è un fungo?» ci chiese.

Molti tacquero, cercando di evitare il suo sguardo. Anch’io. Non era ovvio, cosa fosse un fungo? Ma lui voleva una risposta scientifica. E io non sapevo nemmeno dove cercarla.

Quello che i più – me compresa – associano all’idea di fungo è il macromicete, come viene chiamato in micologia. Ma questo regno biologico è composto per la maggior parte da specie ben più piccole, spesso microscopiche. È capitato più volte che mi domandassero quante ne esistono, ma l’universo dei funghi è talmente vasto che è difficile dare una risposta precisa. Gli eruditi stanno ancora dibattendo su quante non siano ancora state scoperte o descritte scientificamente. Il Museo di storia naturale dell’Università di Oslo ha cercato di catalogare gli organismi viventi esistenti in Norvegia: delle 44.000 specie osservate, circa il 20 per cento appartiene al regno dei funghi. Tanto per avere un termine di paragone, i mammiferi rappresentano appena lo 0,2 per cento. E sono proprio i gruppi più ampi a comprendere il maggior numero di specie ancora ignote.

Il fungo che si vede nei boschi è solo...



Ihre Fragen, Wünsche oder Anmerkungen
Vorname*
Nachname*
Ihre E-Mail-Adresse*
Kundennr.
Ihre Nachricht*
Lediglich mit * gekennzeichnete Felder sind Pflichtfelder.
Wenn Sie die im Kontaktformular eingegebenen Daten durch Klick auf den nachfolgenden Button übersenden, erklären Sie sich damit einverstanden, dass wir Ihr Angaben für die Beantwortung Ihrer Anfrage verwenden. Selbstverständlich werden Ihre Daten vertraulich behandelt und nicht an Dritte weitergegeben. Sie können der Verwendung Ihrer Daten jederzeit widersprechen. Das Datenhandling bei Sack Fachmedien erklären wir Ihnen in unserer Datenschutzerklärung.