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Strubel | Donna blu | E-Book | sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 400 Seiten

Reihe: Amazzoni

Strubel Donna blu


1. Auflage 2023
ISBN: 978-88-6243-594-9
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 400 Seiten

Reihe: Amazzoni

ISBN: 978-88-6243-594-9
Verlag: Voland
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Sola in un appartamento di Helsinki, Adina ricostruisce il percorso che l'ha portata lì: l'infanzia sui Monti dei Giganti e il desiderio di scappare, la scoperta di sé a Berlino, un incontro fatale durante uno stage in una regione dell'ex Germania Est, l'amore con Leonides, europarlamentare estone e grande sostenitore dei diritti dell'uomo. Ma bastano tre confini per lasciarsi alle spalle le proprie origini? Basta fuggire per dimenticare? Un romanzo che parla della ricerca del proprio nome, degli spettri di un'Europa unita solo sulla carta, della tentazione di normalizzare ciò che è inaudito e mostruoso. Una storia che attraversa tutto il continente valicando le frontiere delle nostre sicurezze.

(Potsdam, 1974) è scrittrice e traduttrice dall'inglese (Virginia Woolf, Joan Didion, Lucia Berlin) e dallo svedese (Monika Fagerholm). La sua ricca produzione letteraria le è valsa numerosi premi oltre a residenze di scrittura e docenze presso svariate università. Con Donna blu, suo ultimo romanzo, si è aggiudicata nel 2021 il Deutscher Buchpreis.
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Ogni notte si sentono le automobili. Il brusio delle automobili sulle strade a tre corsie e il fruscio delle foglie sul sorbo selvatico.

Questi sono i rumori.

Penetrano attraverso la finestra aperta di uno spiraglio. Il mare non si sente. Il mar Baltico, che si trova a sud, oltre i palazzoni, in un’insenatura con un canneto sulla riva che in inverno ghiaccerà in fretta.

Lampioni arcuati costeggiano le vie. Di notte la loro luce pallida cade sul marciapiede e sul balcone del piccolo appartamento che affaccia sulla strada. I paralumi di metallo oscillano al vento. La camera da letto affaccia sul cortile, dove ci sono un parco giochi, un capanno per le bici e il sorbo selvatico.

Le pareti dell’appartamento sono bianche e spoglie tranne per lo specchio in corridoio. In cucina ci sono due cartoline appese sopra il lavello. Su una, taxi gialli viaggiano in un canyon urbano a New York. Sull’altra, una foto in bianco e nero, due donne siedono sulla terrazza di un caffè parigino. Indossano cappellini a cloche degli anni ’20 del secolo scorso e gonne eleganti.

Queste sono le immagini.

I vasi da fiori sullo scaffale di metallo in balcone sono inutilizzati. Le ragnatele si propagano. I ragni sono ancora vivi. È settembre.

All’orizzonte, dove magazzini e un enorme ripetitore delimitano le file di palazzoni, si ammassano montagne di nuvole. Il ripetitore è l’unico punto di riferimento sulle strade tutte uguali.

Nessuno sa dov’è.

L’orologio a muro segna le due e mezzo. Il quadrante argentato riproduce l’atlante del mondo. La lancetta dei secondi non c’è, c’è solo un aeroplanino rosso che fa il giro del mondo argentato. Ogni giro dura solo un minuto, eppure sembra lento, quasi se la prendesse con comodo. Un’ombra sotto l’aereo lo accompagna in volo e a volte lo precede appena, in base a come il riflesso della luce la proietta sulla Terra luccicante.

Potrebbe essere ovunque.

Nina. Sala. Adina.

In cucina ci sono un paio di pentole, un bollitore e una caffettiera macchiata. La caffettiera fischia quando la pressione fa fuoriuscire il vapore dalla valvola sulla caldaia. Sulle tazze nella credenza c’è scritto IKEA a lettere maiuscole. L’appartamento ha l’aspetto di un appartamento vero, di una persona. Ci sono alcuni libri, portacandele, riviste patinate di cucina e di viaggi. In corridoio c’è una passatoia consunta. All’attaccapanni sono appesi dei bastoncini da nordic walking.

Questi sono gli oggetti.

Mette i bastoncini da nordic walking nell’armadio in corridoio. Dal bagno si sente l’acqua scorrere. Dalle scale non penetra nemmeno un rumore. La porta di casa è chiusa a chiave. Le maniglie alle finestre sono ben serrate. Solo una finestrella si può aprire di uno spiraglio. Lo spiraglio non è grande abbastanza da poter sporgere fuori la testa. A lei va bene così, malgrado in quel momento splenda il sole e l’appartamento si stia surriscaldando.

In cucina c’è la bottiglia di plastica iniziata. Misura un tappo di liquido e versa il sorso nel caffè.

“Solo un goccio” dice, come se ci fosse qualcuno.

L’orologio a muro rintocca con il suono sommesso della campana di una chiesa.

“Salute, Sala! Alla tua.” Con la tazza levata fa un cenno alle lastre sporche della vetrata del balcone. “Alla tua e tanti auguri!”

Attraverso lo spiraglio della finestra soffia vento. L’orologio a muro segna quasi le tre. I profili argentati dei continenti non mostrano città, strade, rilievi montuosi né fiumi. Mette l’acquavite in frigorifero. Almeno la bottiglia deve stare al suo posto se già lei è estranea e l’appartamento non è suo. È in un paese che non conosce, un paese del Nord, dove gli alberi sono diversi e la gente parla una lingua diversa, dove l’acqua ha un gusto diverso e l’orizzonte non ha colore.

Il suo cuore infila rapido un battito dove non andrebbe. Cerca di distrarsi. Pensa a faggi e castagni, a tigli e pini, al profumo del legno e della terra, e a come scorra quieta e apparentemente senza tempo la vita di un albero, come quella del sorbo selvatico davanti alla finestra della camera da letto. Pensa a quanto sia misero il suo cuore che batte all’impazzata di fronte allo splendore indifferente di questi alberi e alla loro promessa di eternità, eterni, almeno, fino a che non si trovano in zone destinate al disboscamento. Ma gli alberi che ha in mente lei crescono incolumi davanti a una villetta bifamiliare. Nessuno li taglierà, bada lei che non accada.

Ci badava lei.

Questo è il passato.

Con i pensieri ha diritto a stare nel passato. Lì nevica. È inverno ed è ancora bambina. Nelle notti cristalline, la luna splende pallida sui sentieri e illumina gli abeti e i pecci e i pali degli skilift lungo i pendii disboscati, innevati e spianati dai battipista. La villetta bifamiliare sorge in una dolce vallata davanti a un orizzonte alto. Molto lontano da qui. Dista 1500 chilometri, un’ora di fuso orario e venti ore di macchina da Helsinki, su un monte al confine ceco-polacco. Lei è sdraiata nella cameretta sotto il tetto. Ha decorato il suo letto con una ghirlanda di luci. Quando si solleva, dalla finestra riesce a vedere il Certova hora. La cima della montagna si staglia solitaria contro il cielo notturno, le sue pareti rocciose scoscese spruzzate di neve.

Quando entra nella stanza mansardata per darle la buonanotte, la mamma tira giù le veneziane e spegne la ghirlanda di luci. Non appena va via, Adina ritira su le veneziane. Vuole vedere la luce della luna che le cade sulla pelle trasformandola. Si tira su la camicia da notte fin sulla pancia. Alla luce fioca, le gambe sembrano esili, più vulnerabili che durante il giorno. Appoggia la mano sulla coscia, riesce a cingerla per metà. Piega la gamba, una cosetta scintillante, il ginocchio tutto ossa. Si immagina un ragazzo, un ragazzo che non ha ancora un volto, e nemmeno un corpo, ha solo questa mano, che è la sua e per questo è piacevole sulla pelle quando si sfiora la coscia con la punta delle dita.

In paese non ci sono ragazzi. Ci sono solo i baristi nei cocktail bar dell’hotel a quattro stelle che durante la stagione preparano ai turisti Cuba Libre e Old Fashioned e a lei ogni tanto offrono un succo d’arancia omaggio della casa. Ci sono i figli dei turisti, che passano la giornata intera sulle piste con gli snowboard e non si tolgono le tute di plastica nemmeno la sera a cena. Si sfilano solo le maniche, e la parte di sopra rimane ciondoloni sui fianchi.

“Domani devi uscire presto” le dice la mamma quando spegne la ghirlanda di luci e i fiori artificiali si smorzano mandando un ultimo bagliore. “Il panino è nel contenitore per la merenda in frigorifero. E vedi di mangiare le mele!”

Adina scorge la luce della luna sulle coperte e sui vestiti pronti per l’indomani, piegati sullo schienale della sedia. Sceglie sempre cosa metterà il giorno dopo già la sera prima, pantaloni imbottiti e un maglione di lana verde che le sta grande. Le maniche penzolano sui polsi. Quando lo indossa, si immagina di essere un esploratore durante una spedizione.

Anche la cartella è pronta. Al mattino non ha tempo di prepararla. E poi è troppo buio, perché la luce non l’accende. Si è organizzata per avere giusto il tempo di lavarsi i denti e correre a prendere l’autobus. L’autobus non aspetta, sebbene per i primi quindici minuti sia l’unica passeggera a bordo. La sera, quando la strada stretta e piena di curve che dal fondovalle si arrampica verso il paese è ghiacciata, deve fare gli ultimi chilometri fino a casa a piedi, perché l’autista non monta certo le catene da neve solo per lei.

Il paese è incassato tra massicci montuosi. La catena dei Krkonoše ne costituisce il confine naturale. Dietro al paese, il bosco si sviluppa su pendii scoscesi. Negli ultimi chilometri verso casa Adina si tiene vicina ai cumuli di neve a bordo strada. La strada non è illuminata. Ma la neve brilla. E le automobili che dal fondovalle si inerpicano fino a Harrachov illuminano con i loro fari le cime dei pecci.

Distende il ginocchio sul materasso e osserva le gambe. Due nei. Una cicatrice sul ginocchio destro, il resto è perfettamente bianco e liscio.

Questo è lo sguardo.

Lo sguardo è del presente. Da bambina non avrebbe notato quel liscio biancore. Non le sarebbe importato. Nel suo letto accanto al Certova hora non c’erano sguardi di quel tipo. Sua madre spegneva la ghirlanda di luci e Adina si addormentava. Così è credibile. Tutto il resto è un’aggiunta.

“Una sceneggiata” dice ad alta voce bevendo l’ultimo sorso dalla tazza.

Attraverso lo spiraglio della finestra soffia vento. Dal bagno si sente l’acqua scorrere.

Ma una sceneggiata non se la può permettere. Quando si testimonia bisogna essere precisi.

Lei non sa come si testimonia. Dovrà comparire in tribunale. A Helsinki c’è un tribunale. Si trova vicino alla cattedrale, che si erge come una roccia bianca dalla risacca della città. Ma non può andare semplicemente in tribunale e bussare. È in un paese di cui non parla la lingua. Non sa a chi ci si rivolga, sa solo che ci vuole un avvocato, e gli avvocati costano. Sa però che dovrà testimoniare, in un’aula con la boiserie e davanti a giurati, come ha visto nei film, nelle serie americane dei baristi. La giudice indossa una toga nera. E gli imputati entrano in manette, su di loro zumano le telecamere che riprendono tutto, che fissano ogni dettaglio. Ogni poro, ogni traccia di forfora, ogni guizzo degli occhi sarà da lì in poi distinguibile.

E se gli avvocati della difesa dicono Obiezione Vostro Onore, perché la sua testimonianza è inaudita, la giudice solleverà la testa. Si prenderà del...



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