E-Book, Italienisch, 192 Seiten
Reihe: The Passenger
Vv. The Passenger - Londra
1. Auflage 2024
ISBN: 978-88-7091-765-9
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 192 Seiten
Reihe: The Passenger
ISBN: 978-88-7091-765-9
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Londra città aperta. È la sua forza e la sua maledizione. Aperta e cosmopolita, con una popolazione multietnica che la connette ai quattro angoli del pianeta; aperta agli affari e all'Europa, come insistono i suoi sindaci pre e post Brexit; e aperta ai flussi della finanza globale e agli investimenti immobiliari di miliardari felici di parcheggiare i loro soldi in una grande metropoli di lingua inglese, dove lo stato di diritto e leggi clementi garantiscono loro anonimato e sicurezza - per non parlare del glamour. E così le case più esclusive della città finiscono in mano a superricchi stranieri, i «solo» ricchi si accontentano di un gradino più basso, subentrando ai benestanti e spingendo sempre più in fuori tutti gli altri, in una reazione a catena che inasprisce una drammatica crisi abitativa dovuta alla carenza di alloggi: da decenni Londra attira nuovi abitanti, ma non costruisce le case per ospitarli. Il caro-affitti strangola non solo la popolazione a basso reddito, ma anche tutto quello che rendeva la città una vera capitale: gallerie, teatri, locali, ristoranti. E poi ci sono gli choc esterni, il triplice colpo di crisi finanziaria, Brexit e pandemia che avrebbe abbattuto qualsiasi città, ma che per Londra, centro di scambi e commerci, punto di incontro dell'umanità, è stato un affronto personale, ad civitatem. Eppure Londra sopravvive e, in angoli inaspettati della sua vastità, lontano dal richiamo turistico di Buckingham palace, fiorisce: nelle comunità sudasiatiche a due passi da Heathrow, dove seconde, terze generazioni creano generi musicali che diventano globali; nei campi di calcio della Londra Sud nigeriana, dove crescono i talenti della nazionale inglese; nelle gallerie che nascono in zone periferiche, dove artisti un tempo poco considerati vengono riscoperti e rivalutati; nei ristoranti fuori dai confini porosi del centro, dove mescolanze e combinazioni inedite vengono testate prima di diventare nuove tendenze. E nell'eterna girandola di quartieri che si atrofizzano di gentrificazione (una parola, se non un fenomeno, inventata a Londra per Londra) e altri che diventano insospettabili centri di creatività, Londra respinge e accoglie, cambia e si trasforma. E, fedele a se stessa, rimane aperta.
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DI CHI È LONDRA?
Mentre la lista dei più grandi proprietari terrieri della capitale si evolve seguendo i flussi del capitale finanziario globale, molti luoghi che erano pubblici diventano privati. Chiedersi di chi è Londra vuol dire in realtà chiedere: chi è Londra?
LEO HOLLIS
LEO HOLLIS — Storico e urbanista, lavora in editoria. È autore di tre libri su Londra, dove vive – (Weidenfeld & Nicolson, 2008), (Weidenfeld & Nicolson, 2011) e (Oneworld, 2022) – oltre che del bestseller internazionale (Bloomsbury, 2013). Sta scrivendo un libro sul futuro delle città, .
Provate, un giorno qualsiasi, a uscire dalla stazione di Liverpool street e a fermarvi sul marciapiede di fronte a Bishopsgate: vi troverete immersi nel turbine della City. È un luogo in perenne movimento. Londra è una città che si compiace della propria velocità. Ma sostate un momento e guardatevi intorno.
La via che vedete davanti a voi è congestionata dal traffico. Quella strada esiste dall’antichità, con il nome di Ermine street. Furono i romani a costruirla per collegare Londra a York, ed eressero anche una porta – Bishopsgate – per presidiare l’ingresso nella capitale. Da allora la città si è espansa verso est, i confini storici si sono dissolti, delle mura restano solo alcuni frammenti irregolari di malta e mattoni, le porte perdurano solo come toponimi. La via, nondimeno, sopravvive, testimonianza concreta del fatto che la storia di un luogo non va cercata solamente negli edifici e nell’ambiente circostante, ma nella forma e nei flussi di una città.
Di primo acchito è un’immagine confusa. I grattacieli di vetro e acciaio dominano l’orizzonte. Tutto è nuovo di zecca, non ha più di dieci anni. Fino a poco tempo fa, quest’area non faceva parte del distretto finanziario, impropriamente chiamato la «City» (con la C maiuscola). Ora, invece, è sommersa da torri luccicanti che riflettono la supremazia del capitale globale sulla geografia. Tuttavia, si può ancora scorgere l’antica forma di questo quartiere guardando la fila di edifici sul lato meridionale della via.
A un primo sguardo si nota la solita proliferazione di marchi e insegne commerciali: banche, catene di fast food come Pret a manger e Kfc. Una caserma dei pompieri, costruita nel 1884, è stata riconvertita in supermercato Tesco. Sembrano edifici moderni, ma in realtà sono stati riadattati in modo piuttosto caotico. Sono stretti e hanno forme strane e altezze diverse, nulla a che vedere con il modernismo delle architetture commerciali circostanti. Non c’è uniformità nelle facciate e, malgrado la modernità che li circonda, sono di dimensioni sorprendentemente piccole e all’apparenza frutto del caso. Nella collezione medievale e rinascimentale del Victoria & Albert museum a Kensington, si può vedere la facciata di un edificio di Bishopsgate street rimossa, pressoché intatta, nel corso dell’Ottocento. Era stato costruito intorno al 1600 come dimora di Paul Pindar, un ricco mercante, nonché ambasciatore di Elisabetta I presso la corte del Sultano a Costantinopoli, ed era successivamente stato trasformato prima in negozio, poi in taverna, fino alla sua demolizione. Eppure, non sembrerebbe affatto fuori posto se venisse ricollocato dov’era, nel contesto contemporaneo.
In realtà, quello che si vede oggi sono vecchie case con facciate moderne e luccicanti, edifici che per secoli hanno mantenuto la stessa impronta lungo la strada. Lo spazio che occupano, tuttavia, non è stato determinato da un particolare stile architettonico, bensì da questioni legate alla proprietà degli appezzamenti di terreno, a seconda di quando sono stati edificati, di chi possedeva i lotti e di come sono stati poi gestiti, tramandati lungo una sequenza di inquilini che si estende, parrebbe, per centinaia di anni. Benché Bishopsgate sia una delle arterie di maggiore sviluppo della Londra odierna, con grattacieli in costruzione su entrambi i lati e gli scavi della nuova linea ferroviaria sottoterra, questo tratto di edifici è un palinsesto dell’intera città. Vi si può leggere una storia alternativa, spesso dimenticata o nascosta, ma in grado di offrirci la risposta fondamentale – e sempre più urgente – a una domanda apparentemente semplice: di chi è Londra?
La casa di Paul Pindar in un acquerello di Thomas Shepherd del 1856.
È una domanda che affonda nel problema di cos’è questa città. Il suolo è potere, il materiale grezzo di cui la città è fatta e la base di gran parte della sua ricchezza. Chi lo possiede può cavarne un profitto e stabilire come va utilizzato. Inoltre, non si può parlare della storia di questa metropoli senza comprendere la cruda realtà di chi possiede cosa, né i sottili intrecci tra diritti di proprietà, pianificazione, economia edilizia e politiche abitative. Eppure, quando si parla dell’identità di Londra, quella domanda viene regolarmente ignorata.
Insomma, chi controlla il suolo su cui camminiamo quando ci spostiamo per la città? E come impatta tutto questo sul modo in cui si è evoluta nel corso dei secoli? In che misura influenza il nostro stile di vita quotidiano? Quanto può pesare sulla politica? E, da ultimo, che effetto avrà sullo sviluppo futuro della capitale, sulle sue relazioni con il resto della nazione, e col mondo intero? «Noi costruiamo una casa» per usare una nota affermazione di Winston Churchill «e poi la casa costruisce noi.» Vale lo stesso per una città. Quello che voglio raccontarvi non prende le mosse dall’ambizione di un cliente, dai progetti di un architetto, e nemmeno dalla posa di una prima pietra, ma dall’area edificabile, dal suolo che la comprende.
Proseguiamo il nostro percorso lungo Bishopsgate dirigendoci verso ovest, verso la City. Il primo grattacielo che si incontra guardando alla nostra destra si chiama 100 Bishopsgate, dal numero civico. Il terreno su cui insiste questo edificio ultramoderno, terminato nel 2019, ha una lunga storia. Originariamente di proprietà di una comunità religiosa, il monastero di Sant’Elena, nel 1543 venne acquistato da una corporazione londinese, la Leathersellers’ company. Una vendita resa necessaria dalla soppressione dei monasteri voluta da Enrico VIII, il quale requisì tutte le proprietà religiose dopo la conversione dell’Inghilterra al protestantesimo.
Nel 2010, il terreno venne acquistato dalla Great Portland estates, una società immobiliare nata per gestire le terre di proprietà dei duchi di Portland. Questa nobile famiglia era arrivata a Londra dall’Olanda con Guglielmo III nel 1689 e aveva sviluppato l’area a nord di Oxford street (chiamata Portland estate) che le era stata concessa per la fedeltà dimostrata al nuovo re durante la Gloriosa rivoluzione. I duchi di Portland, tuttavia, non sono gente che vive nel passato. Nel 2010 hanno creato la 100 Bishopsgate partnership, costituita con fondi dei nobili proprietari e capitali della Brookfield properties, una società di gestione immobiliare con sede a New York. La collaborazione tra un’antica famiglia di proprietari di terreni nel West End e un’impresa che opera sul mercato internazionale è una tipica vicenda della Londra contemporanea. Ma come dimostra questa storia, il passato non scompare completamente: il potere della terra continua a evolversi e a prevalere.
Destinazione successiva nel nostro giro: lasciamo Bishopsgate ed entriamo nella zona pedonale di Devonshire row, la viuzza che sfocia nel relativo silenzio di Devonshire square, un tempo proprietà dei duchi del Devonshire. Qui si respira un’aria vagamente antica. Di recente ristrutturata in un’operazione di cosiddetto , il termine di moda tra gli immobiliaristi per i progetti che metterebbero al centro i consumatori, sembra l’immagine specchiata di un’incisione su legno di fine XVII secolo, in cui appare come una piccola enclave raccolta intorno a una piazza. Un’eredità che racconta un’altra storia che ci riguarda, quella del proprietario terriero e dell’immobiliarista.
Questa piazza è opera di Nicholas Barbon, una delle figure più importanti, benché dimenticata, nella storia dell’edilizia civile di Londra. Nato verso la fine degli anni Trenta del Seicento (e gravato fin dal battesimo da un secondo nome di stampo chiaramente puritano: Se-Gesù-non-fosse-morto-per-te-saresti-stato-dannato), Barbon fu il principale pensatore su questioni di edilizia e uso del territorio nel periodo immediatamente successivo al Grande incendio di Londra del 1666, da cui è nata la città moderna. Nel settembre di quell’anno, quasi tutta la City venne distrutta da un incendio, che ridusse in cenere più di 13mila case lasciando centinaia di migliaia di persone senza abitazione. Iniziò allora una corsa disperata a ricostruire la capitale. Barbon, più di tutti, vide in quella catastrofe...