E-Book, Italienisch, 208 Seiten
Reihe: Supereconomici Voland
Ovejero Come sono strani gli uomini
1. Auflage 2016
ISBN: 978-88-6243-349-5
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 208 Seiten
Reihe: Supereconomici Voland
ISBN: 978-88-6243-349-5
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Nato a Madrid nel 1958, è vissuto in Germania e poi a Bruxelles, dove risiede attualmente, conciliando per lungo tempo il lavoro di interprete con quello di scrittore. La sua produzione letteraria comprende vari generi: sia racconti, Cuentos para salvarnos todos (1996) e Come sono strani gli uomini (Voland 2003), che romanzi, fra cui Nostalgia dell'eroe (Voland 2005) e Huir de Palermo (1999). Vanno menzionati anche i libri di viaggio, Bruselas (1996) e Cina per ipocondriaci, quest'ultimo insignito del premio Grandes Viajeros nel 1998 (uscito in italiano per Feltrinelli). Con la raccolta di poesie Biografía del explorador ha vinto il premio Ciudad de Irún nel 1993. È stato anche insignito del prestigioso premio Primavera per il romanzo La vita degli altri (Voland 2008). I suoi libri sono tradotti in francese, tedesco, portoghese e olandese. http://www.ovejero.info/
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IL PESO DELLE ORE
Con insolita fretta – talmente eccessiva che Joaquín rimase a fissarla sconcertato senza decidersi a uscire – gli mise il soprabito sul braccio, la ventiquattrore in mano, gli diede l’immancabile bacio e con una spinta nervosa lo accompagnò alla porta. Aspetti qualcuno? chiese Joaquín sulla soglia, un po’ scherzoso.
Che scemo, rispose lei, un po’ seria. È che se non ti sbrighi arriverai tardissimo.
Carmen lo vide guardare l’ora e stringersi nelle spalle.
Ma se ho ancora un sacco di tempo.
Un lampo di sospetto gli balenò negli occhi. Vabbè, se mi cacci, mi sa proprio che dovrò andarmene. E finalmente la porta che si chiudeva, scongiurando il pericolo.
Le tre meno dieci. Carmen si lasciò cadere sul divano, abbandonando il contegno che aveva dovuto tenere nell’ultima ora. Cominciò a piagnucolare. Il tempo le era sembrato eterno; non aveva mai odiato tanto la sciocca flemma di Joaquín, quel suo modo pigro di vagare da una stanza all’altra senza uno scopo preciso, parlando di sciocchezze, non so se papà verrà a passare il fine settimana da noi e, se non ti dispiace, inviterò anche mio fratello, è un sacco che la famiglia non si riunisce, però ti prego, cerca di essere un po’ più gentile dell’ultima volta, sei stata davvero impossibile, questo maledetto cassetto si chiude male, ricordami di passare un po’ di grasso sulle guide, mi sa che i Villanueva se ne vanno, c’è un camion dei traslochi fermo davanti a casa loro, ehi, qui ci sono solo cinque tazzine, non dirmi che ne hai già rotta una. Quella tiritera insensata, che già di per sé la faceva andare fuori dai gangheri, quel giorno le sembrava davvero insopportabile, dal momento che erano quasi le tre e Joaquín era ancora lì – in genere, mangiava a scuola e il fatto che si fosse presentato a mezzogiorno, senza avvertire, l’aveva colta del tutto impreparata – e temeva che, da un momento all’altro, potesse accadere l’inevitabile, che il telefono squillasse prima che Joaquín fosse uscito, e lui ascoltasse la conversazione – o meglio, il suo silenzio – dopodiché l’avrebbe torturata di domande, chi è, cosa dice, da quanto tempo va avanti, che voce ha, perché non me l’hai detto, e così via, giorno dopo giorno, notte dopo notte quell’assillo, l’implacabile ruminio del cervello di Joaquín, e ancora domande, magari per anni, perché Joaquín non dimentica mai nulla, neppure i dettagli più insignificanti – i compleanni di tutti i suoi amici, a chi presta ogni singolo libro, che Mariapi l’estate scorsa si è portata via un vassoio e non l’ha ancora restituito, bisognerà dirle qualcosa – per tutto questo Carmen era terrorizzata dalla possibilità che Joaquín venisse a saperlo, e da qui l’ansia, la disperazione nel vedere che non se ne andava e, una volta rimasta sola, il pianto che aveva sciolto l’inquietudine.
Le tre e venti. Carmen non piangeva più. Sorvegliava attentamente il telefono, quella belva silenziosa: la sua calma, la sua apparente indifferenza erano solo uno stratagemma. Sarebbe bastato distoglierne lo sguardo un attimo perché l’assalisse a tradimento. Non aveva senso mettersi a fare le pulizie o a cucire bottoni, e neppure accendere la televisione, tanto ogni minuto i suoi occhi sarebbero tornati lì e ogni rumore l’avrebbe fatta trasalire: era meglio aspettare senza fare niente. E poi la telefonata sarebbe arrivata da un momento all’altro; l’unico aspetto positivo era forse la puntualità, la certezza che l’incubo si sarebbe ripresentato fra le tre e le quattro, consentendo al resto della giornata di scorrere in modo relativamente tranquillo.
Erano le tre e mezzo quando il telefono iniziò a squillare spaventando Carmen, che nel frattempo si era persa dietro ai suoi pensieri. Come al solito aspettò che lo squillo si ripetesse sei o sette volte, nella speranza – sempre vana – che chi chiamava si pentisse all’ultimo momento e le concedesse un giorno di tregua. Il telefono continuò a suonare. Carmen sollevò la cornetta, rassegnata: Pronto? disse con voce tremante, desiderosa di sentire una voce diversa da quella roca e forzata di sempre, che invece ha già iniziato la sua solita litania quasi invariabile, che comincia a confessarle la sua passione, che ha preso a descriverle, con sorprendente precisione, come s’immagina il suo corpo nudo, e l’avverte, in tono confidenziale, che glielo infilerà dentro ben bene, ed è allora che Carmen inizia a strillare: Chi è lei? Mi lasci in pace! Ma lui prosegue imperterrito a raccontarle come se la immagina, tutte le notti, distesa sul letto, sudata, nuda, mentre le mordicchia i seni, descrivendole il piacere che prova vedendo che lei lo ricambia prendendogli il membro tra le mani, tra le labbra, chi è lei? perché mi tortura così? ma l’uomo si perde in un rumoroso orgasmo e allora Carmen riaggancia, piangendo forte e chiedendo insistente, a chi ormai non può più sentirla, chi è e perché la tormenta a quel modo.
Dopo, come sempre, quella rabbia, quella sensazione di impotenza che Carmen sfogava a volte scagliando a terra un piatto o un vaso, oppure scaraventando giù dagli scaffali intere file di libri, che si andavano a schiantare sul pavimento; poi si affrettava a rimettere ogni cosa al suo posto, prima del rientro di Joaquín.
Ma niente riusciva a tranquillizzarla. Carmen tremava, odiandosi per le reazioni del proprio corpo e per la loro persistenza: l’inturgidimento dei capezzoli e quella specie di tensione tra le gambe che comparivano, indipendentemente dalla sua volontà, quando sentiva parlare dei suoi seni, della sua – e la parola la nauseava – fica, quando ascoltava i gemiti di piacere di quell’essere ripugnante che si appropriava del suo corpo per lordarlo, facendole venire voglia di graffiarsi, di farsi a pezzi, per cancellare dalla propria immaginazione quelle mani che la esploravano dall’alto in basso incuranti della sua resistenza, per allontanare dal viso quella bocca piena di bava.
Mentre lavava il pavimento con impeto esagerato, Carmen dovette mettersi a cantare a squarciagola per sopraffare l’altra voce, quella che le continuava a risuonare in testa con quel modo di pronunciare il suo nome, di costringerla a prendere parte alle sue fantasie immaginandosela attiva, sì, Carmen, così, sì, sì, Carmen...
Quando Joaquín rientrò a casa, trovò la moglie che cantava ancora. Sei proprio allegra oggi. C’è qualcosa da festeggiare? No, niente. Non posso essere allegra così, solo perché mi gira bene? Certo, cara.
Avrebbe voluto che Joaquín le dicesse che era stanco e che andava a letto senza cenare. Desiderava restare sola prima possibile per potersi abbandonare alle proprie solitarie elucubrazioni senza dover controllare ogni gesto e sentirsi addosso la muta vigilanza del marito. Prima però le toccò ascoltare le lamentele e la lunga lista di soprusi che, come di consueto, lui riportava a casa da scuola: l’intrinseca cattiveria degli studenti, la loro irrimediabile ignoranza, e non solo, c’erano anche l’invidia di Carvajal, lo stipendio che ritardava, e due per tre che anche quel giorno faceva sei. Poi, come se non bastasse, alla televisione davano un film di Henry Fonda, che a Joaquín piaceva un sacco. Era ormai quasi mezzanotte quando lui si alzò, sbadigliò assente, bene, per oggi è tutto, e annunciò che andava a dormire, per favore spegni le luci prima di coricarti.
Joaquín era appena uscito dal salotto e già Carmen era tornata a chiedersi: chi sarà? Aveva compilato una piccola lista di sospettati e tutte le sere la ripassava mentalmente, modificandone la graduatoria a seconda che nuovi indizi suggerissero una maggiore o minore probabilità di colpevolezza. All’ultimo posto c’era lo stesso Joaquín, ma in realtà l’aveva praticamente scartato: solo che all’inizio l’aveva colpita il fatto che il pervertito non telefonasse mai quando lui era in casa. L’aveva incluso per questo, e forse anche per il piacere segreto di immaginarlo ridotto a fare sconce dichiarazioni per telefono, costretto all’anonimato per dare voce a ciò che i suoi principi morali gli negavano. Ma Carmen avrebbe senz’altro riconosciuto la voce del marito, per quanto lui si fosse sforzato di mascherarla. Eppure non si rassegnava a cancellarlo dalla lista. Non si sa mai con questi bacchettoni, diceva a sé stessa, maliziosamente divertita da un’accusa quasi certamente infondata.
Un sospetto più verosimile era invece Julio, il vicino dell’appartamento di fronte. Del resto godeva di un posto d’osservazione privilegiato che gli consentiva di controllare tutti gli spostamenti di Joaquín. Senza contare l’aura inquietante che lo circondava, originata forse dal contrasto tra il suo modo elegante di vestire e la barba e i capelli incolti. Joaquín diceva che un tipo con occhiaie simili non poteva essere una persona per bene. Tuttavia non erano le occhiaie di Julio a infastidirlo, Carmen lo sapeva benissimo, bensì il fatto che, incontrandoli per strada, lui si fermasse ogni volta a salutarli e sorridesse a lei in maniera sfrontata. Che faccia tosta, a me nemmeno mi guarda, si lamentava Joaquín. E non sapeva – e Carmen non aveva nessuna intenzione di dirglielo – che in sua assenza il sorriso di Julio si faceva ancora più esplicito ed era spesso accompagnato da una strizzatina d’occhio. Malgrado questi indizi, però, Carmen non riusciva a credere che l’anonimo pervertito e Julio fossero la stessa persona. No, Julio aveva una voce così effeminata che non era possibile trasformarla in quel modo. Peraltro il maniaco aveva un leggero accento sudamericano, anche se poteva essere finto, una pista falsa per coprire la vera identità...




