Blatto | Sto ascoltando dei dischi | E-Book | www.sack.de
E-Book

E-Book, Italienisch, 320 Seiten

Blatto Sto ascoltando dei dischi


1. Auflage 2020
ISBN: 978-88-6783-290-3
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark

E-Book, Italienisch, 320 Seiten

ISBN: 978-88-6783-290-3
Verlag: ADD Editore
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark



'Sto ascoltando dei dischi' perché, la nostra vita, a conti fatti, non è come una canzone? Parole, piccole pause, ritornelli, arrangiamenti, assoli e cori. Tradurre in musica la vita è compito dei musicisti, spiegarsi attraverso le canzoni appartiene invece molto alla letteratura, ma abbastanza anche alla psicanalisi. Amare la musica e i dischi tanto da confondere la vita con le canzoni e il pop con la realta? e? la malattia dell'autore di questi racconti. In un succedersi di situazioni esilaranti, psicologi, consulenti familiari, terapie di gruppo, medici e addirittura la Morte tentano di curare il protagonista dalla sua ossessione per la musica. Ci riusciranno? Vincera? Freud o avranno la meglio i Beastie Boys? Il terrore per il reggaeton e? curabile? Davvero non conoscete i Lucksmiths e le loro connessioni con il diabolico pupazzo Furby? E? possibile mettere in scena The Queen Is Dead degli Smiths? Vita privata e analisi musicale si fondono in un testo travolgente, in cui sono le canzoni a fornire il ritmo all'esistenza dell'autore, scandita attraverso ricordi personali e aneddotica rock. Sto ascoltando dei dischi e? narrazione, riflessione e playlist ininterrotta; un invito a tuffarsi nelle passioni melodiche, accomodandosi sul divano con il giusto sottofondo musicale. «Maurizio Blatto vive immerso in un universo parallelo, in cui ogni sentimento, ogni luogo e ogni oggetto è definito da una canzone. Vive immerso nella musica, cittadino di un mondo a parte pieno di vita e di colori, dove ogni cosa è immortale. Una malattia da curare? Alla domanda posta in questo libro ha trovato una sola risposta: 'No, è una salvezza'. Perché i sogni realizzati ci salvano la vita.» - Mario Calabresi

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1 | Lo psicologo


«Prego, si accomodi.»

Lo psicologo, che mi è stato consigliato, ha l’aspetto rassicurante di un collezionista di jazz: cardigan, camicia azzurra e un profumo con un sentore di lavanda. Diciamoci la verità, mi ci hanno mandato, qui. La mia ossessione per le canzoni e i dischi sembrava spaventare chiunque mi conoscesse, e così mi hanno fatto gentilmente notare che, , il supporto di un professionista avrebbe potuto aiutarmi anche nelle piccole scelte quotidiane. Farmi capire che non si poteva andare sul serio a vivere nel Village Green dei Kinks e che potessero esserci domande filosoficamente più rilevanti di di Sandy Denny. O che non tutto lo scibile umano riuscisse a offrire un aggancio alle canzoni di Neil Young. Così quando mi dissero che la mia eventuale terapia sarebbe stata gestita proprio da uno , mi sono convinto a provarci. Magari avrebbe funzionato, mi sarei liberato dalla sindrome di Jonathan Richman, dall’idea di riuscire a vivere in un mondo onesto e sincero come una pop song della Motown. Quindi eccomi, entro senza pregiudizi e mi siedo su un divanetto. «Si metta comodo. Direi che la cosa migliore, per conoscerci, è che mi parli un po’ di lei. Soprattutto di questa sua passione sfrenata per le canzoni.» Sposto un paio di cuscini e decido di testare la sua professionalità. «Quindi lei consiglia un ?». Silenzio. La citazione cade nel nulla. Sarà una tecnica. Rimango muto anche io.

«Proviamo a iniziare. Lei è un DJ?»

«Bè, non esattamente. Qualche volta l’ho fatto, ma non sono state esibizioni memorabili. Una volta ho stroncato irrimediabilmente la festa di un diciottenne azzardando una scelta da dei PIL e abitualmente finisco per selezionare sempre rocksteady o indie rock inglese, ma qualche buon momento diciamo che l’ho avuto anche io. Il migliore, forse per caso.»

«Bene, me ne parli.» Mi rilasso e lascio partire il flusso di coscienza.

«Al limite, portati gli ELO», questo il saggio consiglio del subappaltatore della mia serata: Tony, in arte D.J. Hooker, abile gioco di parole (apprezzato da tutti) su , il poliziotto del telefilm anni Ottanta. Tony era un riempipista assoluto ed era stato ingaggiato per un compleanno in un locale affittato per l’occasione, appena oltre il centro cittadino. «Ho il matrimonio di mia cugina, vai tu al posto mio, è una serata facile, gente senza pretese. Al limite, portati gli ELO»

All’epoca mi esibivo come D.J. Salinger, abile gioco di parole (compreso da nessuno) sullo scrittore J.D. Salinger ed ero uno svuotapiste assoluto, il classico appassionato che confonde le proposte radiofoniche notturne con le sacrosante pretese ginniche dei danzatori. Ma i soldi mi facevano comodo e accettai, mettendo in borsa dell’Electric Light Orchestra. Quel disco è un killer, va detto. Ha almeno tre singoli bomba e la sua zuppa Beatles + disco + archi + assoli da session man + prog britannico è talmente improbabile da affascinare già in partenza. E poi Jeff Lynne, con il look immutabilmente peloso e gli occhiali da Fiat 128 Rally non può non ispirare simpatia. La festeggiata, una donna la cui solida avvenenza sembrava non interessare nessuno, si aggirava nervosa per la sala, tristemente agghindata come una festa delle medie per quarantenni, e mi indicò la mia postazione giubilandomi con un minaccioso: «Mi raccomando». I segni della tragedia erano tutti evidenti: cabaret di panini dolci (salame e un velo di burro, persino la capricciosa già vermiglia), alcuni festoni refrattari allo scotch, seggiole da sede periferica di partito allineate, invitati privi di qualsiasi amalgama. Iniziai a sudare. Feci girare i primi vinili, musica di sottofondo, azzardai un Aztec Camera, che venne accolto senza un solo cenno di comprensione, e proseguii incurante, con la cuffia appoggiata su un orecchio, indizio inequivocabile, insieme alla birra affiancata al mixer, che ero uno che la sapeva lunga. Nessuno ballava, chiacchieravano con la tensione tipica delle occasioni in cui ci si inizia a domandare: «Ma alla fine, qui succede qualcosa?». Fu a quel punto che si avvicinò uno che riconobbi all’istante come un dirigente di Rinascimento Proletario. Mi guardò con disgusto mentre sul piatto stava girando Curtis Mayfield e mi chiese «Stasera la musica è tutta così?». Quanti DJ (veri) si sono sentiti rivolgere questa domanda? Plotoni, immagino. «Così come? Cosa pretendi, Franz Schubert? Gradisci accomodarti tu qua dietro ad allietare questa manica di disgraziati?» avrei voluto rispondere, e invece, mio malgrado, dissi: «Tranquillo, ora ci scaldiamo». Perfetto, parlavo già come il portinaio di Cecchetto.

Iniziai a guardare il disco degli ELO e a interrogarmi su quale pezzo scegliere. Misi però dei Clash e all’improvviso, come scosso da un esperimento di Tesla, uno dei malcapitati si catapultò al centro della pavimentazione e iniziò a ballare in modo scomposto. Mimava i riff di chitarra e serpeggiava più veloce della musica, un si direbbe ora. Bravo Snodarello, tu sì che mi dai soddisfazione. Anche il dirigente di Rinascimento Proletario sembrò gradire e capii di avere la situazione in pugno. Ma la smarrii all’istante con l’azzardo di un Talking Heads (, direi) filologicamente inoppugnabile, apprezzato però solo da Snodarello, al cui confronto David Byrne appariva un tramezzo di onice. La pista era piazza Tienanmen, io il carrarmato, Snodarello l’eroe, intorno il nulla. Avrei voluto telefonare a Tony, strapparlo dai parenti e dal taglio della cravatta, e catapultarlo qui. Lui sì che avrebbe saputo come sbloccare il dramma. Io, invece, rimasi pietrificato e osservai un invitato dalla forte nullità seduttiva che attraversò diametralmente lo zero abitativo della sala da (non) ballo, con la stessa tenacia di un figurante di in attesa di essere ingaggiato trent’anni dopo. Il segnale andava interpretato, quindi misi mano agli ELO. Mixai con la grazia di un carpentiere e sparai dritto , giusto perché era la prima e non potevo permettermi di perdere tempo. Era la mia occasione residua e feci clamorosamente centro. Probabilmente tutti i presenti sapevano di essere al capolinea, quella canzone era la nostra ultima stazione di rifornimento e facemmo tutti il pieno, per darci fuoco. Gli ELO misero insieme synth, bassone funky, violoncello, falsetto, chitarre californiane, battimani e uuuhhh assortiti. Tutto dentro, ma sì.

Gli invitati ballarono senza nessuna esclusione, persino una che si lamentava della sua carriera di bidella e aveva confrontato i turni di ferie con un collega dai mocassini di pelle di ratto si lanciò senza esitazioni. Snodarello era un dio pagano e le sue movenze attirarono nella mattanza del divino sculettare anche la festeggiata, finalmente al centro di quel microcosmo senza speranze. Tirò su la gonna centimetrandola sopra il ginocchio: avevo vinto. Jeff Lynne diceva . Sante parole. Dovetti rimetterla da capo almeno sette volte. Nel “bianco” della puntina che tornava all’inizio tutti urlavano uuuhhh e battevano le mani. Il dirigente di Rinascimento Proletario era sudato come un beluga appena emerso dalle acque e distinsi addirittura un biondo esangue in pantaloni di velluto che beveva a canna dalla bottiglia del Ginger battendo il tempo con il piede. Sono soddisfazioni. Tutti diedero il massimo, come gli ELO, sfasciarono la gabbia di remore e azzannarono la vita, buttando tutto dentro, umori, odori e ardori. . Me ne andai battendo il record come DJ che ha messo più volte nella serata lo stesso brano, mi pagarono e ricevetti anche una fetta di torta incartata accuratamente, come si fa nelle famiglie per bene. Mi concessi il lusso di un uuuhhh poco dopo aver salutato. Tutti risposero all’unisono sorridendo.

Fu il punto più alto della carriera di D.J. Salinger, certificato dall’ultimo sguardo che buttai a Snodarello e alla festeggiata, attaccati e vibranti al soffitto, come due pipistrelli uniti in sacro rito dal Super Attak Power Flex. La vita è una cosa semplice, non abbiate paura. Al limite portatevi gli ELO».

«Interessante. Lei ha mai sognato successivamente la festeggiata?».

«In che senso?».

«Magari un sogno erotico, tratteggiando il successo musicale della sua esibizione sul corpo centrale della protagonista».

«Lo escludo categoricamente. Il sogno più erotico che ho fatto, recentemente, mi vedeva in un mercatino dell’usato londinese davanti a una bancarella di dischi. In una scatola trovavo tutti, ma dico tutti, i titoli che desideravo da tempo a una sterlina. Il venditore me li metteva in una scatola di cartone e mi regalava anche il primo dei Felt, per simpatia, casomai la mia copia si deteriorasse. Lo giuro.»

Lungo i vetri appannati, cola un certo imbarazzo.

«Bene, Spostiamo l’ottica, perché arriva un momento…».

«Ah, Neil Young, certo.»

«No, intendevo, arriva un momento in cui ci si deve definire, chiarire l’insieme. La percezione che abbiamo di noi stessi è spesso divergente da quella riconoscibile da chi ci...



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