E-Book, Italienisch, 353 Seiten
Reihe: Narrativa
Stefánsson Storia di Ásta
1. Auflage 2018
ISBN: 978-88-7091-552-5
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 353 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 978-88-7091-552-5
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Reykjavík, primi anni Cinquanta. In un piccolo appartamento seminterrato Sigvaldi e Helga toccano il cielo con un dito abbandonandosi alla loro giovane e travolgente passione e decidono di chiamare la figlia Ásta. Ásta come una grande eroina della letteratura nordica, Ásta perché ást in islandese vuol dire amore. Sedici anni dopo Ásta scopre il sentimento di cui porta il nome in una fattoria negli aspri Fiordi Occidentali dove trascorre l'estate. Lo impara a conoscere dalla storia tormentata tra un uomo e una donna uniti dalla solitudine e divisi dalla dura vita contadina; lo impara a capire dalla vecchia Kristín che ogni tanto, al mattino, si sveglia in un'altra epoca del suo passato e può così rimediare ai rimpianti che le ha lasciato la vita; lo vive sulla propria pelle insieme a Jósef, il ragazzo che le cambierà l'esistenza. Eppure sono tutte promesse di felicità non mantenute ad avvicendarsi in questa impetuosa storia famigliare, segnata per sempre dal giorno in cui Helga si rivela uno spirito troppo libero e assetato di emozioni per non ribellarsi alla soffocante routine domestica e abbandonare marito e figlie, lasciando Ásta con un'inquietudine, un'ansia di fuga, una paura di seguire fino in fondo i propri sogni. In un romanzo lirico, sensuale e corale, che si compone a puzzle seguendo i ricordi dei personaggi e le associazioni poetiche dei loro sentimenti, Stefánsson racconta l'urgenza e l'incapacità di amare, la ricerca di se stessi nell'eterna e insidiosa corsa alla felicità, e quel fiume di desideri e nostalgia che accompagna il destino di ognuno, sempre pronto a rompere gli argini e a scompaginare un'esistenza.
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Per quale motivo dev’essere così bello
– poi squilla il telefono
Questo marciapiede è duro e freddo, ma lassù c’è il cielo, spensierato e pieno d’estate com’era un attimo fa. Non gli importa niente se Sigvaldi è disteso per terra, inerme, e nemmeno a Sigvaldi importa del cielo, eppure quei due hanno viaggiato insieme per più di sessant’anni. Almeno potrebbe aiutarlo a rialzarsi in piedi, perché è stata una gran brutta caduta, la scala raggiunge quasi il secondo piano dell’edificio dove Sigvaldi stava ripitturando gli infissi delle finestre in questa bella giornata di sole. Come avrà mai fatto a cadere, poi, che maldestro! Bisogna rimettersi in piedi. Gli infissi non si pitturano da soli. Prima voglio riposare un attimo, però, mormora, chiude gli occhi, ma li riapre subito dopo. Meglio tenerli aperti, qui sta succedendo qualcosa di strano, il cielo è subdolo, stiamo all’erta. Eppure Sigvaldi torna a socchiudere gli occhi, non riesce a farne a meno. Li chiude del tutto e di colpo eccolo lì, un moccioso di dieci anni che corre a perdifiato lungo Vesturgata, a Reykjavík, insieme a due compagni. Non riesce in alcun modo a ricordarne la ragione, per quale motivo corrono così veloci, ma sente di nuovo quella gioia di vivere, intensa, scalpitante. Tutti ridono a crepapelle. Riapre gli occhi, sorride al cielo azzurro e lontano. Li richiude.
E suo padre comincia a gemere.
Notte a Reykjavík, quasi mezzo secolo prima.
I sospiri e i lamenti di dolore li tengono svegli tutta la notte, Sigvaldi, sua madre, le due sorelle. Solo il fratellino minore, che ha sei o sette anni, è riuscito ad addormentarsi, ma non prima di essersi infilato nel letto di Sigvaldi, per accoccolarsi spaventato e in lacrime accanto al fratello grande.
Che lo cinge col braccio sinistro, mormora qualche parola rassicurante, gli canta una ninnananna a mezza voce, e a poco a poco placa i suoi singhiozzi. Il piccolo si addormenta esausto con il viso contro il collo di Sigvaldi. Il mio ometto, gli sussurra lui, tesoro mio, talmente felice di sentire quel corpicino, il calore, il battito del cuore, che ha le lacrime agli occhi e stringe ancora più forte il fratellino. Rimangono così, coricati uno accanto all’altro. È bello sentire la vita, quando la morte è tanto vicina. La notte trascorre e Sigvaldi tiene stretto il fratello addormentato mentre loro padre urla, la morfina ha smesso di fare effetto, la madre e le sorelle se ne stanno lì sedute senza sapere cosa fare, spaventate, sfinite accanto a quell’uomo che sta morendo… che urla fino al mattino, urla finché finalmente la morte ha compassione di lui.
Sigvaldi apre gli occhi. Il cielo è ancora azzurro, è pieno di morte. Richiude le palpebre.
E lo attende un’altra notte. Completamente diversa. Una notte di poco più di dieci anni prima. Una notte sul lago Þingvallavatn. Stanno pescando, Sigvaldi, suo fratello e il cognato, mentre il nipote dorme nella tenda aperta, color arancio. La notte estiva è mite, i monti azzurri, i sogni tranquilli, le mosche ronzano piano, gli uccelli sonnecchiano, i pesci respirano nel lago silenzioso e la vita è preziosa. Sigvaldi apre gli occhi sorridendo. E subito li richiude.
E si muove piano dentro Helga.
I pescatori sono in sciopero da dieci giorni. O sono dodici? È brutto stare senza lavorare per un periodo così lungo, non fa bene al sangue. Ma sono comunque belle giornate, buone giornate. Sì, forse i giorni più belli che abbia mai vissuto, perché a volte rimane a letto con sua moglie, con la figlia di sette mesi in mezzo a loro, senza fare nient’altro che rimanere lì coricati, esistere, stare insieme, e allora si sente benedetto da Dio, ha l’impressione che la felicità non possa mai abbandonarli. Si stupisce che la vita sia tanto generosa nei suoi confronti… Helga muove i fianchi insieme a lui, per l’impazienza del piacere, gli chiede di morderle i capezzoli, di mordere forte, e lui lo fa, come piace a lei, li morde e sente il latte tiepido colargli in bocca. Baciami, gli ordina lei, baciami, sospira lei, e le loro lingue calde si avvolgono… è così bello stare con lei che quasi si sente un groppo in gola… è stupendo… sì, è bellissimo fare l’amore con lei. Il trasporto e la disinvoltura di Helga gli scatenano qualcosa dentro, qualcosa che non sapeva nemmeno di avere. Con lei si sente libero. Con lei… Sigvaldi ha ritirato lentamente il membro, il glande sfiora appena i peli bagnati, aspetta così. Si guardano negli occhi. Lei alza la testa. Lo bacia. Gli succhia le labbra. La lingua. Aspetta, sussurra, aspetta. E lui aspetta. Trema, vibra di desiderio, ma aspetta. Ti amo, sussurra lei. Voglio che tu mi venga dentro. Aspetta, e passano mille anni. Adesso, gli sussurra, adesso, gli ordina, e trattiene il fiato quando lui esplode dentro di lei.
Per quale motivo dev’essere così bello, pensa Sigvaldi, che involontariamente ha aperto gli occhi e impreca tra sé quando il cielo azzurro d’estate gli appare davanti, stranamente lontano, come se appartenesse a un altro mondo. Si affretta a richiudere le palpebre per liberarsi di quel cielo, impaziente di sapere dove il tempo lo scaglierà questa volta. Spera che sia di nuovo nell’appartamento seminterrato del quartiere ovest di Reykjavík… ma ecco che un’anziana donna con due buste della spesa lo sovrasta. Sigvaldi impreca. Mai un po’ di pace. Meglio far finta di non vederla, magari se ne va. No, non se ne va. Proprio per niente. Anzi, appoggia a terra le buste della spesa, cariche di latte, farina, uova, si china accanto a lui, gli dice qualcosa, sicuramente in norvegese, perché ci troviamo appunto in Norvegia, nella città portuale di Stavanger dove Sigvaldi risiede da qualche anno con la seconda moglie, la norvegese Sigrid, e Sesselja, la figlia di Ásta.
Ma perché non se ne va, questa donna, non c’è nessuno che aspetta quel latte, non deve sbrigarsi a tornare a casa e fare una torta con quella farina e quelle uova, invece di stare china su di lui, a infastidirlo, a impedirgli di chiudere gli occhi e sperare di ritrovare l’abbraccio di Helga, che aveva appena cominciato a dire talmente tante cose belle che gli sarebbero bastate fino alla fine dei suoi giorni? Mai aveva conosciuto una persona così spontanea e disinibita, che avesse tanta facilità nel dire le parole che lo facevano felice, che rendevano tutto più caldo, più grande: ti amo, vieni da me. Se solo sapesse dire anche lui parole del genere. Dove lo trovava, quel coraggio? Non ha mai amato nessuna con tanta intensità, con tanta passione, a volte con disperazione. Non ha mai odiato nessuna tanto profondamente… come le era venuto in mente di amare proprio lui, lei che avrebbe potuto scegliere fra tanti e aveva voluto proprio lui, perché?
E a lui com’era passato per la testa di innamorarsi di lei?
Ma la donna gli sta dicendo qualcosa.
La norvegese. Quella con le buste della spesa.
Si è chinata accanto a Sigvaldi che sta disteso sul marciapiede come fosse immondizia e vorrebbe solo chiudere gli occhi, nella speranza di ritornare indietro di trent’anni e finire tra le braccia di Helga che ha appena cominciato a dire quella parola straordinaria, proprio adesso. Che dono che sa essere la vita! Ma che senso ha che questa donna se ne stia qui con le sue maledette buste della spesa? E che idea, parlare norvegese! I norvegesi parlavano islandese settecento anni fa. Non c’era nessun motivo per smettere di farlo, niente che lo giustificasse. Che la spiegazione stia nella segreta ammirazione che hanno per gli svedesi? Che il norvegese sia il loro tentativo malriuscito di parlare svedese? Non si smette di parlare la propria lingua madre, è assurdo. Una nazione che perde la propria lingua può anche andarsene a vivere sulla luna.
Glielo dirà, a questa donna. Glielo spiegherà chiaro e tondo, poi gliele canterà per quelle maledette buste della spesa, ma per un motivo che gli sfugge ora non è più l’anziana donna con il cappotto grigio, bensì una giovane con un soprabito estivo verde, e le buste della spesa sono sparite, e gli occhi grigi della giovane ricordano tanto a Sigvaldi quelli di sua madre. La rabbia e l’esasperazione svaniscono lasciando il posto alla gratitudine, è riconoscente di averla accanto. È così spiacevole stare distesi in solitudine su quel marciapiede duro e disgustoso…
E perché poi è finito lì, tra l’altro? Non lo ricorda proprio.
Si era preso una sbornia?
Ah, gli avrebbe fatto solo un gran bene, succede talmente di rado ormai di potersi sbronzare sul serio. Cosa che invece è assolutamente necessaria. Di tanto in tanto. Ripulisce il sangue. Eppure a volte ha lasciato passare anni tra un’ubriacatura e l’altra, il che non è un bene per… l’equilibrio. Ma aspetta, in fin dei conti non è poi passato così tanto tempo dall’ultima volta che è successo, anzi, direi che è piuttosto recente, solo… sì, due mesi fa. Suo fratello minore gli aveva telefonato – quello che una volta aveva pianto tra le sue braccia. Anche lui vive qui, in questa cittadina portuale, insieme alla moglie norvegese, Rósa, che ha un carattere così spigoloso che è meglio andare a trovarla armati. Che strano, pensa Sigvaldi, e vorrebbe parlarne con quella giovane donna dagli occhi grigi, del fatto che abbiano entrambi sposato una norvegese. La guarda, lei gli sorride. Che cosa meravigliosa saper sorridere, questo pianeta non sarebbe abitabile se non ne fossimo capaci. La donna gli dice qualcosa, si toglie il soprabito estivo, lo sistema sotto la testa di Sigvaldi, che sente il calore del suo palmo. Ed ecco, c’è qualcosa nel modo di fare...