Bertolucci / Lo Porto | Cinema la prima volta | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 474 Seiten

Reihe: Minimum Fax cinema

Bertolucci / Lo Porto Cinema la prima volta

Conversazioni sull'arte e la vita
1. Auflage 2018
ISBN: 978-88-3389-029-6
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

Conversazioni sull'arte e la vita

E-Book, Italienisch, 474 Seiten

Reihe: Minimum Fax cinema

ISBN: 978-88-3389-029-6
Verlag: minimum fax
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



Cineasta e cinéphile, Bernardo Bertolucci racconta se stesso e il suo amato cinema dall'opera prima La commare secca del 1962 al più recente Io e te del 2012. Nato da anni di ricerche negli archivi delle biblioteche di cinema e spettacolo, il volume raccoglie una selezione di interviste e conversazioni pubblicate dagli esordi a oggi su riviste di cinema e spettacolo e quotidiani nazionali e internazionali, che sono spesso condotte da altri registi (tra cui Clare Peploe, Wim Wenders, Andy Warhol, Robert Aldrich e James Franco) o scrittori e drammaturghi (Dacia Maraini, John Guare) e sempre accomunate da una fedeltà al presente e a quelle che egli stesso definisce «le intermittenze del cuore». Nelle parole delle interviste che hanno seguito ogni film (o a volte condotte proprio sui set dei film) si ritrova così quel giusto equilibrio tra etica ed estetica che appartiene alla sua opera, realizzata senza compromessi e con coerenza, e sempre con la consapevolezza che «la cosa più importante è rimanere fedeli a se stessi». A cura di Tiziana Lo Porto.

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POLITICA E POETICA DEL NUOVO CINEMA ITALIANO


Erano film in 16 millimetri. Uno si chiamava . All’epoca avevo quindici anni, e quel soggetto aveva per me un valore mitologico. L’ho girato in campagna, perché ho una casa vicino Parma. Poi ho fatto un film su mio fratello minore e le mie cugine più piccole che si chiamava . Più avanti ho fatto da aiuto regista a Pasolini in , che considero uno dei film più importanti del cinema italiano. Avrei voluto lavorare ancora con lui, ma un produttore1 mi ha proposto di scrivere una sceneggiatura su un soggetto di Pasolini che lo stesso Pasolini non voleva girare, e così ho scritto . Era il produttore di , un produttore mainstream, ma si fidava molto dei giovani. La mia sceneggiatura gli è piaciuta e ha voluto che fossi io a girarlo. Di colpo mi sono ritrovato davanti a un film che non avevo scritto per me, ma per un altro regista, e lì ho scoperto che quando cominci a girare, anche se sei tu ad avere scritto la sceneggiatura del film, è sempre come se l’avesse scritta qualcun altro.

Il film è stato presentato in anteprima a Venezia nella «sezione informativa», dove una parte della critica l’ha accolto benissimo e un’altra malissimo. Non credo che quel film voglia dire molto, o perlomeno vuole dire qualcosa di molto semplice. Vuole cercare di rappresentare attraverso le immagini l’idea di base di ogni poeta: il passaggio del tempo, lo scorrere delle ore. Come idea trovo sia estremamente umile. Avevo scritto poesie, non avevo mai fatto cinema, nel senso di vero cinema, e per fare questo film avevo bisogno di un’idea guida. Quest’idea è stata la resa dello scorrere umile dei minuti della giornata.

In Antonioni il passaggio del tempo assume dimensioni decisamente più grandiose. In fondo Antonioni è il poeta epico dello scorrere del tempo. Nel suo cinema c’è l’enorme, la dimensione unica. Il mio film invece tratta le cose più nascoste, le più difficili da scoprire, al punto che solo in pochi l’hanno capito. Quindi direi che no, non ha nessuna relazione con Antonioni.

Sì, tra i quattordici e i ventuno anni ho scritto una raccolta di poesie, che è stata pubblicata in Italia2 e ha vinto un premio due giorni prima che il mio film venisse proiettato a Venezia. Sono arrivato al festival con questo premio che in Italia è importantissimo, il premio Viareggio, e la cosa ha irritato parecchia gente. Avere appena vinto un premio e andare a Venezia con un film era un po’ troppo. Sembrava un’operazione promozionale, e risultava antipatica. Dall’esterno forse anch’io avrei avuto quell’impressione, ma mi sono ritrovato al centro della faccenda e ne ho subito le conseguenze. È così che ho imparato molte cose ahimè importanti.

L’ho già detto più volte, per me non c’è nessuna differenza tra il cinema e la poesia. Nel senso che non c’è nessuna mediazione dall’idea alla poesia, così come non ce n’è dall’idea al film. L’idea deve già essere poesia, altrimenti non può diventarlo. Per scrivere le mie poesie e dirigere i miei film ho seguito lo stesso processo. Le connessioni tra la poesia e il cinema sono infinite. Credo, per farla breve e generalizzando, che nella poesia ci siano dei valori semantici che si possono ritrovare anche nel cinema. Alcuni critici di cui mi fido hanno trovato nei miei film emozioni liriche. E credo sia questo il punto in comune tra la mia poesia e il mio cinema.

Vorrei continuare a scrivere poesie, e ne ho scritte fino all’anno scorso. Purtroppo il cinema assorbe totalmente. È talmente invadente che è difficilissimo riuscire ad avere altri impegni; ma scriverò altre poesie. E soprattutto, anche facendo cinema, bisogna continuare a leggere. Molti registi che conosco si sono lasciati prendere completamente dal cinema, non hanno più alcun contatto con nessun’altra cosa, la letteratura per esempio, ed è un vero peccato. Ma è il cinema a volerlo, e bisogna essere forti per riuscire a evitarlo.

Nella mia cultura letteraria, e anche in quella cinematografica, c’è all’inizio uno stadio infantile, poi arriverà la maturità, non so quando, forse verso i trent’anni. Ho iniziato come tanti con Garcia Lorca, Dylan Thomas, T.S. Eliot. Ho amato molto Emily Dickinson, e poi mi sono avvicinato a Rimbaud e Baudelaire. Tutti autori che a rileggerli adesso mi fanno provare lo stesso entusiasmo. Forse sono loro quelli veri, i più importanti. Mi piace anche la nuova poesia americana, che fa dell’esperimento la propria ragion d’essere. Ma i grandi poeti sono quelli che citavo prima, e anche Brecht, che però è un drammaturgo...

Sono andato molto al cinema. Per anni ho visto quattro film al giorno, e ancora adesso mi piace molto andarci. Ma faccio molta fatica a discutere di cinema: basta che mi sia piaciuto un solo minuto di un film per difenderlo, e quindi i film che amo sono tanti. La cosa che mi ha più toccato negli ultimi anni è stato guardare per la prima volta di Dreyer dopo aver già visto di Godard. È stato stranissimo, perché mi è sembrato che Dreyer dovesse qualcosa a Godard.

Prima della rivoluzione La donna è donna

Non tanto. Tocca il mio lato meno profondo, il mio lato music-hall. È un film che ho capito meglio due anni fa, a Venezia, guardando i film di Lubitsch, che non conoscevo. Non credo che in Godard tutte le citazioni e tutti gli omaggi siano, come dice Benayoun, un segno di ignoranza o la ricerca di un appoggio esterno, ma che al contrario testimonino una vera cultura, una scelta in cui gioco e snobismo sono lì per una ragione.

A essere sincero, alcuni dei film che amo di più non piacciono ai , e viceversa. Per esempio amo , ma non . A differenza di voi dei il cinema americano non mi piace nella sua interezza. Trovo sia un cinema che, pur non avendo niente da dire, sia riuscito a dire cose importanti e ad affermarsi grazie ad alcuni autori. Ma capita anche di vedere gli stessi registi fare film orrendi e film straordinari. A differenza di voi non amo ma ammiro altri film di Hawks, tra cui l’ultimo, . È il film di un vecchio saggio, e quindi un film giovane e pieno di grazia. Ma la struttura economica hollywoodiana non è il paradiso terrestre che i talvolta sembrano immaginare.

Rossellini è il più grande, e ho imparato ad amarlo – mi vergogno a dirlo – grazie ai . Ho cominciato a leggere la rivista dopo averla trovata a casa, perché mio padre faceva il critico cinematografico e la leggeva da tempo. Rossellini l’ho scoperto così. Non ho ancora visto il suo ultimo film sul ferro,3 non lo conosco di persona, e non voglio conoscerlo, perché i nostri miti spesso si dissolvono quando li trasportiamo nel mondo reale.

Prima della rivoluzione Certosa

Sì, ma non trovo che in la presenza di Stendhal sia così evidente. Se i miei personaggi si chiamano come quelli della , è perché quando ho pensato al film l’ho immaginato come un film-romanzo, e visto che è il più grande romanzo che sia mai stato scritto, ho pensato di dare i nomi dei personaggi del romanzo a quelli del mio film. Un omaggio che tutti quelli che iniziano a scrivere un romanzo dovrebbero rendere al più grande romanziere mai esistito.

Sì, sono coincidenze... Lo sapete anche voi come funziona il cinema: all’inizio uno ha un’idea, e quell’idea cambia completamente quando si comincia a girare, e in un battito di ciglia è cambiato tutto. All’inizio la mia storia era una moderna, poi si è trasformata fino a diventare un’. Mano a mano che si trasformava restavano tracce di ciò che era stata un tempo: all’inizio , poi . E forse il film è pieno di quelle tracce, di quei ricordi.

Ho dovuto cambiarla, perché quando ho cominciato a girare, leggendola, mi sono chiesto chi l’avesse scritta. Era lunga e dettagliata, era un romanzo che conteneva tutti i miei difetti, tutte le mie ossessioni letterarie. Mi sembrava di leggere una sceneggiatura non mia, e allora ho cambiato un bel po’ di cose. Mi sentivo lontanissimo da quello che avevo scritto, al punto che il mio prossimo film non avrà una sceneggiatura precisa.

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