E-Book, Italienisch, 567 Seiten
Bangs / Marcus Guida ragionevole al frastuono più atroce
1. Auflage 2018
ISBN: 978-88-7521-992-5
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 567 Seiten
ISBN: 978-88-7521-992-5
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Quello che avete fra le mani è uno dei libri rock più famosi di tutti i tempi. Lester Bangs è stato uno dei critici musicali di culto degli anni Settanta, e più in generale una figura cardine della controcultura americana (come tale è stato immortalato, ad esempio, nel film Almost Famous); questa antologia raccoglie i suoi scritti migliori, in cui la critica vera e propria si mescola di volta in volta con il reportage da dietro il palco, i ricordi personali, la confessione intima, la lettaratura visionaria, il delirio lisergico. Dai Clash a Lou Reed, da Van Morrison ai Kraftwerk, dai Jethro Tull a James Taylor, passando per i movimenti giovanili, la drug culture, la stampa, i media, la politica, il Vietnam, i saggi di Bangs disegnano l'affresco sovversivo di un'epoca leggendaria della musica (e della cultura) contemporanea.
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PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA
A essere sinceri sono tanto alienato e schifato da chiedermi se davvero voglio fare qualcosa nei prossimi anni. Vedi, la questione è: sta diventando tutto come la rivista Tutta la radio, tutta la stampa, sta diventando così, anche l’industria editoriale. Ieri parlavo col mio agente e gli ho chiesto: «Pensi che di questo passo l’unica cosa vendibile sarà la biografia-marchetta di una celebrità?», e lui ha risposto: «Non lo so». Capisci, io me ne sto qui e mi chiedo se, come scrittore, non sarebbe meglio lasciar perdere tutta questa roba. Non mi metto certo a fare sviolinate strappalacrime, perché, come ho detto prima, so che mi è andata bene, non devo alzarmi la mattina e andare a lavorare in fabbrica dalle nove alle cinque o qualcosa del genere. E ho delle entrature, e tante altre cose, quindi non dovrei fare pena a nessuno. Ma allo stesso tempo, tutti quelli che conosco sono completamente alienati, scoglionati, nauseati da tutto, e so che gran parte di quelli che lavorano nei media e ci propinano questa roba sono alienati come lo è il pubblico. Il pubblico compra solo perché non gli viene offerto qualcos’altro. E, personalmente, mi chiedo quand’è che la gente comincerà a dire: «No! Mi rifiuto, non ne voglio più!»
Lester Bangs, intervista a , 1980
Santo beatnik, Lester. Critico , pazzo genio della scrittura , visse veloce d’arte e d’amore, incarnò lo spirito del rock’n’roll, morì giovane e povero ecc. ecc.
Di là dall’Atlantico, dopo anni di ’sti cliché, c’è chi riflette su Lester in modo nuovo. Qui da noi tocca invece attraversare quella fase, da zero come fosse appena morto, ché ben poca gente sa chi sia ’sto Lester Bangs.
Sfortunato, Lester, in Italia. Articoli in oscure fanzine che li conti sulle dita d’una mano, e poche traduzioni cagnesche, che dico, in faccia al lettore tant’erano brutte. Niente di più.
Urge dunque un po’ di lavoro sporco. Cliché rigorosamente tra virgolette: Leslie Conway Bangs detto «Lester» (1948-1982), il critico rock più influente («seminale») «di tutti i tempi» (non c’è gara, non c’è mai stata). Scrittura influenzata da Kerouac e Burroughs. Sul finire dei Sixties, con Richard Meltzer e Nick Tosches («the Noise Boys») si mette di gran lena a «gettare le basi» della critica rock «militante» («in anticipo di ben quattro mesi e mezzo su chiunque altro», dirà Meltzer).
In pochi anni, Lester entra nell’empireo del , per capirci: Tom Wolfe, Gay Talese, George Plimpton, ancorché più giovane di tutti costoro e in posizione defilata, nel «sottogenere» (narrazioni picaresche imbottite di sostanze psicotrope), capostipite Hunter S. Thompson, e nel dentro un ulteriore sottogenere, lo scrivere rock (che non è semplicemente lo scrivere rock).
Grafomane panatlantico, viene pubblicato su , , e il . Canta in diverse band e incide qualche disco (mentre scrivo ascolto , Lester Bangs and the Delinquents, mp3 a 128k trovati su una scarna pagina web).
Nel mondo di favella inglese è una «leggenda», Lester, canonizzata nell’antologia postuma che avete tra le mani (1987, a cura di Greil Marcus), nel film di Cameron Crowe (2000, Lester interpretato da Philip Seymour Hoffman), nella biografia scritta da Jim DeRogatis (2000) e in un’antologia più recente, (2003, a cura di John Morthland).1
Ultimi . Lester figura in una canzone dei REM: «It’s the End of the World ecc.» È menzionato accanto a Leonard Bernstein, Leonid Breznev e Lenny Bruce, lo scenario è una festa di compleanno. Poi ci sono i Ramones di «It’s Not My Place». Lester è nominato accanto a Phil Spector, Jack Nicholson e Clint Eastwood.
Curioso che entrambe le band chiamino in causa Lester per parlare del mondo e del mondano, in versi composti di nomi di vip. Non è mica un vip, Lester, è anzi l’outsider perenne, ostile a qualunque e buttafuori. Piuttosto che entrare nel club «esclusivo» s’unisce agli sul marciapiede, fraternizza coi respinti dal .
Lester ha/incarna un’idea del rock’n’roll comunitaria, democratica, solidaristica. Nemico d’ogni pretenziosità e solipsismo, fa a pugni con lo degli anni Settanta, negli Stati Uniti (e nel rock) periodo di Restaurazione come dopo il Congresso di Vienna: parrucconi incipriati, verticismo, culto della celebrità, virtuosismo «progressivo» fine a se stesso... «Peccato che ti sei perso il rock», dice Lester a William Miller all’inizio di .
Lester contrasta la Restaurazione esplorando, procedendo a tentoni, vagando nella notte in cui tutto il rock è grigio. Propugna «altri concetti di bellezza», glorifica «il frastuono atroce» fin quasi a condividere l’hobby di Stan Murch, personaggio dei romanzi di Donald E. Westlake. Murch compra e ascolta solo dischi con rumori di auto in corsa: accelerano, scalano di marcia, rallentano, arrivano vicino, di nuovo s’allontanano. È nel mood più oscuro dell’epoca sentire sinfonie dentro . Perlomeno, Lou Reed è convinto di avercele messe.
Sa scrivere, Lester. Da piccolo scrive sequel alle storie di Verne, Stevenson, Dumas. Prima adolescenza, si tuffa nella letteratura di genere, fantascienza soprattutto, , roba osteggiata dalla madre testimone di Geova: la Bibbia non parla di vita su altri pianeti, quindi non ce n’è, fine del dibattito.
La scoperta della Beat Generation ha il prevedibile effetto disinibente. Intendiamoci, le solite cose: scrittura automatica, fame d’esperienza, tendenza a «innamorarsi all’istante» (del mondo, di una donna, di una canzone), voglia di scrivere «come un danzatore che agita il culo», tristezza quando il mondo delude le aspettative. Ma comprimete tutto questo nella recensione di un lp, massimo tre cartelle, e avrete una cosa diversa, lo stile che apre a Lester le porte di . Su quelle pagine scriverà il necrologio di Kerouac, e il cerchio potrebbe anche chiudersi.
Ma non si chiude. Dopo un po’ gli va stretta, inoltre il direttore Jann Wenner lo caccia (non parla bene dei dischi dei vip), rieccolo a Detroit, la città di , rivista più free-form con cui può andare a briglia sciolta. Da quelle pagine impone l’uso delle espressioni «punk rock» e «heavy metal». Scrive di Mingus e di free jazz: Albert Ayler, l’ultimo Coltrane. Recupera la versante «duro» (Troggs e Yardbirds) e il garage rock più oscuro modello Count Five. Analizza il rock-blues malarico e sghembo alla Captain Beefheart. Idolatra i Velvet Underground, o meglio, Lou Reed: acquitrini d’inchiostro sul loro «rapporto di amore/odio». Fa di Stooges e MC5 due cavalli di battaglia. S’addormenta ogni notte ubriaco con Iggy o i Black Sabbath in cuffia.
La metà dei Seventies lo trova non poco scoglionato, c’è siccità nel mondo del rock. Si sposta a New York in cerca di una fonte, e la trova: pianta le tende nell’oasi del CBGB’s: Ramones, Television, Voidoids, Patti Smith Group.
Pian piano si scosta dalla scrittura spontanea, s’avvicina di più al modello dello scrittore , che lima, cancella, riscrive, cesella. Non proprio la «fatica nera» d’un Fenoglio, ma nemmeno il rotolo di carta di . Non è il solo: Richard Meltzer afferma di scrivere ormai «più lento della merda ghiacciata».
La «grande truffa rock’n’roll» è l’ennesima ustione all’anima. «Ogni decennio un auto-raggiro», così Lester riassume la propria vita. Gemebondo, batte le vie di Manhattan e indaga sulle morti di Sid & Nancy. Scopre di far parte della schiera dei carnefici.
Prova a trasferirsi in Texas ma cambia idea. Vuole disintossicarsi da alcol, speed e Romilar. Alle serate degli Alcolisti Anonimi c’è anche Lou Reed. L’età della fattanza da ribelle/«maledetto» è finita, o almeno dovrebbe. Certe cose divertono se le scrive Bukowski (a volte, nemmeno sempre), ma scritte da uno qualunque dei millanta epigoni sparsi per l’Orbe... Il mercato dell’attenzione è saturo e farcito di . Il ribelle/«maledetto» è animale da sacrificio per i fighetti, che gli caricano la molla e vivono, tramite lui, trasgressioni . Infine il punkabbestia torna da papà, ed è pure questo un cliché nauseabondo, tanto che fa schifo enunciarlo.
«Basta con le stronzate sull’amare la morte, una persona ha il dovere di trarre il meglio dalla vita», scrive Lester. C’è chi lo liquida con la parola tabù: . Sempre più sovente fanno capolino nella sua prosa parole come e .
Il «nichilismo» è il nemico ed è bello avere un cuore, ma iniziano gli anni Ottanta, decennio antisociale anzichenò. Comincia l’era del videoclip e di MTV, trafficante di celebrità immeritate. «Il videotape è freddo», dice Lester. Come lui la pensa Jack Horner in : «Se si vede di merda, e si sente di merda, allora dev’essere merda».
Parla di andare in Messico a scrivere «il suo romanzo»,...