Stefánsson | Il cuore dell'uomo | E-Book | www.sack.de
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E-Book, Italienisch, 395 Seiten

Stefánsson Il cuore dell'uomo


1. Auflage 2014
ISBN: 978-88-7091-377-4
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 395 Seiten

ISBN: 978-88-7091-377-4
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



'L'uomo è nato per amare, ecco quant'è semplice il fondamento dell'esistenza. Per questo il cuore batte, questa strana bussola, grazie a lui ci orientiamo tra le nebbie più fitte, a causa sua ci smarriamo e moriamo in pieno sole.' Il ragazzo si risveglia in uno sperduto fiordo nel nord dell'Islanda. Il mare gli ha strappato l'unico amico, i ghiacci l'hanno inghiottito fino alle soglie della morte, ma a richiamarlo alla vita sono degli occhi verdi e dei capelli rossi. È la giovane Álfheiður che lo cura ogni giorno prima che il destino lo riporti al Villaggio, a una piccola comunità di pescatori impegnata in una quotidiana lotta per la sopravvivenza, alla locanda del capitano cieco che gli apre le porte della letteratura e della conoscenza. E mentre il cuore continua a inseguire quei capelli rossi 'oltre le montagne del mondo', la sua perenne ricerca del senso più alto della vita diventa un viaggio iniziatico attraverso l'amore, da quello libero della ribelle Geirþrúður a quello dominatore della capricciosa Ragnheiður, a quello che guarisce il dolore di Rakel, nato dalla poesia di una lettera. Perché le parole possono dare corpo ai sogni, cambiare un destino, elevarci sopra il tempo. Ed è il potere delle parole e dell'animo umano contro gli abissi bui dell'esistenza a illuminare ogni pagina di questo romanzo. 'Bisogna vivere come le stelle', dice il ragazzo, 'bisogna vivere per vincere la morte, è l'unica cosa che sappiamo'. Allora non ci spegneremo, 'forse semplicemente ci trasformeremo in musica'.

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V


Jens si sveglia verso sera.

Il ragazzo si è appisolato, stanco dopo il racconto della traversata, a volte è un’impresa rievocare gli eventi trascorsi, perché allora constatiamo che la vita non è mai un filo ininterrotto, se non in rari casi, per qualche combinazione crudele quanto bella. Alcuni fatti ci passano attraverso e spariscono senza lasciare traccia, ma ce ne sono altri che continuiamo a rivivere perché quel che è avvenuto permane dentro di noi, colora i nostri giorni, trasforma i nostri sogni. Il passato è talmente intrecciato al nostro presente che non sempre è possibile distinguerli uno dall’altro, le parole che pronunci oggi torneranno a cercarti tra cinque anni, torneranno da te come un mazzo di fiori, come una consolazione, come un coltello insanguinato. E le frasi che sentirai domani trasformeranno un antico bacio sincero nel ricordo del morso di un serpente.

Aveva raccontato, aveva rivissuto quegli eventi, ma non aveva rivelato tutto, non aveva tradito Jens, non aveva parlato né della sconfitta del postino a bordo della barca né delle sue parole su Halla e suo padre, il ragazzo non si era spinto così vicino al cuore del compagno, ma aveva raccontato della bambina, quella che abita nella Vetrarströnd e ha una tosse così brutta che il filo della vita quasi non tiene. Aveva raccontato del pastore di Vík, povero Kjartan, aveva mormorato Ólafur, e Anna, allora, aveva aggiunto Steinunn, è brutto perdere la vista, è anche peggio perdere la gioia di vivere, ha risposto Ólafur. Sei sicuro, aveva detto allora Steinunn, che il buio che circonda Anna non dipenda da carenza di amore, piuttosto che da un difetto della vista? Ma dai, le persone non perdono la vista per carenza di amore, non è possibile, la cecità è una questione biologica, si tratta di scienza. Che ne sappiamo noi, aveva detto Steinunn, che ne sappiamo noi delle persone, forse non molto, in fin dei conti, aveva riconosciuto Ólafur, e il ragazzo aveva raccontato della neve, del maltempo, della brughiera, del contadino e del figlio giovinetto sulla landa, di quando aveva smarrito Jens ma poi era stato come se Ásta gli fosse apparsa e l’avesse condotto dal postino, in mezzo a quella tempesta fosca, forse è stata solo immaginazione, aveva aggiunto il ragazzo notando l’espressione sui volti della coppia, quando la seppelliscono? Domani o dopodomani, aveva detto Steinunn, dipende da come si sente il reverendo Gísli e da come procedono con la fossa, è difficile spalare nella terra gelata. Ma quanto bisogna scavare, aveva chiesto il ragazzo preoccupato, pensando confusamente tra sé che più fosse sepolta in profondità, più era probabile che trovasse riposo. Da un metro e mezzo a due metri, fino allo strato roccioso, aveva risposto Ólafur, qui i morti non giacciono molto a fondo, speriamo di poter aggiungere un altro strato di terra la prossima estate. Speriamo? Si dimenticano molte cose in estate, giovanotto, con i canti degli uccelli, le mosche e tutto quel pesce. È difficile ricordarsi dei morti quando splende il sole, forse è addirittura inutile.

Þórdís era entrata alla fine del racconto, con una nuova borsa d’acqua calda per Jens, ma tu chi sei? aveva chiesto Ólafur dopo aver osservato Þórdís cambiare la borsa dell’acqua calda, ed entrambe le donne si erano voltate involontariamente a guardare il ragazzo, che era rimasto muto, del resto come si fa a rispondere, come si spiega la propria esistenza, chi sono io, siamo quello che facciamo o siamo quello che sogniamo? Visto che il ragazzo restava in silenzio, Steinunn aveva detto, ci siamo davvero scervellati. Portavi calzature invernali molto ben fatte, costose, sicuramente norvegesi, e degli ottimi indumenti, citavi poesie, non abbiamo capito tutto, anzi a dire il vero abbiamo capito ben poco, ma a me era sembrato di riconoscere Shakespeare, che non è un autore sulla bocca di tutti, eppure hai delle mani che rivelano un lavoro pesante. Gli uomini o sono laboriosi o non lo sono, aveva detto Þórdís alzando un po’ il mento. Abito da Geirþrúður, aveva detto il ragazzo, come se questo spiegasse tutto. Da Geirþrúður, aveva ripetuto Ólafur, vuoi dire , la moglie di Guðjón? Il ragazzo aveva annuito. Ah ecco, aveva detto Steinunn, ti ha preso per riprodursi, aveva chiesto Þórdís. No, aveva risposto il ragazzo, aggiungendo così in fretta da non rendersene neanche conto, preferisco le donne delicate come te. Se tu non fossi a letto, ti schiaffeggerei, aveva detto Þórdís.

Il ragazzo si era addormentato dopo che se n’erano andati, la spossatezza della traversata gli creava come un greve ronzio nella testa, una sofferenza profonda che si era riattizzata quando l’aveva rivissuta nel racconto. Si è appisolato, ha dormito ed è già sera quando si sveglia. Jens è in piedi accanto alla finestra, guarda fuori e il volto dai tratti marcati è di un pallore cadaverico. Il ragazzo non osa dire niente per un lungo momento perché le parole possono far luce su chi è morto e su chi è vivo, una parola e Jens rischia di svanire e non essere altro che un corpo morto nel letto accanto. Eppure dobbiamo sapere, dobbiamo conoscere la differenza tra la vita e la morte, e per questo dichiara, siamo a Sléttueyri. Jens non si muove, come se non avesse sentito, quali parole dobbiamo usare perché i morti ci sentano, perché Dio ci senta? Lo so, dice infine Jens. A casa del medico, aggiunge il ragazzo, cioè, appena ne è capace, perché una colonna di lacrime gli sale inaspettata quando sente la voce di Jens, come fosse dotata di volontà propria, gli arriva in gola e gli bagna le corde vocali. Lo so, risponde semplicemente Jens e continua a guardare fuori dalla finestra il mondo che è immerso nel chiaro di luna, quest’uomo grande e grosso non ha bisogno di lottare contro le colonne di lacrime, lui è così e basta. Sentono voci da fuori, voci maschili. Sono sicuramente quelli che sono partiti in cerca di Hjalti, e per la terza volta, precisa il ragazzo dopo essere rimasto in ascolto per un attimo, cercando di distinguere le parole. Lo so, dice Jens. Siamo finiti davanti a questa casa, abbiamo svegliato chi dormiva, spaventando tutti gli altri. Jens tace. C’è mancato poco, prosegue il ragazzo, a voce bassa. Sì, riconosce Jens, si appoggia al telaio della finestra per non pesare sulle gambe, per poter sostenere le ossa, i muscoli, i ricordi, i tradimenti e i pensieri di ciò che l’attende. Sentono un leggero rumore di passi avvicinarsi, si scambiano uno sguardo e Steinunn entra, esita vedendo quell’uomo alto appoggiato alla finestra, allora non solo ti sei svegliato, ti sei anche alzato, dice con quella sua voce che è dolce come l’acqua tiepida. Jens la guarda, non lo so, dice piuttosto asciutto, e zoppica fino al letto, non avete trovato nessuno, chiede una volta steso, lo chiede senza affanno, reprime il dolore, la stanchezza, l’umiliazione di non riuscire a camminare eretto, di non riuscire quasi a reggersi in piedi. No, risponde lei, c’era una buona visibilità ma è nevicato parecchio e non è facile capire cosa si nasconda sotto la neve. Il ragazzo li guarda a turno, Steinunn parla in maniera diversa adesso, come se soppesasse le parole. Non siamo mai uguali, la presenza degli altri ci cambia, mette in luce tratti diversi e raramente tutti nello stesso momento, in ciascuno di noi ci sono mondi nascosti e alcuni non affiorano mai in superficie. Non è certo tornato indietro fino a Nes, osserva Jens, dobbiamo sperare per il meglio, dice lei, senza guardare né Jens né il ragazzo. Sperare va bene, dice Jens, ma serve a poco quando c’è un uomo esausto perso nella tempesta. Lo so, ragazzo mio, conclude la donna, guarda Jens che abbassa lo sguardo, come se la testa fosse diventata d’un tratto insopportabilmente pesante.

A Jens viene servita zuppa d’avena con sanguinaccio e il caffè appena fatto. Come vanno i geloni? chiede a Ólafur che era entrato subito dopo Þórdís, sono lì tutti e tre, i padroni di casa, osservano Jens, ma la cosa non sembra fargli il minimo effetto. Non hanno un bell’aspetto, risponde Ólafur. I geloni non hanno mai un bell’aspetto, nota Jens, la voce scura. Lo so bene, dice il medico. Si riassorbiranno? Ne ho visti di più neri. Jens non ribatte, ma non smette di guardare Ólafur. Il medico abbassa gli occhi, alza le spalle, si riassorbiranno, esiste qualcosa che può riassorbirsi? Se ti colpiscono in faccia, può darsi che la faccia dimentichi il colpo, ma tu non dimentichi. Jens si mette a mangiare come se non avesse più voglia di guardare il medico, probabilmente non chiedeva concetti filosofici, dice Steinunn, ma solo se ritroverà l’uso degli arti. Certo, dice Ólafur, facendo comunque una smorfia; ci sono discrete probabilità che tu rimanga tutto intero. Ma soltanto delle discrete probabilità, ho qualche dubbio riguardo alle punte dei piedi, probabilmente un dito o due, dipende da quanto sarai disciplinato come paziente, tutti i miei dubbi stanno lì. Le piaghe sono molto estese.

Þórdís: La cosa migliore per un principio di congelamento è camminare nella neve due volte al giorno. Ha sempre funzionato benissimo. Non si diventa più...



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