Stefánsson | La tristezza degli angeli | E-Book | sack.de
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E-Book, Italienisch, 352 Seiten

Stefánsson La tristezza degli angeli


1. Auflage 2012
ISBN: 978-88-7091-296-8
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 352 Seiten

ISBN: 978-88-7091-296-8
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



È la tristezza degli angeli la neve che cade dal cielo illuminando i lunghi inverni d'Islanda, e che le raffiche dei venti trasformano in accecanti bufere. Il postino Jens è scampato a stento alla loro furia quando arriva alla locanda del Villaggio, soccorso dal ragazzo orfano che vi è stato accolto dopo aver perso in mare il suo unico amico. Insieme dovranno affrontare un'ultima, estrema missione per portare la posta nei lontani fiordi del nord, dove il mondo cede il passo all''inverno eterno'. Un uomo e un ragazzo. Un ruvido 'gigante muto' con un amore segreto e troppi pesi sul cuore che cerca espiazione tra i ghiacci della brughiera. Un giovane alle prese con la ricerca di sé e la scoperta dei sensi che crede nel potere salvifico delle parole, nella profondità del sentire 'che rende l'umanità sublime e maledetta'. Due solitudini inconciliabili si uniscono in una marcia epica attraverso l'inferno bianco, una battaglia fraterna per difendere la dignità dell'uomo contro il crudele mistero della natura. Con la voce incantata della poesia e la grazia di una visione che fonde cuore e pensiero, Jón Kalman Stefánsson racconta un viaggio verso l'origine stessa dell'esistenza, dove la più dura costrizione convive con la più vertiginosa libertà, e alla dolce tentazione della morte si oppone quella luce che portiamo dentro e che nonostante tutto rifiuta di cedere alle tenebre, perché 'siamo a bordo di una barca che fa acqua', ma 'con le nostre reti marce vogliamo pescare le stelle'.

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IV


Mi mancate, voi ragazzi, e in un certo senso ho l’impressione che la mia vita sia più difficile di prima, scrive Andrea dalle baracche dei pescatori, si è seduta sul loro giaciglio nel sottotetto, usa le ginocchia e il manuale di lingua inglese come scrittoio. Erano usciti in mare, Pétur, Árni, Gvendur, Einar e i due sostituti per rimpiazzare il ragazzo che è vissuto e il giovane che è morto. Il mare respirava profondamente da qualche parte, nella bufera di neve che riempiva l’esistenza e inghiottiva ogni cosa. Andrea non distingueva nemmeno le altre baracche, ma non se ne preoccupava. Il respiro del mare però si sentiva chiaramente attraverso la tempesta, la greve inspirazione di una bestia senz’anima, forziere riempito d’oro e tomba di migliaia di esseri umani. Erano usciti di primo mattino e forse stavano in attesa chini sulle loro lenze mentre lei scriveva la lettera, Pétur con la paura nelle vene, perché la sua vita sembrava sfaldarsi, mi mancate, voi ragazzi, scrive. A volte vorrei non avervi mai conosciuto, eppure è una delle cose più belle che mi siano capitate. Non so che fare. Ho l’impressione di dover prendere una decisione che riguarda la mia vita, sento di averne bisogno. Non l’ho mai fatto, finora. Mi sono accontentata di vivere, e non conosco nessuno a cui potrei chiedere consiglio. Io e Pétur ci rivolgiamo a stento la parola, cosa che certo non sarà molto piacevole per gli altri, tranne forse Einar. È un uccellaccio del malaugurio. A volte mi fissa come un toro fissa una vacca. Ah, ma perché ti scrivo queste cose, sei troppo giovane, hai già abbastanza pensieri. Del resto questi scarabocchi sono quasi illeggibili. Credo che strapperò questa lettera, e poi la butterò nel fuoco.

Mi mancate; i giorni sono passati.

La distanza tra Bárður e la vita aumenta impietosamente ogni giornata, ogni notte, perché il tempo è a volte una bestia maledetta, ci regala le cose solo per venirsele a riprendere.

Il ragazzo si è svegliato, seduto sul letto, guarda davanti a sé nella penombra, i sogni notturni svaporano lentamente, spariscono, non ne resta nulla. Presto saranno le sei, forse Helga ha bussato leggermente alla porta e lui si è svegliato all’istante. Sono ormai quasi tre settimane da che è arrivato qui, le spalle cariche di poesia mortale. A che serve la poesia, se non ha il potere di cambiare il destino? Ci sono libri che ti distraggono, ma che non smuovono per niente le sorti profonde. Poi ci sono quelli che ti portano a dubitare, che ti danno speranza, che ampliano la visione del mondo e ti fanno conoscere la vertigine. Alcuni libri sono essenziali, altri ti distraggono.

Tre settimane.

O pressappoco.

La stanza è così grande che ha le stesse dimensioni della sala comune di un casale di campagna, dove otto o dieci persone lavorano e dormono insieme, mentre qui è da solo con tutto questo spazio. Come avere un’intera vallata tutta per sé, un sistema solare accanto alla vita, sicuramente non se lo merita. Ma il destino ripartisce felicità o sventure, la giustizia non ha niente a che vedere con tutto questo, e poi è compito dell’essere umano cercare di cambiare quel che può essere cambiato.

Avrai la camera, aveva detto Geirþrúður, ed eccolo qui seduto, stordito tra il sonno e la veglia e quasi si aspetta che tutto sparisca, la stanza, la casa, i libri sul comodino, la lettera di Andrea, no, non l’ha buttata nel fuoco, il postino delle baracche era passato poco dopo che l’aveva terminata, sempre in dubbio se bruciarla o meno, ma poi alla fine l’aveva consegnata per sbaglio al postino, aveva cambiato idea e gli era corsa dietro per riprendersela ma l’uomo era già sparito, inghiottito dai fiocchi di neve, perso in tutto quel candore.

I pomeriggi e le serate possono essere tranquilli in questa casa, tranne quando la sala da pranzo si riempie di ospiti, e ne erano venuti parecchi due settimane fa, quando con due giorni di bonaccia i marinai dei pescherecci avevano riempito il Villaggio. Allora il ragazzo aveva servito birra, grog, alcolici, e aveva accolto i commenti sarcastici, in genere è facile dire certe parole, e alcuni pensano che un contegno rude o maleducato li renda più apprezzabili. Ma la maggior parte delle serate trascorre comunque tranquilla. Helga chiude la sala, e loro quattro vanno a sedersi nella stanza più interna della casa, la pendola del grande orologio resta immobile, come in preda a una malinconia infinita, il ragazzo legge per Kolbeinn le opere del poeta inglese Shakespeare e spesso anche le due donne l’ascoltano. Ha finito l’Amleto, è a metà dell’Otello, ma l’inizio non è stato dei migliori; Kolbeinn era talmente furioso dopo la prima lettura che aveva agitato il bastone contro il ragazzo. Si era messo subito a sbuffare, mentre leggeva, cosa tutt’altro che incoraggiante, al ragazzo si seccava la gola, e ogni tanto gli sembrava che volesse serrarsi, pigolava più che declamare. Non devi leggere come se fossi senza fiato, aveva detto Helga quando Kolbeinn se n’era andato, sparito dalla stanza come un montone collerico, leggi in modo naturale, come respiri, è molto facile una volta che avrai imparato.

Una volta che avrai imparato.

Il ragazzo aveva faticato a prendere sonno, quella sera. Si era girato, in un bagno di sudore, in quel letto magnifico, aveva acceso più volte la luce, aveva sbirciato il testo dell’Amleto, quell’inebriante flusso di parole, e aveva cercato di orientarsi. Sarò cacciato via, aveva mormorato; come diavolo si fa a respirare le parole?

Anche la seconda lettura era stata disastrosa.

Talmente penosa che quei versi inglesi che portano il germe del cielo infinito e della disperazione senza fondo si erano trasformati in un blocco di legno inerte e senz’anima.

Dopo cinque minuti Kolbeinn si era alzato, il ragazzo aveva serrato involontariamente le spalle ma non aveva ricevuto botte, il bastone era rimasto indolente sulla sedia e Kolbeinn aveva allungato la mano, come un vecchio cane uggioso, e l’aveva agitata con grande impazienza. Devi dargli il libro, aveva detto alla fine Helga in un tono troppo calmo, poi il vecchio uccellaccio aveva lasciato la stanza dritto come un fuso, sventolando tra le mani il bastone infiammato di collera. Ecco, aveva pensato il ragazzo abbattuto, allora è finita, cercherò di trovare un lavoro alla salatura del pesce quest’estate, del resto era troppo bello per essere vero, era un sogno e adesso è il momento di svegliarsi. Si era alzato, ma senza sapere bene perché, si era subito riseduto. Geirþrúður era sulla sua poltrona con il sigaretto, probabilmente è stata la lettura peggiore a cui abbia mai assistito, aveva detto con voce lievemente rauca, visto che ha il cuore di un corvo. Ma non preoccuparti, non hai ancora toccato il fondo, potresti perfino peggiorare andando di questo passo. Non credo, aveva borbottato lui. Sì, sì, mai sottovalutare le persone, esistono ben poche cose che non siano capaci di rovinare. Fece un tiro dal sigaretto, trattenne il dolce veleno per qualche secondo prima di espirare il fumo attraverso il naso: ma come ha detto Helga ieri sera, non dovresti pensare, ma semplicemente leggere. Leggi il testo nella tua stanza, prima, farai un po’ di pausa verso mezzogiorno, domani, per poterti esercitare, leggi finché non distingui più alcuna differenza tra il testo e te – allora riuscirai a leggere senza pensare. Ma Kolbeinn si è portato via il libro.

Lo riavrai dopo, andiamo noi a prenderlo, lui non è in grado di leggerlo granché, da solo.

Il ragazzo è ancora seduto sul letto.

Ascolta i sogni notturni svanire goccia a goccia dal sangue e dileguarsi nell’oblio, poi si alza e apre i pesanti tendaggi. La luce è quasi puntinata, non nasconde niente ma si direbbe che tutto sia leggermente confuso, impreciso, come se il mondo si rimettesse pian piano in sesto dopo la notte e la tempesta degli ultimi giorni. Non ci sono impronte nella neve giù in basso, l’orologio però segna sicuramente le sei e presto qualcuno uscirà e rovinerà quel candore. Una domestica che si avvia al negozio, il reverendo Þorvaldur che va in chiesa per starsene solo con Dio e cercarvi la forza di non cedere sotto il peso logorante della lotta per l’esistenza, si china davanti all’altare, chiude gli occhi, si sforza invano di ignorare i corvi che zampettano sul colmo del tetto con passi pesanti, come se il peccato in persona fosse venuto a calpestare il tetto per farsi sentire. Forse non è Dio che ha creato il peccato, è il contrario.

Il ragazzo va a sedersi sulla morbida poltrona, accarezza la lettera come per dire, non ti ho dimenticata, come potrei, del resto, poi prende un libro dal comodino, le poesie di Ólöf Sigurðardóttir.4 Vuol leggere solo...



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