E-Book, Italienisch, 310 Seiten
Reihe: Narrativa
Magnason Il tempo e l'acqua
1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-7091-981-3
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 310 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 978-88-7091-981-3
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
L'Okjökull, un ghiacciaio che da tempi immemorabili si ergeva su quasi venti chilometri quadrati di suolo islandese, oggi è una misera striscia di ghiaccio inerte, e nei prossimi duecento anni potrebbero essere dichiarati morti anche tutti gli altri ghiacciai dell'isola. Ma prima di allora, sulla terra intera, i nostri figli e nipoti vivranno già in un ambiente molto diverso da quello di innumerevoli generazioni del passato: l'aumento delle temperature e del livello dei mari e lo stravolgimento chimico delle loro acque provocati dalle attività umane avranno distrutto ecosistemi millenari, potenziato uragani e inondazioni, eroso terre abitabili e coltivabili e costretto a migrazioni di massa le specie viventi, compresa la nostra. E allora perché restiamo immobili, o quasi? Forse perché quei cento o duecento anni non li sentiamo così vicini, e perché gli appelli allarmati degli scienziati sul «riscaldamento globale» o sulla «acidificazione degli oceani» non riescono a toccarci cognitivamente ed emotivamente: resteranno rumore bianco finché il passato collettivo, i miti, la fantasia non consegneranno loro un'anima, consentendoci di interiorizzarne un'immagine e un significato. È questo il compito che si è dato Andri Snær Magnason, un narratore che alla scienza e all'attivismo ambientale ha dedicato la vita. Intrecciando storie di famiglia, conversazioni future tra figlie e pronipoti, interviste al dalai-lama, incursioni nella poesia scaldica e in quella romantica, scoperte di nessi inaspettati, come quello tra Auðhumla e Kamadhenu, mucche ancestrali di mitologie tra loro lontane, Il tempo e l'acqua «racconta» i dati scientifici, li immerge nel patrimonio culturale comune per investirli di senso, e aiutarci a fare un piccolo passo più in là.
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Un piccolo libro, un grande tesoro
Mi sono laureato in Lettere all’Università d’Islanda nel 1997 e quella stessa estate lavorai all’Istituto di studi medievali Árni Magnússon. L’istituto aveva sede nell’Árnagarður, lo stesso edificio della mia facoltà, in Suðurgata, dietro una porta chiusa che per qualche motivo non avevo mai varcato in tanti anni passati lì. Era una soglia misteriosa, una specie di roccia degli elfi: circolavano storie su persone che, entrate in quel mondo, non erano tornate mai più. Là dentro era conservato il patrimonio della tradizione manoscritta del popolo islandese, e i ricercatori trovavano tutta la pace necessaria per studiare quel tesoro. Suonare il campanello all’ingresso era per me come far partire un allarme antincendio. Forse per questo non avevo mai osato farlo, fino al giorno in cui fui preso dal desiderio irrefrenabile di vedere cosa si nascondesse dietro la porta. Suonai quel campanello e mi fecero entrare.
Dentro trovai silenzio e penombra, un forte odore di libri antichi e una calma quasi opprimente per un ragazzo come me. In effetti mi sentivo un po’ a disagio, circondato com’ero da illustri codicologi e paleografi che avevano quasi tutti l’età dei miei nonni. Ancora più emarginato mi sentii al momento della pausa caffè, quando la conversazione cominciò a vertere intorno al dubbio se un tale Þorvaldur fosse stato nello Skagafjörður nell’estate dell’86. Non sapevo neanche se stessero parlando del 1186, del 1586 oppure del 1986, e alla paura di essere considerato poco istruito si aggiunse quella di non sapermi esprimere in buon islandese, di mostrarmi sia stupido che (o forse «sia»?) poco ferrato in grammatica.
D’estate avevo sempre lavorato all’aperto, che si trattasse di lastricare strade o curare spazi verdi pubblici, e compativo con tutto il cuore chi era costretto a starsene sempre chiuso in un ufficio. Così ogni tanto mi ritrovavo a guardare fuori dalla finestra i miei coetanei che in maniche di camicia falciavano l’erba dei prati dell’università, e con la mente vagavo lontano. Avevo uno zio biologo, John Thorbjarnarson, che mi aveva invitato ad accompagnarlo a studiare gli anaconda nelle pianure fluviali del Venezuela e a lavorare nella foresta amazzonica con un altro gruppo di ricercatori che censiva le uova di coccodrillo nella riserva di Mamirauá in Brasile. Mio zio dirigeva una squadra impegnata nella tutela del caimano nero (), un grande predatore dell’America del Sud.2 Durante l’anno il livello dell’acqua nella foresta pluviale varia di una decina di metri, e quindi avremmo alloggiato in palafitte. John mi aveva descritto così le condizioni: «Non è felicità da poco svegliarsi al mattino e sentire i delfini che cacciano lì, fuori dalla porta.»
Nello stesso periodo io e Magga avevamo scoperto di aspettare il nostro primo bambino: sarebbe stato da irresponsabile lanciarmi in quell’avventura. Si può dire quindi che mi ritrovai davanti a un bivio della mia vita. Alla fine il treno per il Venezuela partì senza di me: io rimasi alla stazione, senza sapere ancora se una seria carriera accademica o la solitudine della scrittura facessero per me.
Un giorno mi proposero di fare da guida a una mostra di manoscritti allestita nella saletta espositiva del primo piano. Gísli Sigurðsson, lo studioso che doveva occuparsi dell’esposizione, mi chiese di accompagnarlo nel seminterrato, fino a una massiccia porta d’acciaio. Prese tre chiavi e avvertii tutta la solennità del momento quando aprì la porta della cassaforte in cui si conservavano i manoscritti, il sacro cuore della storia culturale islandese. Ero circondato da venerandi cimeli. C’erano manoscritti di pergamena, i più antichi dei quali erano stati redatti intorno al 1100 e raccontavano di eventi accaduti in epoche più mitiche, e c’erano i manoscritti originali delle saghe islandesi dei cavalieri e dei re, e antichi libri di leggi. Gísli andò ad aprire un contenitore su una mensola. Ne tirò fuori un piccolo manoscritto e me lo porse con cautela.
«Che cos’è?» gli chiesi in un sussurro.
Non so perché sussurravo. Mi sembrava che lì dentro si dovesse fare così.
«È la , il dell’ poetica.»
Mi sentii tremare le ginocchia, ero abbagliato. Il dell’ poetica! Il più grande tesoro di tutta l’Islanda, forse anche di tutto il Nord Europa, la fonte principale della mitologia norrena, il manoscritto originale della , dell’ e della . Una delle maggiori fonti di ispirazione per Wagner, Borges e Tolkien. Mi sembrava di avere in mano Elvis Presley in persona.
Il manoscritto non aveva nulla di appariscente. Considerati il contenuto e l’influenza esercitata, mi sarei aspettato un bel volume dorato ed elegante, mentre in realtà era piccolo e scuro, quasi come un libriccino di formule magiche. Era antichissimo, eppure per niente raggrinzito, una bella pergamena scura e una grafia leggibile e molto semplice, tranne che per le poche maiuscole, e senza miniature. La più antica dimostrazione che non bisogna giudicare un libro dalla copertina.
Lo studioso aprì delicatamente il libro e mi indicò una lettera S molto chiara in mezzo alla pagina. «Leggi qui», mi disse, e io, decifrando a fatica i caratteri, riuscii a leggere: «S’abbuia il sole nel mare affonda la terra scompaiono dal cielo gli astri splendenti sibila il vapore con chi vita alimenta alta gioca la vampa col cielo stesso…»a
Mi corse un brivido lungo la schiena: era proprio il Ragnarök, il crepuscolo degli dei, la fine del mondo descritta nella profezia originale della . Le frasi erano tutte di seguito, senza la scansione in versi che invece si trova nelle edizioni a stampa. Ero in contatto diretto con chi aveva stilato quelle parole su un foglio sette secoli prima. Di colpo diventai ipersensibile all’ambiente intorno, avevo paura di tossire o di inciampare, mi sentivo perfino in colpa per dover respirare così vicino a quel volumetto. Forse in realtà non era affatto il caso, visto che per sette secoli quel manoscritto era stato conservato in umidissime case di torba, trasportato in casse a dorso di cavallo da una sponda all’altra di fiumi impetuosi e infine caricato su una nave nel 1662 e spedito in Danimarca come dono al re Federico III. Mi sentii travolgere dal senso del tempo. Parlavo praticamente la stessa lingua di chi aveva scritto quel libro. Avrebbe resistito altri settecento anni? Fino al 2700? La nostra lingua e la nostra cultura sarebbero sopravvissute così a lungo?
Il genere umano ha conservato poche delle sue antiche concezioni dell’universo, le idee sulle forze e sugli dei che governano l’universo, sull’inizio e la fine del mondo. Conosciamo la concezione del mondo greca, romana, egizia, buddhista. L’induista, la giudeocristiana, l’islamica e qualche frammento della rappresentazione del mondo degli aztechi. La mitologia norrena è una di queste; ecco perché il è più importante anche della . È da lì che viene quasi tutto ciò che sappiamo degli dei norreni, del Valhalla e del Ragnarök. Quel manoscritto è una fonte inesauribile di idee e di arte. Dalle sue pagine sono scaturite opere di danza contemporanea, gruppi di death rock e grandi produzioni hollywoodiane come della Marvel Comics, dove Thor e il suo amico Hulk affrontano il losco Loki, il gigante Surtur e il minaccioso lupo Fenrir.
Infilai il manoscritto nel piccolo montacarichi, lo mandai al piano di sopra e salii di corsa la stretta scala a chiocciola per andare ad accoglierlo. Lo posai delicatamente su un carrello, che spinsi per tutto il corridoio. Poi lo sistemai come un neonato prematuro in una teca di vetro che chiusi accuratamente a chiave.
Per tutta la settimana feci sogni angosciosi, in cui di solito mi trovavo in centro città e avevo perso il libro. Un giorno incontrai nel corridoio l’addetta alle pulizie con il suo carrello e immaginai subito una catastrofe culturale: il manoscritto che cadeva nel secchio dell’acqua e ne usciva lustro come una tabula rasa.
Il marketing non era il lato forte dei medievisti dell’Istituto Árni Magnússon, così passavo giornate intere in totale solitudine seduto accanto a quelle preziose reliquie, mentre i turisti correvano a visitare Gullfoss e Geysir. Certo, poter restare solo con la nostra era un privilegio, ma c’era anche altro, visto che oltre al erano esposte tutte le perle più preziose della nostra collezione: il manoscritto detto con le antiche leggi dello stato libero islandese, la con le principali saghe degli islandesi e la , duecento fogli di pergamena mirabilmente miniati. A volte rimanevo incantato davanti alle teche e cercavo di leggere il testo delle pagine aperte. Il era il più comprensibile, la scrittura era chiara e riuscivo a decifrare facilmente quelle parole antichissime: «Sono stato giovane un tempo, da...