E-Book, Italienisch, 147 Seiten
Barthelme Dilettanti
1. Auflage 2015
ISBN: 978-88-7521-660-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 147 Seiten
ISBN: 978-88-7521-660-3
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Bizzarro, grottesco, surreale. Dopo il romanzo Biancaneve e le raccolte Ritorna, dottor Caligari, Atti innaturali, pratiche innominabili e La vita in città, Donald Barthelme torna con questa antologia di racconti pubblicati in volume nel 1976. Uno dei maestri del postmoderno americano, ispiratore di scrittori come Aimee Bender, Donald Antrim e David Foster Wallace, colpisce ancora con ciò che di meglio sa fare: giocare con i segni creando collage di parole, oggetti, personaggi e linguaggi (quotidiani, televisivi, filosofici, ecc.) che nel loro disordine organizzato fissano e svelano la natura ridicola, frammentata e crudele della società e dell'individuo con effetti comici e assieme stranianti. Ecco allora diciannove allucinazioni, flash, lampi caustici e irriverenti dove toreri, vescovi, genitori in lutto, tranci di pescespada, sergenti e palloncini color burro si mescolano a stringhe di discorsi su Dio, sul matrimonio, sull'acquisto di una cittadina e sull'impiccagione di un amico, in quella che ci si può azzardare a definire come una raccolta dell'indefinibile. Con una prefazione inedita di Christian Raimo.
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PREFAZIONE
«Signor , perché nel modo in cui ?»
«Perché nel modo in cui già ».
Microprefazione psicagogica
Tutte le prefazioni, i saggi, gli articoli, le recensioni che ho letto su Donald Barthelme negli ultimi anni condividono la stessa ovvia ambizione – ribadire che razza di autore formidabile sia Barthelme – ma anche un altrettanto ovvio tono risentito e lamentevole: il suo è un nome scomparso dal pantheon dei titani della letteratura mondiale; i suoi libri non vengono ristampati, vendono poco se non pochissimo; di fatto è uno scrittore di nicchia, o di culto se siamo benevoli.
Anche questa prefazione non farà eccezione, per quanto riguarda la prima ovvietà. Anche io sosterrò questa tesi basilare: Barthelme è uno scrittore capitale nel Novecento. Cercherò anzi di darne una versione ancora più apodittica. Barthelme può essere uno scrittore paragonabile a un Kafka per la capacità di rinnovare la stessa pensabilità della forma racconto, o a un Beckett per il suo talento nel definire i limiti dello spazio letterario: insomma uno scrittore che regge qualunque paragone iperbolico.
Ma mi spingerò ancora più in là, provando ad asseverare che i suoi libri, compreso quello che avete in mano, sono testi non solo da leggere ma da rileggere, e più volte: la loro spiazzante, immaginifica singolarità non smette – alla seconda, alla terza, all’ennesima lettura – di produrre sorpresa, perturbamento. Alla mia trentesima lettura della «Scuola» (un racconto breve inserito in questa raccolta), se vogliamo proprio portare un esempio concreto, io non riesco a evitare che affiorino delle lacrime di gioia nei miei occhi, o che si generi una specie di moto perpetuo cognitivo: di fatto, una sensazione assimilabile solo all’effetto di una sostanza dopante.
Per quanto riguarda la seconda ovvietà – è vero, Barthelme è uno scrittore non conosciuto quanto dovrebbe – proverò a rovesciare il tavolo e a tirarvi dentro questo libro con una prefazione euforica, forse risultando stucchevole con i miei toni da piazzista, o peggio ancora da innamorato della prima ora, da neofita evangelista, e magari finendo per ottenere un effetto contrario al mio obiettivo (che è quello che voi non soltanto diventiate lettori di Barthelme, ma che ne diventiate )
Non riesco d’acchito a capire se questa mia sia una strategia efficace, oppure dovrei ispirarmi a quella contraria, sul modello per esempio della che Dave Eggers ha usato nella sua introduzione all’antologia , uscita negli Stati Uniti una decina di anni fa, in cui scriveva: «Se oggi Barthelme apparisse, vestito di jeans e velluto e in testa un cappello di feltro, difficilmente troverebbe un editore».
Certo, fatta la tara del tono disfattista, la profezia di Eggers aveva un valore quantomeno di denuncia rispetto a un universo di lettori colpevoli e viziati, abituati a storie con un inizio, uno sviluppo e una fine, storie catalogabili subito in una categoria ben precisa come prodotti, ciascuno sul proprio scaffale , etc... Ma rileggendo questa raccolta, , mi veniva da considerare anche la fortuna che è capitata a voi lettori italiani: la meritoria antologia con la prefazione di Eggers uscita negli Stati Uniti raccoglie in un paperback i quaranta racconti più famosi di Barthelme, ed è una specie di ulteriore selezione rispetto a un’altra antologia molto diffusa, che si chiamava . Ora, il fatto che nelle librerie americane sia possibile trovare questi due libri, da una parte ha reso Barthelme un autore quantomeno canonizzato soprattutto per le scuole di scrittura, dall’altra però ha fatto scomparire le singole raccolte di racconti.
E invece eccovi , un’altra raccolta. Se la domanda ricattatoria implicita dell’editoria statunitense è: come, siete dei lettori stravaganti, dei lettori (cavolo, quanto vorrei che mi capiste come se dicessi o !), vi diamo la macroantologia, e adesso voi volete addirittura le singole raccolte? La domanda con cui si può controreplicare, solo se si è dei fan ovviamente, è: cosa preferite possedere, una raccolta antologica dei Beatles oppure i vari , e ? Insomma, avete capito che razza di tesoro avete in mano?
Microprefazione narrativa
Ma cominciamo da un’altra parte. C’è una storia che probabilmente nessuno di voi conoscerà. È una leggenda urbana che risale agli anni Ottanta. Per la precisione, a una dolce sera autunnale dell’ottobre 1986 a New York, in cui il famoso presentatore televisivo americano Dan Rather cammina per Park Avenue. Vestito casual, sta tornando a casa dopo aver cenato a casa di amici. Due uomini bianchi, sui trenta, vestiti bene – uno è alto sull’uno e ottanta, con baffi e capelli scuri – lo avvicinano. Uno dei due gli domanda un po’ alterato: «Kenneth, what is the frequency?» («Kenneth, qual è la frequenza?») Rather gli risponde stranito: «Avete sbagliato persona». Ma uno dei due reagisce male, gli molla un pugno sulla mandibola, proprio sotto l’orecchio sinistro. Rather si rifugia nel portone di un palazzo su Park Avenue, ma i due ceffi lo braccano, per prenderlo a pugni, a calci, e continuare a inveire contro di lui con questa strana domanda: «Kenneth, what is the frequency?» Finché qualcuno arriva sulla scena e i due teppisti si dileguano. Sconvolto, incredulo, Dan Rather passa qualche giorno in ospedale. I due assalitori non vengono catturati, e le ragioni del gesto rimangono misteriose, tanto da rubricarlo come un semplice caso di errore d’identità.
Dan Rather però è un personaggio celebre, il volto più noto della CBS: il suo pestaggio totalmente gratuito lascia inquietati, e soprattutto la frase «What’s the frequency, Kenneth?» diventa una sorta di tetra espressione da slang urbano, uno slogan fosco. Il cantante dei R.E.M. Michael Stipe ne resta particolarmente affascinato: «È il più grande atto surrealista accaduto in America nel ventesimo secolo. Un equivoco conturbante, spaventoso, casuale, supermediatico e anche semplicemente assurdo». Nel 1994 il primo nuovo singolo dell’album s’intitola proprio «What’s the Frequency, Kenneth?» e, nella consueta forma associativa dei testi dei R.E.M. dice cose del tipo:
«What’s the frequency, Kenneth?» is your Benzedrine,
uh-huh
I was brain-dead, locked out, numb, not up to speed
I thought I’d pegged you an idiot’s dream
Tunnel vision from the outsider’s screen
I never understood the frequency, uh-huh
You wore our expectations like an armored suit,
uh-huh
«Qual è la frequenza, Kenneth?» è la tua benzedrina,
uh-huh
Ero fuso, isolato, pigro, fuori ritmo,
Pensavo che ti avrei classificato come il sogno di un
idiota
La visione di un tunnel dallo schermo di un osservatore
Non ho mai capito la frequenza, uh-huh
Indossavi le nostre speranze come un’armatura,
uh-huh
Se l’aggressione è un atto surrealista, il pezzo di Stipe & Co. è un inno alla violenza urbana, un rito apotropaico o una presa in giro del povero presentatore pestato? Comunque sia, Dan Rather sta al gioco e nel 1995 si presta addirittura a cantarla insieme al gruppo ospite al 1 Nel 1997 il collega il nome di un tizio chiamato William Tager al caso Rather. Tager era stato arrestato per aver aggredito e ucciso un cameraman della NBC. Quando gli chiedono se per caso possa essere lui l’uomo del pestaggio, Rather dice: «Non c’è dubbio». Il mistero sembra risolto. Le ragioni di Tager sono quelle, pare, di uno schizofrenico: da anni è tormentato dalle voci che gli assediano la mente, e il suo odio contro chi lavora in televisione è generato dalla paranoia che siano parte di questo complotto ai suoi danni. Tager si farà quindici anni di prigione. Oggi vive a Manhattan, rilasciato per buona condotta.
Ma nel 2001 la rivista aggiunge un’ulteriore interpretazione a questa storia, pubblicando un pezzo di Paul Limbert Allman intitolato «The Frequency», in cui dopo aver riassunto tutta la vicenda vengono sottolineati anche una serie di aspetti incongruenti: gli uomini dell’assalto non erano due? e perché l’avevano apostrofato Kenneth? e se la frequenza a cui si riferivano era quella televisiva, perché chiedere qual era? Ok, le voci, ma c’era qualcosa che ancora non tornava.
Mentre si gingillava tra le varie ipotesi investigative, Allman ammetteva di essere incappato in un vecchio racconto (un racconto meraviglioso, chioso io), «La rivolta degli indiani» di Donald Barthelme: una storia di una decina di cartelle che fa parte della racconta . Nel bel mezzo del caos – la rivolta degli indiani ha sconvolto l’intero universo narrativo, rispecchiando il conflitto tra due innamorati – c’è questo dialogo:
«Com’e` la situazione?», chiesi.
«La situazione e` fluida», disse lui. «Noi teniamo la zona sud...




