Milkova | Storia delle prime volte | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 91 Seiten

Reihe: Amazzoni

Milkova Storia delle prime volte


1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-6243-548-2
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 91 Seiten

Reihe: Amazzoni

ISBN: 978-88-6243-548-2
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Una giovane dottoranda bulgara cerca casa e sé stessa a Berkeley. Una traduttrice arriva a Torino per incontrare lo scrittore che sta traducendo. Uno studioso toscano dialoga di letteratura italiana con una straniera mentre un treno lo porta a Roma... Dieci racconti che tratteggiano le identità nomadi e cosmopolite di personaggi sempre in transito tra lingue, culture e territori; la mappa emotiva, linguistica e letteraria di un viaggio fisico e intellettuale tra l'Europa dell'Est, l'Italia e gli USA. Scritto in italiano da un'autrice di madrelingua bulgara che abita in un paese anglofono, il libro affronta tematiche sempre più urgenti nel mondo globalizzato: il multilinguismo, la traduzione del sé, l'emigrazione, l'ottica del forestiero, l'appartenenza linguistica e culturale, la nostalgia. Storia delle prime volte è anche il dialogo di Stiliana Milkova con la letteratura italiana contemporanea.

Nata e cresciuta in Bulgaria, tra le sue pubblicazioni vi sono la monografia Elena Ferrante as World Literature, numerosi saggi sulla letteratura italiana, russa e bulgara, diverse traduzioni letterarie e articoli per riviste e giornali. Attualmente è professoressa associata di Letterature comparate presso l'Oberlin College (USA).
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VIA DELLE PUTTANE


È sorpresa di trovare l’appartamento prenotato su internet proprio così com’era nelle foto – un loft elegante nella zona pedonale del centro storico di Torino. Per raggiungere l’appartamento si passa prima per una corte ampia e luminosa e poi si sale fino al terzo piano. I due balconi della casa e le finestre danno da un lato sul cortile, dall’altro sui tetti del quartiere. È il posto perfetto per il suo soggiorno in questa sconosciuta città settentrionale. Disfa la valigia e dopo un quarto d’ora è già in strada. Vie dritte, palazzi dalle facciate graziose, suoni di campanelli e di tram, e poi all’improvviso la luce abbagliante di mezzogiorno e lo spazio vasto di piazza Castello. Si sente leggera e veloce – le scarpe nuove non le danno fastidio. Via Po si apre a sinistra e da lì la cupola della chiesa della Gran Madre e, oltre, le colline verdi che scintillano al sole. Cammina a lungo sotto i portici, poi attraversa i vicoli in penombra, stretti e lunghi. Infine torna indietro e si incammina verso via Giuseppe Barbaroux.

Deve organizzare un po’ il lavoro, mettere a posto tutti gli appunti, ripercorrere di nuovo le domande che ha meticolosamente ordinato in un file. Da mesi traduce un libro, e a cena incontrerà l’autore, che non risponde mai ai quesiti che gli pone da lontano, dal Michigan. Ma stasera gli rivolgerà tutte le domande che si sono accumulate nel tempo e che sono diventate ancora più urgenti sotto la pressione della casa editrice.

Tornata all’appartamento apre il computer e lavora per un po’ al tavolo in sala da pranzo, davanti a una portafinestra che dà sul cortile. A un certo punto alza lo sguardo e vede un gatto bianco seduto sul balcone di fronte. Lo ha già notato nel cortile, sdraiato per terra al sole, ma adesso a quanto pare è tornato a casa anche lui e la osserva incuriosito. Maschio o femmina? Non è in grado di dirlo. Esce sul balcone per vedere meglio. Ha gli occhi giallo-verdi, è magro. Dopo qualche minuto rientra chiudendo le imposte.

Decide di fare la doccia per sciogliere la tensione e schiarirsi un po’ le idee. L’acqua calda la rilassa togliendo le tracce fisiche e psichiche di un lungo giorno di viaggio. Poi si cambia per la cena. Sceglie un vestito rosso, sobrio e poco scollato: le piace il contrasto con i capelli biondo scuro raccolti in un codino. Non si trucca apposta. Squilla il cellulare – un messaggio da S., l’autore – sta arrivando in via Barbaroux. Ha letto molto di lui, la affascina il suo pensiero. S. è un critico letterario poco noto all’estero e proprio per questo ha scelto di tradurre uno dei suoi libri, quello che considera più adatto al pubblico accademico anglofono. Ha quasi finito la prima stesura, ma per proseguire ha bisogno di risolvere alcuni dubbi, le serve il parere di S. Al tempo stesso, non vuole perdere il controllo su un testo di cui ormai si è impossessata, rielaborandolo con tanta attenzione e fatica.

Prima di uscire si guarda allo specchio: sembra sofisticata, perfino affascinante. Pensa che tanto il suo aspetto è indifferente, S. è molto più grande di lei, anzi lo immagina anziano (anche se sa quanti anni ha), e comunque è venuta a Torino per trovare risposte, non avventure. Mette nella borsa il taccuino pieno di appunti e scende. A malapena contiene l’emozione. Sta per incontrare una persona che l’ha influenzata più di quanto sia pronta ad ammettere, che ha determinato il percorso della sua carriera accademica e l’ha indotta a cominciare questo progetto folle di traduzione abbandonando un libro scritto a metà. Ma la verità è che ha bisogno di una pausa creativa, è alla ricerca di nuove idee e ispirazioni. E così il libro di S. le ha concesso una libertà intellettuale diversa da quella che conosce. E adesso che sta per incontrare la persona a cui si è ispirata deve per forza sembrare composta e seria. Rimuove il sorriso dalla faccia, si impone una maschera inespressiva.

Lui la aspetta davanti al portone. È alto, dal fisico asciutto e agile, i capelli brizzolati. Malgrado le rughe profonde intorno agli occhi, non sembra affatto anziano. Sorride mentre le stringe la mano, dice che è stupito dalla traduzione, che le è grato e vuole aiutarla ma non sa come. La colpiscono l’energia e la leggerezza che sprigionano dallo sguardo, dalla voce, dal corpo, dalla mano che tiene ancora la sua. È lui il critico letterario il cui pensiero ha segnato la sua scrittura e il cui linguaggio ha plasmato il suo? È questo il serio studioso che è venuta a intervistare? S. ne intuisce l’esitazione, cambia tono e comportamento. Diventa più rigido, smette di sorridere, si trasforma nella persona che lei ha immaginato. Contenta di vedere le proprie aspettative confermate, la traduttrice gli parla subito dei punti che vuole ripercorrere insieme, dei concetti che lui ha articolato nei suoi libri.

Al ristorante arrivano a piedi, nemmeno nota come, tanto è assorta nel discorso da studiosa capace e ambiziosa. Ragiona, espone idee e approcci, sempre mirando a convincerlo delle proprie capacità intellettuali e linguistiche, mentre lui la ascolta, educato e attento ma con un sorriso vagamente ironico. Più S. tace, più lei si appassiona. Quando la interrompe per chiederle cosa vorrebbe ordinare, esce di scatto dalla trappola in cui si è infilata e si guarda intorno. Un ristorante di cucina piemontese, elegante ma non opprimente. Vede S. che la fissa divertito. Ha gli occhi verdi – o forse nocciola? La luce soffice non le permette di distinguere il loro colore. E lei, che fino a quel momento ha tenuto le redini della conversazione, all’improvviso cede. Gli chiede di ordinare per entrambi. Capisce che deve cambiare strategia, che il suo monologo colto è noioso. Ma qual è l’approccio giusto, allora? Se vuole accesso al pensiero di S. deve improvvisare.

Una bottiglia di vino più tardi è rilassata, si diverte. Comincia a fargli domande, a interrogarlo sul suo lavoro ma senza l’aggressività di prima. Gli chiede se possono darsi del tu.

Gli domanda come ha concepito il libro sull’ottica del viaggio. S. le spiega il concetto dello sguardo del turista, o dello straniero, che percepisce la realtà attraverso una cornice prestabilita. In altre parole, il turista sa che cosa sta per incontrare, si è fatto un’idea di quello che vedrà – un’idea sempre mediata, mai diretta. Poi le chiede cosa sapeva di Torino prima di arrivarci. Come se la immaginava?

E lei racconta che ha visto qualche film, ha letto alcuni libri di Fruttero e Lucentini. Conosce anche due romanzi di Amara Lakhous che parlano di una Torino contemporanea, vivace, multietnica.

Le chiede ancora come ha visto la città quando è arrivata, se è stata influenzata da ciò che ha già letto. Lei risponde che all’inizio ha visto quadretti da cartolina, una città dall’architettura regale e dai viali magnifici, composta di spazi enormi e di facciate imponenti. Poi ha notato i vicoli nell’ombra, le strade strette, il mercato con i suoi negozi puzzolenti di pesce e di carne, con le sue mille bancarelle e ha avuto l’impressione che ci fosse una Torino nascosta, oscura, intensa e incostante. E allora il suo sguardo è cambiato, si è fatto mobile, promiscuo.

Cosa ne pensa lui di questi punti ciechi, dello sguardo promiscuo, vuoto o svuotato, senza premesse né cornici? Dibattono con imprevista intensità. Ordinano un’altra bottiglia di vino.

Dopo cena S. la porta a vedere il Po. Sopra il ponte si vede la luna, piena e luminosa. Intorno dormicchiano i palazzi scuri. Alcune finestre sono aperte per raccogliere l’aria che sa di primavera. È stanca ma contenta. Hanno trovato il tono giusto, almeno a lei sembra così. Hanno parlato del libro, della traduzione, di punti cruciali e di punti secondari e nell’arco di tre ore hanno stabilito un rapporto che promette ottimi risultati. Si gode la passeggiata mentre lui le parla di Torino, dell’infanzia trascorsa in un quartiere poco lontano, le mostra i locali che frequenta, affacciati al fiume, vuole portarla lì nei giorni seguenti. E poi la direzione della conversazione cambia.

S. le fa domande sulla sua infanzia, sugli studi, sul lavoro. È credente? Perché ha imparato l’italiano? Dove abita la famiglia? Ha un fidanzato? Lei gli racconta un po’ di sé, ma intanto l’aria è diventata più fredda, tira un vento deciso che entra sotto i vestiti, la fa tremare. Lui se ne accorge, si scusa e tornano indietro camminando a passo svelto per un quarto d’ora. La accompagna a casa e la lascia sotto il portone, dandole appuntamento per pranzo il giorno dopo.

A casa lei si toglie l’abito mentre pensa che nell’arte visiva occidentale Maria Maddalena viene sempre rappresentata in un vestito rosso o avvolta in una stoffa rossa – il marchio della sua promiscuità, il colore della seduzione ma anche del sangue. Ricorda una mostra a Palazzo Barberini a Roma sullo scarlatto veneziano. Con queste immagini in testa si inabissa nel letto.

Crede che il sonno arriverà subito e invece pensieri e sentimenti la inondano con repentina insistenza. Domande che non gli ha fatto, domande che invece gli ha fatto, risposte, voci, odori, sapori. All’improvviso vede le sue mani – pallide con le dita lunghe. C’è stato qualcosa di inquietante nei suoi gesti, lenti e sensuali, gli occhi di S. l’hanno turbata – le sono parsi al tempo stesso feriti e trionfanti.

Si sveglia verso le sette accecata dal sole che entra dalle finestre – ha dimenticato di chiudere le persiane. Le lenzuola le appaiono più bianche. Si alza, ancora assopita, e gira a piedi nudi per l’appartamento bagnato di luce. Esce sul balcone e scruta il cortile – un secchio verde al centro, una macchina parcheggiata accanto al cancello, il gatto non si vede...



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