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E-Book, Italienisch, 192 Seiten

Trabucchi Ageismo

Il pregiudizio invisibile che discrimina gli anziani
1. Auflage 2025
ISBN: 979-12-5982-152-2
Verlag: Il Margine
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Il pregiudizio invisibile che discrimina gli anziani

E-Book, Italienisch, 192 Seiten

ISBN: 979-12-5982-152-2
Verlag: Il Margine
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Un saggio che affronta con lucidità e profondità uno dei problemi più diffusi e meno riconosciuti della società moderna: la discriminazione nei confronti delle persone anziane. In un mondo che glorifica la giovinezza e marginalizza l'età avanzata, l'ageismo si manifesta attraverso la riduzione dei diritti, la svalutazione dell'esperienza e l'emarginazione sociale. Marco Trabucchi analizza questo fenomeno considerandolo non solo come una questione culturale, ma come un problema che incide sul benessere delle persone e sulla tenuta dell'intero tessuto sociale. Esamina le radici storiche e sociali dell'ageismo, andando a ricercare il suo impatto sulle politiche pubbliche, sulle relazioni intergenerazionali e sulla qualità della vita delle persone anziane. Nel volume evidenzia la necessità di un cambiamento di prospettiva: non si tratta solo di garantire maggiori diritti, ma di rivalorizzare il ruolo dell'anziano nella società, riconoscendo la sua esperienza come un patrimonio collettivo. Quali soluzioni concrete possono, quindi, contrastare l'ageismo e promuovere una cultura dell'inclusione e del rispetto? Attraverso dati, studi scientifici e riflessioni filosofiche, l'autore propone una serie di strategie utili a mettere in pratica un cambiamento sociale che punta a proteggere le persone anziane e reintegrarle attivamente nella vita comunitaria.

Psichiatra, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia. È autore, coautore o curatore di più di sessanta volumi a carattere medico-scientifico. Ha pubblicato oltre 650 articoli, prevalentemente su tematiche psicogeriatriche e di clinica geriatrica. In questi ambiti svolge un'intensa attività didattica e di informazione rivolta ai medici, agli infermieri, alle altre figure professionali dell'area socio-sanitaria e al pubblico generalista.
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Introduzione


L’ageismo è una malattia?


«Tutti vengono da Dio, gli ospiti e i poveri.
E un dono, anche piccolo, fatto a loro è caro agli dei».

(Odissea, VI, 207-208)

«Nella vecchiaia danno ancora frutti…»


Quando Robert Butler molti anni or sono coniò il temine «ageism», aveva intuito un grave rischio per il futuro, andando contro corrente perché allora la problematica era ritenuta marginale. I profeti, a differenza di tutti noi, vedono l’evoluzione della storia, anche se non sempre nel tempo le profezie vengono analizzate con curiosità e studiate con intelligenza. Oggi, fortunatamente, si sono sviluppate attenzioni e sensibilità diverse attorno alla qualità della vita delle persone che invecchiano e dei rischi che atteggiamenti irrispettosi possano modificarne in senso negativo l’evoluzione. Negli ultimi vent’anni, peraltro, il numero degli studi pubblicati in ambito sociologico, psicologico e clinico sull’ageismo è aumentato esponenzialmente; oggi sono migliaia i lavori sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali. Un segnale positivo, soprattutto quando studi e ricerche avranno ricadute operative, cioè saranno ascoltati in un mondo che si mostra sempre più chiuso. Questo stesso volume ne è una testimonianza, seppure limitata al nostro Paese; il sottotitolo potrebbe essere «L’ageismo non ha capito il mondo: chiudere fuori dalla convivenza le persone anziane provoca danni irreversibili», perché una vita, quella degli anziani, spenta dall’ignoranza e dalla stupidità è, in ogni modo, una vita che scompare, assieme alla sua ricchezza e alla sua importanza per tutti.

Quindi in senso metaforico si può sostenere che l’ageismo è una malattia, personale e sociale. Personale, perché danneggia direttamente molti cittadini, impedendone una vita adeguata alle loro esigenze. Sociale, perché impedisce la tranquillità di comunità che si vedono di fatto private di un pezzo, quello più vecchio, ma per molti aspetti il più significativo. Però è una malattia cronica della quale si conoscono solo in parte le cause: certamente conosciamo alcuni fattori di rischio (egoismo, miopia, mancanza di visione), mentre le cause strutturali non sono del tutto palesi (perché le società contemporanee soffrono di questo morbo, a differenza di quelle primitive di ieri e di oggi, che mettevano gli anziani al centro?).

Quando le Edizioni Centro Studi Erickson mi hanno chiesto di predisporre questo testo mi sono meravigliato, perché ritenevo poco consona alla cultura di un medico l’attenzione ai disastri provocati da atteggiamenti negativi verso le persone anziane. Poi ho ripensato alla cultura della complessità, che deve guidare il pensiero e la prassi in medicina. Infatti, non si può strutturare alcuna cura se non è chiaro che qualsiasi fattore biologico è influenzato dall’ambiente, dalla vita stessa e come, a sua volta, la biologia influenza la qualità della vita, in un processo di continue interazioni. Gli atteggiamenti ageistici interrompono questo circolo virtuoso e devono essere interpretati e storicizzati in questa prospettiva.

Ho accolto volentieri l’invito dell’editore perché il problema del maltrattamento psicologico dell’anziano, che spesso diventa di fatto anche un maltrattamento fisico verso l’anziano privato di adeguate protezioni, è largamente presente nello scenario delle nostre società, provocando sofferenze e dolore. È quindi una vera malattia, che aggrava la condizione di salute di una parte della popolazione già resa fragile dagli eventi. Una malattia silenziosa, subita spesso senza protestare e contrastare chi la provoca. Una malattia che abbrevia la vita e rende difficile qualsiasi intervento di cura, perché l’unica cura sarebbe modificare i fattori che l’hanno provocata, cioè l’egoismo, la mancanza di senso della storia e della prospettiva, l’ignoranza rispetto alle dinamiche biologiche e sociali. Per questo ho accettato, anche se la mia prospettiva è quella della cultura medica: quella di una medicina per l’uomo.

Allo scrivere qualche riga su un argomento così critico sono stato anche motivato dal desiderio di rendere omaggio agli anziani del nostro tempo, donne e uomini che hanno costruito la convivenza della quale oggi godiamo. Fortunatamente, in pochi sono stati danneggiati da atteggiamenti ageistici e quindi hanno potuto costruire il mondo nel quale viviamo e che vorremmo preservare dalla crescita dell’ageismo, malattia di un mondo che si chiude e non spera.

È inoltre un omaggio rivolto alle persone che nella professione mi è capitato di accompagnare. Un omaggio concreto, non solo collegato a principi di rispetto e dignità, ma anche alla descrizione di come è possibile nei vari momenti della vita costruire un’organizzazione sociale che ama, rispetta, accompagna e protegge le persone anziane.

Il Salmo 92,13-15, tremila anni fa, aveva indicato una strada: «Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano piantati nella casa del Signore, fioriranno negli atri del nostro Dio. Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi»; poi le vicende della storia hanno alternativamente valorizzato o privato di valore la vita anziana. Fino a Goethe: «Essere giovani è un effetto della natura e dilegua come nebbia; rimanere giovani è molto di più, è un’arte per pochi». Potrebbe essere uno slogan per combattere l’ageismo: la natura fa il suo corso, però l’arte di rimanere giovani deve essere aiutata dalle scelte delle comunità, che si accompagnano a quelle dell’individuo. Quindi, se vogliamo che quest’arte si diffonda è necessario opporsi con determinazione al pensiero ageistico. In questa direzione nel volume, qua e là, si possono trovare indicazioni per sconfiggere una cultura che impedisce appunto la diffusione dell’arte di non invecchiare, come indicato da Goethe.

L’ageismo appartiene a quella categoria di limitazioni della protezione sociale (e della protezione affettiva: più avanti ne spiegherò il significato) sempre più diffusa nelle società contemporanee. Si riducono i diritti dell’anziano e, di conseguenza, gli interventi a suo favore, come si limitano quelli di particolari gruppi con limitate capacità economiche o di specifici gruppi etnici. Alcuni cittadini entrano nel mondo degli svantaggiati, dal quale faticosamente riescono a uscire, perché si instaura un circolo vizioso, per cui ignoranza procura ignoranza, povertà aumenta povertà, solitudine aumenta solitudine, l’età avanzata produce emarginazione che tende a riprodursi. Com’è possibile interrompere questi percorsi di dolore e di fatica? Si devono ipotizzare strade che partono dal progresso culturale, che diventa un insieme di progressi sociali, guidati dalla politica, ma anche da gruppi di impegno volontaristico. Il punto di inizio è sempre quello culturale, perché i cittadini devono maturare il concetto che non vi possono essere categorie inferiori rispetto alla fruizione dei diritti di cittadinanza. Grazie ai nostri fondamenti ebraico-cristiani questa cultura è largamente condivisa, e rappresenta la struttura di fondo dell’organizzazione sociale. Ma anche in altre culture, come quelle sviluppatesi in area asiatica, il modello del rispetto della dignità umana, indipendentemente da specifiche circostanze, è largamente acquisito. In questa logica si sviluppano anche gli storici principi della Rivoluzione francese. Nel caso degli anziani la libertà non è sempre rispettata, al di là di affermazioni generiche, mentre l’uguaglianza lo è formalmente, anche se l’ageismo la mette in crisi. Ma il principio che potrebbe avere le maggiori potenzialità rispetto alla vita delle persone anziane è la fraternità, cioè il sentire profondo degli altri come nostri fratelli. Sarebbe un enorme vantaggio per le persone anziane fragili, che non sarebbero solo titolari di diritti (libertà e uguaglianza), ma si troverebbero a vivere in ambienti dove sono vissuti come fratelli dagli altri cittadini: e ai fratelli non si fa del male! Al fondo dell’atteggiamento ageistico vi è il rifiuto della fratellanza, la quale rispecchia anche il messaggio evangelico «non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te» (ma le sorprese non finiscono mai: talvolta si incontrano ageisti anziani, che credono di difendere in questo modo il loro spazio, una sorta di «mors tua vita mea», con una visione storicamente miope).

Vi sono diverse modalità per categorizzare l’ageismo in base a come si presenta:

  1. l’ageismo istituzionale, quando un’istituzione lo perpetua attraverso i propri comportamenti nel tempo;
  2. l’ageismo interpersonale, che caratterizza le interazioni sociali nelle loro diverse valenze;
  3. l’ageismo internalizzato, quando una persona è fermamente convinta delle proprie posizioni e tende ad applicarle anche a se stessa.

Inoltre, vi può essere un «ageismo implicito», in base al convincimento personale, che talvolta porta a comportamenti non intenzionali, e un «ageismo esplicito», quando vi è piena coscienza delle scelte da compiere. Infine, vi è un «ageismo benevolo», quando la persona si rivolge all’anziano in modo non aggressivo, ma con atteggiamento simile a quello con cui si rivolgerebbe a un bambino che richiede una guida. È davvero benevolo chi tratta la storia lunga di un anziano come fosse la vita breve di un bambino? D’altra parte, anche l’«ageismo maligno» ha una notevole diffusione; riguarda persone che, in modo acritico e con aggressività, esprimono contenuti negativi verso gli anziani, sia sul piano teorico sia su quello di...



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