Sironi | Nevica ancora | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 190 Seiten

Reihe: Impronte

Sironi Nevica ancora


1. Auflage 2025
ISBN: 978-88-32159-76-9
Verlag: Todaro Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 190 Seiten

Reihe: Impronte

ISBN: 978-88-32159-76-9
Verlag: Todaro Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Nevica il giorno in cui Flaminia riceve l'inattesa visita di Arnel Villaluna, storico vicino di casa filippino. Poco è cambiato nella vita dei fratelli Malesani: Flaminia è sempre affaccendata nella sua frenetica quotidianità, Massimo continua a essere un detective più dedito all'adescamento di femmine facoltose che all'attività d'investigatore. Eppure, è a lui che, dopo mesi di esitazioni, Arnel ha deciso di chiedere aiuto per ritrovare la moglie Evelyn, scappata di casa senza spiegarne le ragioni. Nello svolgersi delle indagini, si avvicendano personaggi eterogenei, il presente s'intreccia con il passato. Flaminia fatica a districarsi tra testimonianze contraddittorie e confidenze parziali, finché il caso sfocia nell'orrore di un delitto e diventa urgente per Massimo capire tutto quello che si cela dietro la sparizione di Evelyn Villaluna.

Paola Sironi, nata nel 1966 a Milano, vive nell'hinterland milanese e attualmente è analista funzionale presso una società di credito. Autrice di 8 romanzi, ha esordito nel 2010 con la serie dedicata ai fratelli Malesani: Bevo grappa, Nevica ancora, Il primo a uccidere, Gelati dagli sconosciuti. Dal 2018 dedica i suoi romanzi alla squadra 'Desbrujà rugne' della Questura di Milano: 'Donne che odiano i fiori' 2018, 'Sotto scorre il fiume' 2020, 'I giorni dell'illusione' 2022 e nel 2024 'La morte è una stella cadente'. È inoltre autrice della commedia teatrale La staffetta perenne, rappresentata nel 2017.
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1


Arrivo a casa stremata dalle code e dalle cinque rampe di scale a piedi, inevitabili per chi vive al quinto piano di un palazzo con l’ascensore perennemente guasto. Però, mi sento sollevata: chiudo la porta con la sensazione liberatoria di aver lasciato ogni pendenza alle spalle. Mi dirigo verso il letto, sbottonandomi il giaccone. Sento gli anfibi stridere ancora, come nostalgici della neve bagnata.

L’iniziale fruscio si trasforma in un sospetto sciacquio.

Ci metto qualche secondo a realizzare, cercando vanamente di negarmi la realtà.

Poi cedo a guardare per terra: un rivolo d’acqua, che parte dalla porta della cucina, percorre metà del corridoio.

No!

Ci sono giorni in cui la tecnologia si ribella, accanendosi contro di te. Lo fa scientificamente, ti tende l’agguato quando sei più debole e tutto quello di cui sei abituato a servirti con noncuranza ti abbandona con sistematica continuità.

Apro timorosa la porta della cucina: c’è un lago alto un dito.

Oggi è proprio uno di quei giorni.

Non c’è neanche bisogno di spegnere la lavapiatti, ha finito il suo ciclo e il disastro è ormai compiuto. Mi sento impotente, vittima di una cospirazione superiore alle mie possibilità.

A questo punto, mi arrendo: lascio sfogare il dolore che preme con forza sui miei occhi.

Ma evidentemente non mi vogliono neanche lasciare il tempo per una doverosa crisi isterica: già suona il campanello, insistente, non promettendo nulla di buono. Mi asciugo gli occhi con le mani e vado ad aprire, sporcando così la metà del corridoio che si era salvata.

– Eccheddiavulo state facendo, signurì? Che, devo chiamare i pompieri che ci sta cadendo il soffitto sulla testa?

La signora Nisticò, amabile vicina del piano di sotto, paonazza e ansimante, per aver trasportato su una rampa di scale i suoi novanta chili per un metro e mezzo di altezza scarsa, è il colpo di grazia. Sarei tentata di risponderle: “Che?” Ma mi freno: mi ricordo che il multietnico è il bello di vivere in una casa popolare.

– Mi scusi, signora. Si deve essere rotta la lavapiatti, sono appena arrivata. Adesso asciugo.

– Macchè asciugare e asciugare, tutto il muro mi si guastò. Non bastavano la musica alta e le porcherie di tuo fratello, quello che torna sempre alle tre di notte con qualche donnaccia, che ne ha pure sempre una nuova. Quello… Come si chiama?

– Massimo?

– Sì, quello! Che si sente tutto, sai? Che mio marito, che pure è malato, sempre s’arrabbia e lo devo tranquillizzare che sennò mi muore di crepacuore. E gli dico: calmati, poverini, lo sai che hanno perso la mamma e pure il papà in quel brutto incidente. Non è tutta colpa loro. Lui allora s’intenerisce, perché è buono. Ma io non posso fare questa vita, che neppure io sto mica tanto bene, sai?

– Che?

– Ecchi lo paga adesso il muratore? Con quello che costano oggi, che poi sono tutti stracomunitari e non parlano neanche l’italiano!

Non capisco se il problema è chi paga o gli ‘stracomunitari’ che non parlano l’italiano.

La signora Nisticò, con tutta la sua delicatezza, mi sta facendo tornare il magone, ma mi sforzo di tranquillizzarla.

– Adesso chiamo mio fratello, non si preoccupi per il muro, ci mettiamo d’accordo.

– Che poi vengono tutti qua questi stracomunitari. Impresa inutile, ha trovato una vena poetica e non può più fermarsi.

– E chi li ha chiamati? – continua imperterrita. Io no, giuro. Anche se a questo punto un po’ mi dispiace.

– E lo sai perché vengono qua?

– No – l’assecondo, mi sembra l’unica possibilità di scampo.

– Perché qua mica li mettiamo in galera, come al loro Paese. No, qua gli diciamo: prego, rubate, violentate pure le nostre donne. – Mi squadra dalla testa ai piedi. – Che, non hai paura tu?

– A dire il vero, credevo che la maggior parte delle violenze sessuali si consumassero in famiglia.

La signora Nisticò si acciglia, punta lo sguardo oltre il corridoio, verso lo studio dove dorme Massimo, dilata le narici come per annusare l’aria e poi mi scruta sospettosa.

Divento rossa senza motivo. Accidenti, no, non volevo dire questo: non è così! Cerco un modo per venirne fuori, ma lei è già ripartita.

– Ma non l’avete la televisione voi? Come no? Lo sento, sai, quando guardate la partita: crollano i muri. Tutta la casa mi si agita, manco il terremoto. Non sentite cosa dicono degli stracomunitari…

Si ferma finalmente, si guarda intorno guardinga e abbassa di nuovo la voce: – Bisogna stare attenti, lo sai che qua ce ne sono tanti di stracomunitari venuti a rubarci le case. Meglio parlare piano. – Mi avvicina pericolosamente la bocca all’orecchio e sussurra: – Capaci che ci mettono pure le bombe.

Sarà che sono tanto provata, ma, ispirato dalle ultime parole della signora Nisticò, il cervello mi gioca un brutto scherzo e ripesca da qualche parte l’immagine di un’autostrada squarciata.

Lei intanto fa una debita pausa, prima del momento di riflessione intellettuale: – Come hanno fatto in America.

Quell’immagine. Di quell’autostrada, così distrattamente dimenticata. Una delle tante.

Non resisto: – Sono venticinque anni che vivo in questo Paese, signora. E tutte le bombe che ricordo le hanno messe gli italiani.

Mi fermo a riflettere anch’io e bisbiglio come lei: – Sia dopo, sia prima che nascessi.

– Che?

– Mi scusi, ma devo asciugare. Le mando mio fratello. Un groppo mi attanaglia la gola. Le chiudo la porta in faccia. Non ce la faccio: così è davvero troppo!

– Pronto, Fabio? Non volevo disturbarti in vacanza, ma è successo un disastro – singhiozzo. – Non so cosa fare, Massimo non mi risponde, Valerio non so dove sia finito, sono malata, la casa è allagata, l’automobile di Massimo ha la batteria scarica, nevica e la signora Nisticò è incazzata nera con noi perché le piove in casa… Mi avete lasciata sola in questo disastro, cazzo!

– Ma quale disastro? Ti vuoi dare una calmata, per favore. Non capisco niente!

Scoppio a piangere: – Calmarmi? E come faccio? La lavapiatti si è rotta, non so perché, ma c’è acqua dappertutto e dovrei stare a letto, perché stanotte mi sono sentita male. Non so cosa fare.

Ho il cellulare appoggiato tra guancia e spalla. Lancio asciugamani per la cucina, mentre cerco un po’ di maschile conforto. Impresa notoriamente difficile.

– Va bene, dai. Non mi sembra così grave. Tanto domani torno. Adesso chiamo Massimo e gli dico di venire subito a casa. Tu stai tranquilla intanto. Mettiti a letto. Ma come hai fatto a rompere la lavapiatti?

Appunto.

– Non ho rotto la lavapiatti, si è rotta da sola e ti ho detto che Massimo non mi risponde al cellulare.

– Vedrai che a me risponde. Piantala di frignare. E cos’è che hai?

– L’influenza, quella gastro-intestinale. Più gastro che intestinale.

– Hai chiamato il dottore?

– Ci sono andata dal dottore! A piedi perché la macchina di Massimo ha la batteria scarica e siete tutti via.

– Cazzo, Flaminia, non potevi chiamarmi prima? E che fine ha fatto il tuo fidanzato, non potevi chiamare almeno lui?

Però! A Milo non ci avevo neanche pensato. Muovo con i piedi gli asciugamani perché si impregnino bene. Ma mi sembrano già zuppi.

– Perché? Abita qui, forse? Non mi risulta…

– Magari non ci abita proprio, ma me lo trovo continuamente tra le palle. Potrebbe fare qualche cosa anche lui, oltre a chiudersi in camera da letto con te, no?

Davvero signorile, ma poteva andare anche peggio: la vicinanza di Milena gli smorza un po’ il linguaggio.

– Va be’, ti saluto, devo asciugare e grazie del conforto.

– No: mettiti a letto, ti ho detto. Ti mando qualcuno. Ciao.

Avevo dimenticato che Fabio, in qualità di fratello più anziano, sa esprimersi solo con ordini. Le rare volte che si esprime. Perché diavolo l’ho chiamato? Forse, ha ragione lui: provo a chiamare Milo, magari è ha già tornato dall’università. Sollevo il primo asciugamano e comincio ad arrotolarlo sul secchio. Le gocce schizzano fino al muro: lavoro di merda.

Suona nuovamente il campanello, leggero, quasi per sbaglio. Se è di nuovo la Nisticò, mi trasformo in una terrorista palestinese.

A sorpresa, invece, mi trovo davanti il signor Villaluna, residente storico del piano terra, di origini filippine.

– Scusa, signorina, è arrivato tuo fratello?

Comunemente chiamato ‘il portinaio’ per la sua straordinaria capacità di sapere tutto di tutti, probabilmente soffermandosi a lungo dietro allo spioncino di casa sua, logisticamente perfetto per assolvere questo compito.

– Quale fratello? Va bene uno qualunque?

Sarà mica impazzito fino a immedesimarsi nel ruolo del suo soprannome? Oppure è impazzito Fabio e l’ha chiamato lui, confondendo il ruolo con il soprannome? O peggio, me lo ha mandato, in stato di confusione mentale, la signora Nisticò, dimentica del fatto che anche Villaluna, in fondo, fa parte della categoria ‘stracomunitari’.

– Cercavo Massimo, quello che fa il detective.

Il signor Villaluna si sporge a osservare il corridoio bagnato, gira lo sguardo fino alla cucina allagata. Io cerco ancora di riprendermi dalla parola detective: quest’uomo non è certo nel target delle clienti di Massimo, che usa la scusa dell’agenzia investigativa più che altro per adescare ricche e generose mogli tradite. Ma non ha neanche l’aria di uno che è venuto a prenderci in giro.

– Massimo non c’è....



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