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E-Book, Italienisch, 419 Seiten

Tryon Cultura On Demand

Distribuzione digitale e futuro dei film
1. Auflage 2017
ISBN: 978-88-7521-879-9
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Distribuzione digitale e futuro dei film

E-Book, Italienisch, 419 Seiten

ISBN: 978-88-7521-879-9
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Cultura On Demand Chuck Tryon Le tecnologie di distribuzione hanno influenzato l'industria del cinema da sempre. La diffusione massiccia della televisione nell'America degli anni Cinquanta e Sessanta, per esempio, ha rivoluzionato il mondo di Hollywood, portando alla nascita di grandi conglomerati che sono al contempo studi cinematografici e network televisivi. Oggi l'industria sta affrontando una rivoluzione se possibile ancora piu? grande, iniziata con l'adozione delle tecnologie digitali, che permettono ai film una circolazione più ampia, veloce ed economica, e cambiano il modo in cui questi raggiungono non solo le sale cinematografiche ma anche lo spettatore: sullo schermo di casa, di dimensioni più grandi e in alta definizione, sui laptop e persino sullo spartphone. Grazie a soggetti come Netflix, Amazon e centinaia di altri operatori di video on demand, stiamo vivendo la grande utopia digitale che ci promette di accedere a tutto il cinema realizzato dall'umanita? in ogni momento, dovunque ci troviamo. Ma che conseguenze ha tutto questo sull'industria del cinema? Cultura On Demand parla di noi spettatori, delle nostre nuove possibilità e del ruolo più o meno inedito che svolgiamo quando scriviamo un commento sui social riguardo a un film o a un programma tv che abbiamo amato o detestato. E parla del modo in cui i film sono realizzati, finanziati e distribuiti, perché questi cambiamenti hanno ricadute anche sulla creatività, sia mainstream sia indipendente. Il libro offre una cornice teorica e gli strumenti di analisi necessari per comprendere lo scenario contemporaneo, evitando sia le derive apocalittiche di chi crede che il cinema sia morto, sia quelle entusiastiche dei fan delle tecnologie.

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INTRODUZIONE


Nel maggio 2012 il comico Mark Malkoff si lanciò in una sfida insolita, decidendo di guardare nel giro di un mese quanti più film possibili, in streaming, tramite Netflix. Volendo ricavare il massimo valore possibile dal suo abbonamento mensile di 7,99 dollari, Malkoff riuscì a vedere 252 film – suppergiù otto al giorno – portando il suo costo per pellicola alla somma incredibilmente bassa di tre centesimi. L’impresa ben reclamizzata di Malkoff, fatta felicemente propria da Netflix, servì da pubblicità informale per la società, soprattutto quando Malkoff reclamizzò l’ampia selezione di titoli cinematografici. Nelle interviste, l’attore pose l’accento sul fatto che il catalogo esistente di film in streaming poteva coprire la durata di diverse vite, e aggiunse che gli algoritmi di raccomandazione del servizio suggerivano titoli che in genere soddisfacevano i suoi gusti.1 L’esperimento fu inoltre strettamente collegato agli strumenti di social media che tanto hanno rivoluzionato la cultura cinematografica, con Malkoff impegnato a promuovere attivamente il suo progetto su Twitter e Facebook, dove sollecitava anche consigli da parte di ammiratori e . Per finire, Malkoff dimostrò di poter vedere i titoli di Netflix su una serie di dispositivi e in posti differenti, a un certo punto guardando (1985) sul suo iPhone mentre l’attore Andrew McCarthy lo scarrozzava per Central Park su un carretto. Anche se l’impresa di Malkoff ha spinto le possibilità della distribuzione digitale al loro estremo logico, ha pure illustrato molte questioni chiave che investono tanto i produttori quanto i consumatori di contenuti mediali.

Questo libro prende in esame i continui cambiamenti che stanno avvenendo nel campo della distribuzione e del consumo dei media, soprattutto mentre cerchiamo di comprendere un’emergente «cultura on demand» che fornisce agli spettatori nuove forme di accesso immediato a film e programmi televisivi, pur introducendo contemporaneamente una serie di potenziali limitazioni. Sebbene molti osservatori abbiano letto in questi cambiamenti una democratizzazione della distribuzione dei media, sostenendo che offrano alle persone una gamma più ampia di opzioni per guardare cinema e tv, tali pratiche di distribuzione contribuiscono anche a una cultura dei media più frammentata e individualizzata. Queste nuove modalità di accesso – che si tratti dei servizi streaming online come YouTube o Netflix, i download digitali su iTunes, i distributori automatici di Redbox vicino ai negozi di generi alimentari, i tablet, gli smartphone, i decoder come i lettori Roku o le console per videogiochi come la Playstation 3, oppure le sale cinematografiche che danno film in 3D proiettati in digitale – sono tutte impegnate a ridefinire i modi in cui gli spettatori reperiscono e consumano materiale cinematografico, destabilizzando quello che Adrian Johns ha definito «il business della cultura».2 Allo stesso tempo, nonostante le scelte apparentemente illimitate rese disponibili da questi cataloghi online, gli utenti incontrano di frequente limitazioni sconcertanti, dal momento che i servizi di (VOD) si contendono i diritti di streaming dei film mentre i fornitori di accesso a internet e i servizi di telefonia mobile cercano di limitare la quantità di dati che i consumatori usano per guardare i video. Discutendo la sua abbuffata con Netflix, Malkoff ammise in tutta onestà di aver beneficiato di un abbonamento a internet con una larghezza di banda illimitata, pur scherzando sul fatto che il suo provider fosse probabilmente «infuriato» con lui.3

Questo concentrarsi sulla distribuzione nell’era digitale fornisce un correttivo per affrontare quello che Philip Drake definisce uno degli «aspetti meno compresi dell’industria cinematografica hollywoodiana contemporanea».4 In realtà questi nuovi modelli distributivi spesso mettono in luce alcune contraddizioni tra i produttori di hardware (lettori DVD, lettori di videogiochi, decoder, tablet e smartphone, televisori collegati a internet e 3D, computer portatili) e i produttori di media (film, video, videogiochi e gli stessi programmi televisivi), così come tra i produttori e i rivenditori quali Walmart e Amazon. In particolare, nell’era digitale è cambiata la stessa idea di testo cinematografico, con la trasformazione di un manufatto tangibile – una pellicola di celluloide – in codice binario. Come ricorda David Bordwell senza giri di parole, «le pellicole sono diventate ».5 In questa analisi è implicita la consapevolezza che le industrie dei media hanno cercato, con scarso successo, di regolare gli usi e le pratiche associate alla distribuzione digitale dei prodotti d’intrattenimento, sia attraverso la pubblicità e gli annunci di servizio pubblico sia tramite tecniche meno visibili come i tetti al traffico dati e il . Contemporaneamente, i discorsi contro la pirateria informatica, per non parlare dei controlli più rigidi sulla gestione dei diritti digitali, servono a dissuadere persino forme legittime di duplicazione, condivisione e dei film.6

Allo stesso tempo, questo libro nasce da una sensazione di ambivalenza per come i media digitali hanno rimodellato l’industria cinematografica in un periodo di rapidi cambiamenti industriali. Quando completai il mio primo libro, nel 2009, Hulu era un attore relativamente nuovo nella distribuzione digitale, ed erano ancora pochi quelli che discutevano del ruolo dei chioschi di Redbox nell’ambito della distribuzione di DVD. Anche se molti cineasti indipendenti stavano sperimentando con la distribuzione , in contemporanea su ogni piattaforma disponibile, i grandi studios erano piuttosto restii ad accorciare la finestra di quattro mesi che assicurava alle sale i diritti esclusivi per la proiezione delle nuove pellicole. I festival cinematografici cominciavano appena a discutere dei benefici di rendere i loro film disponibili via VOD o in streaming. Infine, i rinnovati tentativi di usare il 3D come un mezzo per incoraggiare gli spettatori ad andare al cinema erano solo al principio mentre il pubblico che inizialmente fece di (2009) una delle pellicole con i maggiori incassi di tutti i tempi oggi sembra indifferente al 3D, considerandolo solo un altro prezzo di vendita.

La distribuzione digitale solleva allora nuovi interrogativi su come, quando e dove abbiamo accesso ai film e su che cosa significa questo modello per la cultura dell’intrattenimento. I media digitali sembrano promettere che i testi mediali circolino più rapidamente, con costi più ridotti e più diffusamente che mai, determinando visioni utopistiche di un futuro in cui i programmi televisivi e i film saranno accessibili ovunque. È questa l’idea formulata da visionari digitali come Chris Anderson, che ne sostenne che aggregatori di media come iTunes, Netflix e Amazon avrebbero prosperato vendendo contenuti di nicchia anziché concentrarsi esclusivamente sui grandi successi. Anche se i costi dell’archiviazione digitale sono relativamente esigui rispetto ad altri metodi di distribuzione, consentendo a rivenditori come Amazon di tenere in catalogo titoli che vengono acquistati solo poche volte al mese, la tesi di Anderson sottovaluta in generale i costi di produzione necessari per realizzare un lungometraggio o una serie per la tv o il web. E sebbene numerose pellicole di nicchia abbiano trovato un pubblico online, la persistente disponibilità dei film attraverso vari servizi di video on demand ne ha alterato il valore, spesso con il risultato che i consumatori sentono un bisogno ridotto di possedere una copia di questo o quel film, tagliando così una delle principali fonti di entrate dei filmmaker, una situazione che ha avuto effetti particolarmente dannosi sui produttori indipendenti.7

La discussione di Anderson sulla «coda lunga» è un esempio di ciò che Vincent Mosco farebbe rientrare nel «sublime digitale», l’idea che internet eliminerebbe tutti i confini che limitano l’accesso e la partecipazione, democratizzando di conseguenza la cultura.8 Nell’argomentazione di Anderson, i rivenditori della coda lunga offrono quello che sembra essere un accesso illimitato, così come l’idea della mobilità illimitata. Grazie all’archiviazione digitale e all’accesso in streaming, possiamo portare con noi le nostre biblioteche digitali e consumarne delle selezioni a nostro piacimento, creando una cultura caratterizzata da varie forme di mobilità dei media. Non siamo più vincolati alla programmazione dei vari canali o dipendenti dalla vicinanza a un videonoleggio. Inoltre, come sostiene Mosco, l’introduzione di nuove tecnologie è spesso accompagnata da promesse utopistiche di un accesso più facile, una partecipazione politica più ampia e maggiori possibilità di scelta. Ma a dispetto di tali promesse, la vera scelta e la vera mobilità sono spesso grandemente esagerate. Questa discrepanza può essere confermata prendendo in esame una delle più recenti tecnologie dei media ad aver beneficiato di un’ampia diffusione: la televisione via cavo. Come fanno notare Sarah Banet-Weiser, Cynthia Chris e Anthony Freitas, «la tv via cavo, sull’orlo di un boom negli anni Settanta, prometteva al pubblico televisivo una nuova frontiera mediatica, un’ampia nuova varietà di scelte informative e d’intrattenimento».9 Gli spettatori potevano scegliere tra un gran numero di canali e sottrarsi alla morsa «oligopolistica» dei principali network. Inoltre, l’accresciuto numero di canali avrebbe aperto nuove opportunità ai produttori indipendenti per realizzare contenuti rivolti a...



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