Malabou | La Rivoluzione? Non c'è mai stata | E-Book | sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 232 Seiten

Malabou La Rivoluzione? Non c'è mai stata


1. Auflage 2025
ISBN: 978-88-3302-301-4
Verlag: Eleuthera
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 232 Seiten

ISBN: 978-88-3302-301-4
Verlag: Eleuthera
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



«La proprietà è il furto!» afferma Proudhon a pochi decenni dagli eventi rivoluzionari. Ma questa icastica affermazione è ampiamente travisata dai suoi contemporanei, a partire da Marx e dalla sua interpretazione economicista della storia. Il furto è infatti soprattutto un furto di memoria e di senso che cancella - occultandola sotto la retorica egualitaria - la nascita della proprietà privata e delle sue nuove tipologie di esclusi: quei proletari (all'interno) o quei colonizzati (all'esterno) che sono solo la versione moderna degli esclusi dell'Ancien Régime (i servi, ma non solo). In definitiva, il 1789 ha sì abolito i privilegi feudali, ma non la condizione servile, reintroducendo un sistema iniquo di distribuzione della ricchezza che ha vanificato una cruciale rivendicazione plebea: la fine delle disuguaglianze. E questo oblio sull'effettivo statuto del regime proprietario e delle dinamiche di dominio che lo sottendono si è non solo costantemente replicato, ma ha persino impregnato alcune critiche contemporanee della proprietà come la teoria dei beni comuni o gli stessi approcci decoloniali.

Catherine Malabou (Sidi Bel Abbès 1959), allieva di Jacques Derrida, oggi insegna filosofia presso il Centre for Research in Modern European Philosophy della Kingston University di Londra e presso la University of California di Irvine. Dopo aver approfondito il pensiero di Hegel, Heidegger e Derrida, ha rivolto il suo interesse anche al pensiero di Freud e alla psicoanalisi, nonché alle concezioni più originali della riflessione femminista. Autrice di numerosi saggi tradotti in varie lingue, in italiano sono usciti Cosa fare del nostro cervello (Armando 2008), Che tu sia il mio corpo (Mimesis 2017), Avvenire e dolore trascendentale (Mimesis 2019), Divenire forma. Epigenesi (Meltemi 2020), Metamorfosi dell'intelligenza (Meltemi 2021), Il piacere rimosso. Clitoride e pensiero (Mimesis 2022), Il trauma: ripetizione e distruzione? con Slavoj ?i?ek (Galaad 2022) e La plasticità al tramonto della cultura (Ortothes 2023). Con elèuthera ha pubblicato Al ladro! Anarchismo e filosofia (2024) e La rivoluzione? Non c'è mai stata (2025).
Malabou La Rivoluzione? Non c'è mai stata jetzt bestellen!

Weitere Infos & Material


capitolo primo

Sul diritto d’albinaggio

L’incertezza della condizione, la china tremendamente scivolosa per cui l’uomo libero diventa vassallo, il vassallo servitore, e il servitore servo, è il terrore del Medioevo e l’abisso della sua disperazione. Non c’è modo di sfuggire. Poiché chi fa un passo falso è perduto. Si è ubenati, derelitti, prede, servi, o si viene uccisi. La terra vischiosa trattiene il piede, fa presa come una radice su chi passa. L’aria contagiosa lo uccide, ovvero lo rende soggetto alla manomorta, un morto, una nullità, una bestia, un’anima da cinque soldi, e cinque soldi ne espieranno l’assassinio. Ecco i due grandi tratti generali, esteriori, della miseria del Medioevo, a causa dei quali si è venduto al Diavolo.

Jules Michelet, Légendes démocratiques du Nord 1

La proprietà è il diritto d’albinaggio: questo assioma sarà per noi come il nome della bestia dell’Apocalisse, nome in cui è racchiuso tutto il mistero di questa bestia. Sappiamo che chi riuscirà a penetrare il mistero di questo nome sarà in grado di comprendere l’intera profezia e sconfiggerà la bestia. Ebbene! Grazie a un’interpretazione approfondita del nostro assioma, uccideremo la sfinge della proprietà. Muovendo da un fatto così caratteristico, il diritto d’albinaggio, seguiremo le spire di questo vecchio serpente, enumereremo i grovigli assassini di questa spaventosa tenia, la cui testa, con le sue mille ventose, è sempre riuscita a sottrarsi alla lama dei suoi più acerrimi nemici, abbandonando alla loro mercé enormi sezioni del suo cadavere.

Pierre-Joseph Proudhon, Qu’est-ce que la propriété? 2

In queste riflessioni sulla proprietà, il potere e la condizione servile in Francia propongo di fare un tratto di strada insieme a Pierre-Joseph Proudhon, quanto basta per effettuare una lettura molto libera del suo capolavoro Qu’est-ce que la propriété? [Che cos’è la proprietà?]. Si tratta di vedere in cosa questo testo rimane indispensabile non solo per l’elaborazione di una critica contemporanea della proprietà privata ma anche – operazione indissociabile dalla precedente – per l’analisi della situazione politica francese oltre duecento anni dopo la Rivoluzione.

Secondo Proudhon, la Rivoluzione non c’è mai stata. Il 1789 ha abolito i privilegi solo in superficie e l’Ancien Régime ha continuato a strutturare la vita del paese, più o meno occultamente. Che cos’è la proprietà? viene scritto nel 1840 sotto la Monarchia di Luglio. Nel corso della sua vita, Proudhon (1809-1865) conoscerà il Primo Impero, la Prima Restaurazione (Luigi xviii), i Cento Giorni, la Seconda Restaurazione (Luigi xviii e Carlo x), la Monarchia di Luglio (Luigi Filippo), la Seconda Repubblica e l’inizio del Secondo Impero. Sarà quindi in grado di misurare, attraverso questi continui passaggi dalla monarchia alla repubblica, dalla repubblica all’impero, tutta l’ambiguità, se non l’oscurità, del lascito politico post-rivoluzionario, incapace di districarsi dalla ganga feudale3.

Nel suo libro, la critica della proprietà viene posta immediatamente in relazione con l’idea di un persistere tanto della feudalità quanto di uno dei suoi assi portanti, la «servitù», che nel diritto medievale si chiamava «condizione servile». Proudhon afferma che nel 1789 il popolo, convinto di affrancarsi da quella «condizione», «si è sbagliato» ed è così «ripiombato nel privilegio e nella servitù. Riproducendo l’Ancien Régime. […] Ci sono stati progressi nella concessione dei diritti, ma non c’è stata alcuna Rivoluzione»4.

In che misura questo discorso risuona ancora con forza nel tempo presente? È questa la domanda alla quale cercherò di dare risposta.

La sfida consiste soprattutto nel determinare il senso del termine «servitù» e la sua relazione con la proprietà. Fin da subito Proudhon ritiene equivalenti queste due domande: «che cos’è la proprietà?» e «che cos’è la schiavitù?». All’inizio del libro, dopo essersi domandato «che cos’è la proprietà?», dichiara immediatamente: «Se dovessi rispondere alla domanda ‘che cos’è la schiavitù?’, e rispondessi dicendo: è l’assassinio, il mio pensiero sarebbe subito compreso. Non avrei bisogno di un lungo discorso per dimostrare che il potere di togliere a un uomo il pensiero, la volontà, la personalità è un potere di vita e di morte, e che rendere schiavo un uomo significa assassinarlo. Perché allora non posso rispondere a quest’altra domanda: ‘che cos’è la proprietà?’ in modo simile, ovvero: è il furto, senza però avere la medesima certezza di essere compreso correttamente, benché questa seconda proposizione non sia altro che una trasmutazione della prima5. E poco oltre: «Ma non intendo farne una questione schematica: quello che chiedo è la fine del privilegio, l’abolizione della schiavitù, l’uguaglianza dei diritti, il regno della legge».

Perché mai la proprietà viene assimilata alla servitù? È questa la questione fondamentale che attraversa il testo. Questione difficile da far comprendere proprio perché è stata la stessa Rivoluzione a renderla tale. L’invenzione della proprietà privata – uno dei più importanti risultati rivoluzionari – non è forse un sinonimo di uguaglianza e libertà? Non ha posto fine alla dipendenza assoluta nei confronti dei signori, dei loro feudi e delle loro messe al bando? Non ha liberato i corpi dalle catene e dalla gleba?

Proudhon è irremovibile: la proprietà è solamente un altro nome del dominio. Da un regime all’altro, dal feudalesimo alla Rivoluzione, da un modo di intendere la proprietà a un altro, l’asservimento cambia fattezze ma continua a esistere. Ed è proprio con la Rivoluzione, con il «cambiamento», che la realtà della condizione servile viene al tempo stesso giustificata e offuscata da un furto. La proprietà privata è innanzitutto un furto di memoria e di senso che trasforma l’asservimento – immemore e persistente – in una garanzia di emancipazione. Proudhon affronta questo problema specifico, evidenziando per la prima volta la peculiarità della critica anarchica della proprietà rispetto a tutte le altre: senz’altro rispetto a quella di Marx, ma anche, a posteriori, rispetto a quelle dei contemporanei. «Io sono anarchico»6, infatti conclude.

Non è affatto certo che questa peculiarità sia stata analizzata con tutta l’attenzione che esige. Ne consegue che non è affatto certo che la celebre affermazione «la proprietà è il furto!» sia stata ben compresa. Limitata a una prospettiva strettamente e ingenuamente economica, non è mai stata considerata nella sua vera dimensione politica di spoliazione della memoria. Infatti, Che cos’è la proprietà? intende esplorare le strutture del dominio moderno in quanto legittimazione di un processo di oblio.

«Proprietà» e «proprietà privata»

Tuttavia, non è così ovvio stabilire un rapporto diretto fra proprietà privata e permanenze feudali nella Francia rivoluzionaria. Di certo, il concetto giuridico di «proprietà privata», talvolta detta anche «proprietà assoluta», vede la luce solo dopo il 1789.

Il senso giuridico ed economico dell’espressione sarà fissato un po’ più tardi dall’articolo 544 del Codice civile: «La proprietà è il diritto di godere e di disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso proibito dalle leggi o dai regolamenti».

Proudhon impiega indistintamente «proprietà» e «proprietà privata» nei due contesti, pre e post-rivoluzionario. Perciò per lui «proprietà» significa sia «proprietà privata» nel senso storico assunto successivamente dal termine, sia proprietà feudale, indissociabile dall’edificio politico della signoria e della monarchia. E così porta allo scoperto una continuità fra le due «proprietà», che giuridicamente ed economicamente non avrebbero nulla a che vedere l’una con l’altra. È la visione paradossale di questa unità nella rottura a strutturare l’insieme dei successivi sviluppi.

Proudhon analizza la «proprietà privata» propriamente detta nella parte «economica» del libro, che comprende i capitoli iii e iv e riguarda il lavoro e la spoliazione-sfruttamento dei proletari. Mentre il capitolo i prende le mosse dal significato feudale della proprietà7, che per tutto il resto dell’opera lavora in maniera sotterranea, come una partitura di basso continuo.

Obiezione di Marx: definire la proprietà come furto presuppone l’esistenza della proprietà

La coesistenza asimmetrica fra le due...



Ihre Fragen, Wünsche oder Anmerkungen
Vorname*
Nachname*
Ihre E-Mail-Adresse*
Kundennr.
Ihre Nachricht*
Lediglich mit * gekennzeichnete Felder sind Pflichtfelder.
Wenn Sie die im Kontaktformular eingegebenen Daten durch Klick auf den nachfolgenden Button übersenden, erklären Sie sich damit einverstanden, dass wir Ihr Angaben für die Beantwortung Ihrer Anfrage verwenden. Selbstverständlich werden Ihre Daten vertraulich behandelt und nicht an Dritte weitergegeben. Sie können der Verwendung Ihrer Daten jederzeit widersprechen. Das Datenhandling bei Sack Fachmedien erklären wir Ihnen in unserer Datenschutzerklärung.