E-Book, Italienisch, 206 Seiten
Reihe: Narrativa
Blees Noi siamo luce
1. Auflage 2022
ISBN: 978-88-7091-909-7
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
E-Book, Italienisch, 206 Seiten
Reihe: Narrativa
ISBN: 978-88-7091-909-7
Verlag: Iperborea
Format: EPUB
Kopierschutz: 6 - ePub Watermark
Vivere di sola luce, liberare il corpo dalla schiavitù del cibo per crescere interiormente. È il sogno di Melodie, che con le migliori intenzioni trascina nel suo progetto estremo tre persone segnate come lei dalle sofferenze della vita: la sorella Elisabeth, più anziana, Muriël e Petrus. Violoncellista mancata e leader risoluta ma suadente della piccola comunità Suono e Amore, Melodie guida da qualche tempo i tre compagni nella pratica della musica, della meditazione e dell'apertura alle emozioni proprie e altrui, in un cammino verso l'accoglimento di se stessi e l'armonia generale. Culmine del percorso è il «processo dei 9 giorni», con cui i quattro si sottraggono alla «dipendenza» dal cibo per vivere «un'esistenza più naturale e sostenibile», in sintonia tra loro e con il mondo. Ma una notte Elisabeth muore di denutrizione, dopo che il gruppo le è rimasto accanto senza chiamare soccorso. Una morte «molto naturale», si difende Melodie quando i tre, da idealisti che erano, diventano per la polizia possibili criminali. E ora che ciascuno nella sua cella può chiedersi chi è senza gli altri, venticinque testimoni-narratori ricostruiscono a turno i fatti e s'immergono nella coscienza dei personaggi, portandone a galla le illusioni, i ricorsi all'autogiustificazione e i nuovi interrogativi. La storia che ne risulta, sfaccettata, intensa e venata d'ironia, s'ispira a un fatto di cronaca e ci offre uno spaccato del nostro tempo, colto nel momento in cui l'aspirazione a migliorarsi e il bisogno atavico di appartenenza incrociano le nuove forme di irrazionalismo e deragliano.
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1
Noi siamo la notte. Ci portiamo dietro il buio e le ubriacature, le liti tra gatti, il sonno e l’insonnia, il sesso e la morte. Chi vuole morire in santa pace, senza eccessivi drammi e seccature, lo farà preferibilmente in nostra presenza, di notte, mentre gli ignari parenti e affini del defunto dormono. In questo paese siamo noi, la notte, a vedere tanti malati di tumore, cuore e polmoni, e vecchietti decrepiti esalare quasi inosservati l’ultimo respiro. Ma conosciamo bene anche le modalità di morte meno pacifiche – risse, incidenti stradali e omicidi. Le atrocità di cui siamo state testimoni, meglio per voi non saperle, neanche se siete amanti dei film horror e avete lo stomaco forte. E comunque preferiamo non parlarne. Ci sono modi più interessanti in cui la gente può morire, come nel caso della donna che in questo momento ha la nostra attenzione, dove gli elementi riconoscibili della morte pacifica coincidono con inquietanti circostanze anomale.
L’aspetto riconoscibile: un soggiorno con arredi anni Novanta, decorazioni pacchiane alle pareti – grandi farfalle di metallo colorate, vecchi strumenti musicali di varie dimensioni – e al centro una donna addormentata con i capelli grigi e filacciosi, così magra e deperita che il cuore può cederle da un momento all’altro; accanto a lei una parente, la sorella, a giudicare dalla forma del viso, che le stringe le mani, come se cercasse così di tenere in vita la donna pressoché morta.
L’aspetto anomalo: tutto il resto, in particolare il fatto che le sorelle sono sdraiate su materassini gonfiabili al centro della stanza e la presenza di due spettatori, un uomo di mezza età e una donna un po’ più giovane, che guardano la scena seduti sul divano rosso. Entrambi pelle e ossa quasi come la moribonda, le stesse guance scavate, gli occhi infossati. Sebbene non sembrino in punto di morte, sotto la pelle intravediamo già lo scheletro. E il modo di respirare, come se temessero di incamerare una quantità eccessiva di ossigeno tutta insieme, fa capire che effettivamente non sono morti, ma se vivono lo fanno senza tanta convinzione. Forse è per questo che tengono le finestre chiuse nel caldo opprimente della giornata estiva appena trascorsa e sono al buio – dalle tende filtra solo una striscia di luce arancione del lampione davanti alla finestra, che illumina di traverso i materassini delle due donne.
Quei materassini li abbiamo notati già altre volte. Di solito a terra ce ne sono quattro, su cui la moribonda, sua sorella e gli altri due dormono uno accanto all’altra.
Per il resto in questa casa non succede granché. Non è gente che tira tardi, tranne la donna sul divano, che spesso se ne sta sdraiata a fissare il soffitto con gli occhi sbarrati, mentre sotto la coperta di pile la pancia brontola e gorgoglia. A tratti il viso si contrae in una smorfia. E i pugni sono serrati. Si morde le nocche, si succhia il labbro inferiore. A volte dopo un paio d’ore riesce a addormentarsi, ma spesso sguscia in silenzio da sotto le coperte e va in bagno in punta di piedi a bere un po’ d’acqua dal rubinetto, e questo si ripete più o meno ogni ora.
Dà l’impressione di avere fame, ma non l’abbiamo mai sorpresa in una spedizione notturna verso il frigorifero, come tanti altri che non riescono a prendere sonno per il languore allo stomaco. Nei tre anni in cui l’abbiamo vista in queste circostanze, è andata in cucina una volta sola. In quell’occasione si era prima fermata davanti all’estrattore, carezzandolo come fosse un tenero cucciolo peloso, poi si era inginocchiata davanti al frigorifero ed era rimasta lì immobile, con la fronte poggiata allo sportello, per più di un’ora. Dopodiché aveva impugnato la maniglia, i muscoli e i tendini della mano contratti, stringendola con tutta la forza – il gomito appena sollevato. Poi aveva mollato la presa. Tornata in piedi, un giramento di testa l’aveva fatta aggrappare al ripiano della cucina. Aveva piegato il busto in avanti, la testa tra le ginocchia.
Si era risollevata, stavolta più lentamente, e aveva fatto un passo avanti. Dopo aver vagato nel buio, i suoi occhi si erano fermati su una mela nella ciotola della frutta. Le si era avvicinata, ma senza prenderla. Col naso a pochi centimetri di distanza, era rimasta a fissare la mela.
Se avessimo potuto parlare, l’avremmo incoraggiata: «Su, forza, mangia! Nessuno te lo impedisce.» Ma non aveva mangiato. Quando poi era riuscita a separarsi dalla mela e a tornare in punta di piedi in soggiorno, aveva trovato sveglia la più anziana dei quattro, quella che adesso è moribonda, con gli occhi sgranati. Era rimasta lì impalata, colta in flagrante dallo sguardo della coinquilina, uno sguardo privo di espressione: nessuna complicità, nessun rimprovero, nessuna rassicurazione. Niente. Poi, ugualmente inespressivi, gli occhi che la fissavano si erano richiusi. La nostra amica affamata aveva rilassato le spalle, si era rimessa piano in movimento ed era tornata sul suo materassino, in attesa che facesse giorno.
Noi che siamo la notte, e ne abbiamo viste tante, non ci sconvolgiamo per così poco, ma ci sembra strano che in un paese come questo ci sia gente che patisce la fame per scelta, con il cibo letteralmente a portata di mano. Come se volesse protestare contro l’abbondanza che ha intorno.
E ora alla fame è seguita la morte, non per la nostra insonne cronica, ma per la sua coinquilina.
«Se n’è andata», dice la sorella, che senza lasciare le mani della defunta si è messa a sedere sul materassino. «L’ho sentita andarsene, con grande fluidità. Che cosa bella, che momento speciale, non trovate?»
Lancia un’occhiata interrogativa agli altri due, che respirano ancora più cauti di poco prima. «Lo avete visto? Avete visto come si è tranquillizzata quando le ho preso le mani? Finalmente ha potuto abbandonarsi – si è abbandonata. Bello, no? Che se ne sia andata così, che non abbiamo cercato di trattenerla. Vero? Petrus? Muriël?»
Petrus e Muriël non si muovono. Hanno un’espressione impassibile, gli occhi schizzano di qua e di là, in cerca di qualcosa che nella penombra è impossibile trovare. «Sì, bello», dice infine Muriël.
«E tu, Petrus? Che cosa provi? C’è qualcosa che vuoi condividere con noi?»
Petrus chiude gli occhi e scrolla la testa, come infastidito da un insetto che non osa scacciare. Ha la fronte imperlata di sudore.
«Non importa», dice la sorella. «Non è affatto semplice in un momento così intenso aprirsi spontaneamente alle proprie emozioni. Non è affatto semplice, lo capisco benissimo.»
Senza dire una parola, Petrus si alza dal divano, apre la porta sul retro ed esce in giardino.
«Ok, Petrus», dice la sorella, e poi rivolta a Muriël: «È tutto a posto. È scattata la resistenza emotiva. Non importa, ci si penserà dopo. Ora la cosa più importante è Elisabeth. Puoi darmi il telefono? E il numero del dottore? Credo sia meglio se per il momento rimango qui vicino a lei. Sento che le dà conforto.»
Muriël si alza, va a prendere uno zainetto nell’angolo della stanza, tira fuori un cellulare e lo passa alla sorella. «Il numero devo cercarlo.» Si siede al tavolo e apre il computer.
«Grazie per quello che stai facendo, Muriël», dice la sorella. «Davvero. Che bello che siamo insieme, che eravamo tutti insieme accanto a Elisabeth. Deve averlo percepito. Lo percepisce. Perché io sento che è ancora in questa stanza. Tu no?»
«Come dici?» domanda Muriël in tono piatto.
«Che lei è ancora con noi. Elisabeth. In realtà sento che la sua presenza è ancora molto forte. Ma in fondo è ovvio, sono sua sorella.»
Muriël strizza le palpebre e corruga la fronte.
Poi spalanca gli occhi. La luce bluastra dello schermo le rende il viso ancora più spettrale.
«Sì», dice, «anch’io lo sento, sì.» Fa un rapido cenno in direzione del corpo di Elisabeth e poi guarda di nuovo lo schermo. «“Di sera e di notte si prega di contattare la guardia medica”, dice qui.» E comincia a dettare le cifre, che la sorella digita sul cellulare.
«Sì, pronto. Sono Melodie van Hellingen, chiamo per mia sorella.»
Da qui in poi acceleriamo leggermente, quello che succede un po’ a tutti quando si rimane svegli per una notte intera: il tempo all’inizio sembra andare lentissimo ma poi di colpo è mattina.
Con la centralinista della guardia medica nasce una discussione: la donna dice che manderà il sostituto, ma a Melodie sembra opportuno che sia il loro dottore di fiducia a venire a constatare la morte, perché era un caso speciale, sua sorella, per il trascorso medico, ma anche per via del legame emotivo, e se il loro dottore proprio non può, allora è importante che il sostituto legga bene la cartella clinica; e all’altro capo del telefono vediamo la centralinista alzare gli occhi al cielo; poi in tono gentilissimo chiede a Melodie se può raccontare in breve com’è morta di preciso sua sorella, e Melodie dice che è stato tutto molto bello, perché Elisabeth finalmente si è potuta abbandonare, che la vita per lei era stata una battaglia continua, e mentre dice «mmh, mmh» e...




